25 anni fa, il 22 giugno 1995, moriva a Parigi, all’età di 91 anni, il teologo domenicano Yves Congar. Studioso raffinato, autore di una grande quantità di opere, molto stimato da Giovanni XXIII e da Paolo VI, ma guardato con sospetto dall’ala conservatrice dei teologi, aveva dato un contributo decisivo ai lavori del concilio Vaticano II. Durante la sua lunga vita attraversò molte prove sia da parte dell’autorità ecclesiastica, sia dei teologi conservatori e, infine, per una malattia invalidante che seppe sopportare con “attiva pazienza”.
Alexander Brüggemann nel profilo su katholìsch.de, del 22 giugno, commemorando l’anniversario della sua scomparsa, lo definisce uno dei teologi più importanti del secolo 20°. Certamente fu una delle figure più vivaci e dinamiche dell’assise conciliare. Lo stesso Paolo VI dichiarò che il pensiero di questo teologo domenicano aveva esercitato un grande influsso su di lui e sul concilio.
I problemi centrali della sua teologia furono la concezione della Chiesa come communio (comunione dei credenti) e popolo di Dio in cammino nel tempo, la riforma della Chiesa e il dialogo ecumenico.
Nella teologia francese del sec. 20° fu considerato, insieme al suo insegnante e confratello Marie Dominique Chenu, e con i gesuiti Henri de Lubac (1896–1991 e Jean Chenu (1895–1990), un pioniere dei “preti operai” (1895–1990). Questi nomi figurano tra gli esponenti della Nouvelle Théologie che si sviluppò tra gli anni ’30 e ’50; teologia che metteva criticamente in discussione quella scolastica tradizionale e il marxismo, esplorando il rapporto tra storicità e verità.
Il superamento della divisione della Chiesa
Congar era nato l’8 aprile 1904 a Sedan, nella Francia orientale. Fin dall’infanzia visse a contatto con i protestanti e con i non cristiani. Dopo i primi studi teologici a Parigi, durante il servizio militare in Germania, a Magonza, occupata dai francesi, decise di entrare nell’ordine domenicano.
Fin dai primi tempi, dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1929, svolse un’intensa attività come conferenziere e pubblicista e, dal 1931, come professore di dogmatica presso la scuola teologica superiore domenicana Le Sauchoir. La sua attenzione principale si concentrò sul superamento della divisione della Chiesa. Nel 1934 invitò il teologo evangelico riformato Karl Barth a un ciclo di colloqui.
La sua prima più importante opera fu Cristiani disuniti, edita nel 1937, considerata una pietra miliare del primo ecumenismo.
La sua attività teologica fu drasticamente interrotta dalla seconda guerra mondiale. Trascorse quasi cinque anni come prigioniero di guerra in Germania. Soltanto dopo poté dedicarsi nuovamente ai suoi temi: il movimento liturgico, il dialogo con i protestanti e la questione dei preti operai. Ciò determinò, nel 1954, un’altra profonda cesura nella sua vita.
Quando l’autorità ecclesiastica intervenne contro i “cattolici di sinistra” francesi proibendo i preti operai, Congar – come anche altri domenicani – fu sospettato di “modernismo” e gli fu proibito di insegnare e di scrivere.
Trascorse il suo “esilio” a Gerusalemme e come bibliotecario a Cambridge.
Pensatore di idee innovatrici, considerò questo tempo di prova come un esercizio di “pazienza attiva”. Anziché sentirsi offeso e ritirarsi, dedicò gli anni allo studio. Ciò portò i suoi frutti nel Concilio. Papa Giovanni XXIII (1958–1963) nel 1960 lo chiamò assieme ad Henri de Lubac a far parte della commissione preparatoria, gesto che fu considerato una riabilitazione semiufficiale.
Durante il Concilio Congar, in qualità di perito, anche se guardato con sospetto dai conservatori, tenne numerosi interventi nei gruppi e dietro le quinte dei lavori conciliari. Impresse molti importanti impulsi, per esempio, sulla costituzione Gaudium et spes riguardante Chiesa nel mondo contemporaneo e sul decreto riguardante la libertà religiosa. A lui viene anche attribuito il merito di aver ravvivato l’antico concetto della “collegialità dei vescovi”.
Anche per questo, Congar – nonostante il buon rapporto personale con papa Montini – non nascose il suo disappunto per la messa in scena alla chiusura del Concilio e i gesti di Paolo VI poiché disse: «C’era là solo il papa. Era in trono come un sovrano. Tutto era riferito a lui. Sembrava essere meno nella Chiesa quanto piuttosto al di sopra di essa”.
Il terzo contraccolpo
Proprio mentre il tempo di Congar sembrava essere finalmente arrivato, la sorte lo colpì una terza volta, con una insidiosa malattia alla spina dorsale. Ben presto fu ridotto su una sedia a rotelle. Diversamente da altri pionieri del Concilio, non si impressionò più di tanto di fronte alle correnti politiche nella Chiesa degli anni successivi; rimase aperto anche alla teologia della liberazione come anche ai nuovi movimenti spirituali. I suoi Diari costituiscono delle fonti importanti per la storia della teologia del secolo 20°.
Trscorsero diversi anni di malattia con un’attività in progressivo declino, finché papa Giovanni Paolo II, nell’autunno del 1994, conferì al suo brillante partner di dialogo dei giorni del concilio la dignità di cardinale – fu un tardivo riconoscimento e l’ultimo passo della sua riabilitazione.
Non potendo recarsi a Roma, ricevette le insegne cardinalizie sul letto della sua malattia. Come ufficiale e veterano, Congar trascorse gli ultimi anni della sua vita in una residenza per gli invalidi dell’esercito, a Parigi. (KNA)