Se le notizie sono vere, in Arabia Saudita potrebbe arrivare il giorno in cui sarà possibile costruire delle chiese cristiane, cosa finora rigorosamente proibita. Lo lascia supporre il settimanale inglese The Economist in un breve articolo del 2 agosto scorso, scritto da Jubail, intitolato significativamente Hosannahs in the sand? Saudi Arabia may relax its ban on Christian churches (Osanna nella sabbia? L’Arabia Saudita potrebbe allentare il divieto delle chiese cristiane). Nuove prove sostengono che il profeta ha tollerato chiese in Arabia.
Per una generazione l’autorità che si occupa delle antichità l’ha tenuta nascosta. Le rovine rimangono fuori limite dietro a cancelli di metallo e recinzioni di filo spinato. Una guardia allontana i curiosi con minacce di arresto. Ma se gli studi indipendenti sono corretti, nascosto tra le dune e le palme vicino ai campi petroliferi orientali, si trova un monastero del VII secolo, la cui esistenza lascia supporre che un tempo l’islam tollerava la costruzione di chiese in Arabia.
Muhammad bin Salman, il principe ereditario riformatore, nel suo regno puritano ha sfidato il clero permettendo i cinema, i concerti pop all’aperto e concesso persino alle donne il permesso di guidare. Ma approvare la costruzione di chiese per 1,4 milioni di cristiani presenti in Arabia Saudita rischia di rompere un tabù di troppo. «Altrove non è un problema, ma nella penisola araba non c’è posto per due dins, o religioni» dice un principe senior, ripetendo un presunto detto del profeta Maometto. Le chiese – sottolinea – sono state soppresse dalla prima comunità musulmana 14 secoli or sono
Ma gli scavi a Jubail e in altri siti lungo la costa orientale dicono diversamente. I cronisti infatti registrano l’esistenza di un sinodo nella diocesi chiamata Beit Qatraye, vicino a Jubail, nel 676 d.C., più di 40 anni dopo la morte del Profeta. Inoltre, gli altri sei paesi della penisola hanno tutti delle chiese. Il Qatar, che segue la stessa scuola islamica wahhabita come l’Arabia Saudita, ha permesso di costruirne una dieci anni fa. Lo stesso ha fatto il Barhain nel 1996. E quest’anno ha iniziato i lavori per la costruzione della nuova cattedrale a Nostra Signora dell’Arabia.
Il fatto eccezionale saudita è importante perché il regno ospita i luoghi più sacri dell’Islam ed è il primo propagandista della fede. In ottobre il principe Muhammad ha dichiarato di volere un’Arabia Saudita «aperta a tutte le religioni, tradizioni e alla gente di tutto il mondo». Ma, dal largo della costa saudita, in Bahrain, il vescovo cattolico dell’Arabia settentrionale, Camillo Ballin, lamenta che non è ancora cambiato niente per i cristiani dell’Arabia Saudita. La preghiera privata è tollerata, ma l’esibizione pubblica dei simboli cristiani è vietata. La comunione in un paese che proibisce il vino è problematica. I preti entrano furtivamente come cuochi o meccanici per assistere il loro gregge.
Il sito web del vescovo paragona gli incontri clandestini di preghiera alle pericolose riunioni dei primi cristiani sotto l’impero romano. Nell’ala di un’ambasciata straniera della capitale saudita Riyadh, accanto al bar c’è una tavola coperta con un drappo nero che serve da altare. Un sacerdote alza una Bibbia e pronuncia le parole sacramentali. Un gruppo multinazionale di persone intona il Gloria. «Per le vostre sofferenze sarete salvati», canta il sacerdote.
Alcuni teologi sauditi chiedono un ripensamento. Insistono sul fatto che il divieto del Profeta riguardo ai dins è stato tradotto male (din significa autorità religiosa, non religione) e sostengono che egli non ha mai ritenuto che il divieto di un culto non musulmano riguardasse l’intera penisola. Un funzionario del ministero degli affari musulmani afferma che la sua Dichiarazione di Medina, un trattato che prevede la coesistenza con gli ebrei, «potrebbe essere ancora il nostro modello».
Abdullah, il precedente re saudita, aveva aperto un centro interreligioso, ma l’aveva collocato nella lontana Vienna. Più coraggiosamente il principe Muhammad ha ospitato in patria ecclesiastici cristiani. I media sauditi hanno filmato il patriarca maronita e un inviato papale, il compianto card. Jean-Louis Tauran, con tutte le loro insegne religiose, inclusi i crocefissi, in un incontro con il re. Un decreto priva la polizia religiosa dei loro poteri di arrestare chi ospita cristiani che organizzano grandi riunioni di preghiera a casa loro. E i predicatori intolleranti sono stati rimossi dalle onde radio e le ingiunzioni di combattere gli infedeli sono state eliminate dai libri della scuola primaria.
Un consigliere reale prevede che l’apertura di una rappresentanza pontificia e la costruzione di una chiesa siano solo questione di tempo. Un luogo designato è Neom, una città progettata nell’estremo nord che potrebbe essere dichiarata fuori della penisola arabica.
Molto dipenderà dagli umori del principe Muhammad. L’avere messo in carcere i suoi critici ha frenato il dissenso. Il capo mufti, che aveva chiesto di fermare la costruzione di una chiesa sulla penisola, dopo che il Kuwait nel aveva costruita una nel 2012, sta prudentemente in silenzio. Ma la repressione potrebbe avere un risvolto negativo. Un nervoso autore saudita afferma: «La tolleranza è più appetibile se applicata in maniera tollerante».
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