È trascorso un anno (4 febbraio 2019) dal Documento sulla fratellanza umana firmato da papa Francesco e da Ahmad Al-Tayyeb, Grande Imam dell’università Al-Azhar del Cairo, una delle voci più autorevoli dell’islam sunnita. Il documento – come è noto – ha suscitato grande scalpore: per alcuni si tratta di una pietra miliare nel dialogo interreligioso, per altri è un’eresia. Perché questa accusa? Matthias Altmann lo spiega e ne dimostra l’inconsistenza in un servizio apparso su kaholisch.de il 5 febbraio scorso, in occasione del primo anniversario della firma.
Papa Francesco si è reso realmente colpevole di eresia, firmando il Documento sulla fratellanza umana? Alcuni circoli conservatori cattolici ne sono convinti. La dichiarazione – dicono – fa di Dio un «relativista» il quale non sa che esiste una sola verità e «non gli interessa» se la gente crede nel vero o nel falso. Risultato: il papa con la sua firma ha ripudiato il cristianesimo.
In effetti, il documento firmato contiene qualcosa di esplosivo dal punto di vista teologico e politico. Mai prima nella storia due importanti esponenti delle due maggiori religioni del mondo avevano scritto un documento programmatico congiunto come questo. Da parte cattolica, si tratta della massima rappresentanza; da quella musulmana, della figura centrale di una rete di formazione internazionale, dotata di un alto livello di autorità dottrinale. Il testo era stato preparato durante un anno nel massimo segreto; Roma e Il Cairo erano rimasti in costante contatto tra loro per quanto riguarda la formulazione concreta.
Preoccupazioni comuni
Fin dall’inizio del documento, il papa e il Grande Imam affermano congiuntamente: «La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare».
Su questa base, i due sottolineano il desiderio delle loro religioni di promuovere insieme la pace universale, di rispettare la libertà di credo e di opinione e di difendere i diritti civili nel senso di una uguaglianza di tutti. Inoltre, difendono la libertà religiosa, i diritti delle donne e la sostenibilità. Le preoccupazioni politiche centrali di papa Francesco sono incorporate nella dichiarazione e formulate come preoccupazioni comuni di entrambe le comunità religiose.
Il documento condanna fermamente la violenza e il terrorismo in nome della religione e giustifica teologicamente l’affermazione: «Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente». Deve invece esserci un dialogo interreligioso che metta al centro i valori comuni e diffonda il bene nel mondo. Tutto ciò – dichiara il testo – «in nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro».
Molti esponenti della Chiesa e della politica hanno ritenuto il documento come una pietra miliare. Michael Koch, ambasciatore della Germania presso la Santa Sede, ha parlato di un passo avanti nel dialogo interreligioso, perché il documento, «oltre all’aspetto interreligioso, ha anche una dimensione politica».
E il nunzio apostolico in Germania Nikola Eterovic ha affermato di avere invitato i rappresentanti delle religioni e le personalità di rilievo dell’economia e della politica a impegnarsi seriamente per la diffusione di una «cultura della tolleranza, della convivenza e della pace».
L’opposizione interna alla Chiesa, invece, formatasi subito dopo la firma della dichiarazione, ha puntato la sua critica sul passaggio dove si dice che il pluralismo e la diversità in rapporto alla religione corrispondono «a una sapiente volontà divina».
Secondo Atanasio Schneider, vescovo ausiliare del Nur Sultan del Kazakistan (fino al marzo 2019 Astana) e noto sostenitore della tradizione cattolica, è una cosa contraria alla rivelazione del Dio incarnato in Gesù Cristo se il cristianesimo viene posto su un piano di parità con le altre religioni.
Un’accusa di eresia dovuta a un’interpretazione esagerata
Molti esperti considerano discutibile voler interpretare questo passaggio come un abbandono delle convinzioni della fede cristiana. «Non bisogna caricare il testo di eccessivo significato» – sottolinea Christian Ströbele, esperto di teologia fondamentale e responsabile del settore del dialogo interreligioso presso l’accademia della diocesi di Rottenburg-Stoccarda –. Il testo è formulato in maniera molto concisa, e riguarda in senso più ristretto la libertà dell’uomo nelle sue diverse espressioni. Questa viene radicata in una volontà divina. Ad essa corrispondono anche la diversità e il pluralismo. Ciò vale per tutte le dimensioni: colore della pelle, genere, etnia e linguaggio e, in definitiva, anche per la religione. «È un tentativo di offrire un argomento teologico contro la necessità di standardizzare», afferma Ströbele.
Il pluralismo di religioni può essere interpretato anche teologicamente. Nella storia della Chiesa esistono già alcuni approcci in questo senso – diversi di essi non sono così lontani. È quanto ha sottolineato Benedetto XVI nel suo discorso natalizio alla Curia romana nel 2012, affermando che attraverso il dialogo tra le religioni, e l’ascolto vicendevole dell’altro, ambedue le parti possono ricevere una purificazione e un arricchimento.
Benedetto riprende una frase che si trovava già nella dichiarazione Dialogo e missione del Segretariato pontificio per i non cristiani del 1984: le relazioni costruttive tra le religioni aiutano a vicenda a conoscersi e ad arricchirsi.
Anche il concilio Vaticano II ha trattato a fondo le relazioni del cristianesimo, in particolare della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, e questo con grande rispetto. «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini». Questo passaggio, tratto dalla dichiarazione Nostra aetate, è fino ad oggi determinante per il modo con cui la Chiesa cattolica guarda all’islam. Inoltre, il testo esorta ad avere una comprensione reciproca e un comune impegno a favore della giustizia e della pace – formulazione questa a cui aderisce strettamente il documento di Abu Dhabi.
Ströbele è convinto che, usando questi e altri testi dottrinali ed effettuando altre precisazioni, è possibile attribuire alla molteplicità delle religioni un significato teologico. Per questo egli non considera in alcun modo come eretico il Documento sulla fratellanza umana.
Anche il card. Miguel Ayuso, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, cerca di confutare questa accusa dicendo che il testo non afferma affatto che tutte le religioni sono uguali. Piuttosto sostiene che tutti coloro che cercano Dio hanno la stessa dignità. Le diversità tra i credenti delle varie religioni devono perciò essere considerate un motivo di unità, non di divisione.
Desiderio di iniziative universali
Jener Ayuso è membro di un organismo incaricato di promuovere la diffusione e l’attuazione della dichiarazione. L’«Alto Comitato della fratellanza umana» è stato fondato lo scorso agosto negli Emirati Arabi Uniti allo scopo di attuare le proposte e le finalità della dichiarazione di intenti cattolico-islamica. Papa Francesco – così si dice – desidera simili iniziative in tutto il mondo.
Cosa risponde il papa alla critica al documento? Durante il suo viaggio in Asia, lo scorso autunno, ne ha fatto una decisa difesa: ha affermato che esso corrisponde chiaramente allo «spirito del concilio Vaticano II». In quell’occasione egli consegnò la dichiarazione anche agli esponenti del buddismo. Francesco è inoltre convinto dell’impatto duraturo del testo.
Assieme ad Al-Tayyeb ha anche proposto alle Nazioni Unite di dichiarare il 4 febbraio, giorno della firma della dichiarazione, “Giornata mondiale della fratellanza umana”. Non è tuttavia ancora certo che questo avvenga. Ciò che invece è sicuro è che Francesco è sempre papa e che nessuno di coloro che hanno un ruolo importante nella Chiesa ha messo seriamente in discussione la sua autorità dopo la firma del documento di Abu Dhabi.
A un anno dalla firma del Documento sulla fratellanza umana (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019), M. Michela Nicolais, per conto dell’Agenzia SIR, ha intervistato la teologa musulmana Shahrzad Houshmand.
«Un vero e proprio raggio di luce e di speranza», anche in un mondo dove soffiano venti di guerra e il dialogo sembra a volte compromesso o minacciato. Così la teologa musulmana Shahrzad Houshmand definisce il Documento sulla fratellanza umana, firmato un anno fa dal papa e dal Grande Imam di Al-Azhar. «È come un dattero dell’albero dell’incontro – spiega al SIR –, è come un’onda che invita anche a correggere interpretazioni errate o ottuse della propria religione» (Agenzia SIR, 4 febbraio).
– È passato un anno dalla storica firma del documento di Abu Dhabi. Che impatto ha avuto sul mondo musulmano?
Ad Abu Dhabi, per la prima volta nella storia, i due leader delle due maggiori religioni mondiali si sono abbracciati, hanno scritto e proposto insieme, in modo equo e paritario, un documento. Si tratta senza dubbio di un fatto storico, ma occorre ricordare che il documento di Abu Dhabi non è una novità assoluta, bensì il frutto di un cammino, ed è stato preparato da ben 60 incontri.
Il passo più importante nel dialogo tra cattolici e musulmani lo ha fatto il Concilio Vaticano II, con una revisione del dialogo con il mondo islamico che ha i caratteri di una vera e propria rivoluzione.
Il magistero dei papi
Gli ultimi tre papi, inoltre, si sono spesi molto in questo ambito: basti pensare alla visita di Giovanni Paolo II alla moschea di Damasco e all’incontro con 70 mila musulmani nel viaggio in Marocco. Benedetto XVI, nel 2012, ha parlato del dialogo come di un momento in cui l’incontro dell’altro diventa reciproco «nutrimento e sostegno». In questa prospettiva, possiamo dire che il Documento sulla fratellanza umana è come un dattero dell’albero dell’incontro: un frutto dolcissimo, che rende sempre più praticabile il cammino tra fratelli di diverse religioni.
– Riscoprirsi fratelli per promuovere insieme la giustizia e la pace è l’obiettivo del documento: in che modo il dialogo tra le religioni, e in particolare quello tra cristiani e musulmani, può contribuire a cambiare uno scenario mondiale in cui non cessano i venti di guerra ed esistono “conflitti congelati” anche in Europa, come ha denunciato il papa nel recente discorso al Corpo diplomatico?
Il papa e il Grande Imam di Al-Azhar hanno supplicato il mondo intero lanciando un appello per la giustizia, la fraternità e la pace. Intellettuali, filosofi, leader delle religioni, capi di Stato e tutti coloro che hanno autorità sulla scena pubblica mondiale, fin dall’inizio del testo, vengono interpellati a proposito delle loro responsabilità per il futuro di pace del pianeta. I leader delle due maggiori religioni del mondo hanno quasi supplicato l’intera società umana, sollecitandola a divulgare i contenuti del testo e a rileggerne i valori comuni. Tutto ciò, ad un anno di distanza, sta andando avanti in molti ambiti, e anche in contesti difficili come quelli attuali, perché la verità è che la crisi di oggi è una crisi di fede, una crisi dell’educazione, dei giovani…
In ascolto
– Il cammino della fratellanza passa anche per un cambiamento culturale, si legge infatti nel documento. Il papa ha convocato per maggio un altro grande appuntamento per un «patto educativo globale», coinvolgendo anche le altre le religioni. Qual è la risposta sul versante islamico?
Ci siamo messi in cammino, nell’ottica di una comune collaborazione. In questo momento, ad Abu Dhabi, c’è un incontro ad alto livello proprio in preparazione all’appuntamento di maggio. Il Documento sulla fratellanza umana è come un’onda che invita anche a correggere interpretazioni errate o ottuse della propria religione.
L’esempio da seguire, anche per me che sono musulmana, è quello del papa, che si mette in ascolto e, come un maestro, educa. Il papa è un maestro universale della spiritualità, perché il vero maestro tiene conto dei bisogni di chi ascolta. Mettersi in un atteggiamento paritario dà la possibilità all’altro di ascoltare meglio le parole di Francesco, che sono le parole del Vangelo. Il suo è un lavoro eccezionale di evangelizzazione.
– Analizzando lo scenario del Mediterraneo, tema sul quale la Chiesa italiana ha organizzato un incontro delle Chiese cristiane a Bari, il card. Parolin ha evidenziato l’importanza del tema della cittadinanza. È questa, secondo lei, la strada per garantire il rispetto dei diritti umani e la libertà religiosa, anche nei Paesi in cui i cattolici sono una minoranza?
Sicuramente. Con la cittadinanza usciamo dalle varie identità culturali, nazionali, linguistiche e anche religiose: ci guardiamo l’uno negli occhi dell’altro come concittadini, prima di tutto della nostra terra, del mondo, e poi della nostra nazione e città. Uscendo dai nostri titoli religiosi, accademici, linguistici e culturali ci mettiamo ad un livello paritario e riusciamo a condividere insieme la sorte della nostra città, tramite l’attenzione al bene comune.