Occorre «una teologia dal basso, dove l’agire è quasi più decisivo del pensiero»: è della teologa cattolica Elisabeth Schüssler Fiorenza la “maternità” dell’enunciato; tale concetto, declinato nelle forme di una teologia attiva, ma anche di una teologia vivente, o di una attenzione per le donne impegnate, oltre che sul fronte del pensare, su quello concreto dell’agire (queste scelte hanno comportato a volte testimonianze eroiche, sino alla morte), è stato tra i più ripresi, in varie sfumature, nella giornata dello scorso 2 dicembre 2021, in occasione della IV Tavola rotonda del ciclo Religioni e violenza sulle donne.
L’intera giornata di confronto è stata organizzata dall’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne (O.I.V.D.) presso e in collaborazione con la Fondazione Scienze Religiose Giovanni XXIII (FSCIRE), istituto di ricerca religiosa di prestigio europeo.
Fedi e femminismi in Italia: la profezia delle donne; trascendenza ed esperienza nell’orizzonte di una fede incarnata: questo il titolo dell’appuntamento, cristallino nella sua formulazione, in grado di dar conto del taglio da cui siamo partite, noi dell’O.I.V.D, e che ritenevamo contenesse – quando, con forte convincimento, abbiamo promosso l’avventura – gli elementi costitutivi imprescindibili da mettere a tema nello scambio.
La Tavola era stata programmata per la primavera 2020, poi la pandemia ha bloccato tutto, ma abbiamo atteso pazientemente.
Non ci sono soluzioni facili
Possiamo dire che un altro seme nella germinazione di realtà purificate dal sistema androcentrico nelle comunità e ambienti religiosi è stato gettato. Siamo fiere di questo gesto, consapevoli che non sia stato compiuto che un altro passo e che la strada sia tutta in salita. Decostruire criticamente le forme patriarcali è sempre opera complessa; tanto più se l’obiettivo è quello non solo di esplorare le captazioni e le risonanze del divino nella ricerca spirituale autentica di una donna, ma ancor di più se, in tale paesaggio, si mira al “parlarsi”, a tessere con passione un percorso trasformativo, a condividere la ricerca con contesti allargati, luoghi assetati di fede viva, vitale, vissuta in prima persona; a seminare in terreni innervati dal convincimento della giustezza e bellezza del pluralismo in campo religioso.
Nella mia relazione alla tavola, ho sottolineato che le «le differenze sono sostanze, corpi, pratica politica, prima che idee regolative. A proposito di questo, Audre Lorde, poeta afroamericana lesbica, militante nel femminismo e nel razzismo, immersa nel dialogo – difficile dialogo, ma irriducibile e imprescindibile – tra donne nere e donne bianche, scrive: “Non ci sono soluzioni facili”».
È su questa scia che non possiamo avallare la retorica che enfatizza “le differenze” e il pluralismo religioso, senza immergersi nel tessuto autentico dell’esperienza vissuta, complessa ma comunque sempre feconda.
Le relatrici appartenevano o rappresentavano varie comunità religiose presenti nel territorio nazionale o erano comunque espressione di ambiti religiosi molteplici, perché la costruzione di un pluralismo religioso è una delle nostre anime originarie.
Non posso fare a meno di ricordarne i nomi. Dopo l’apertura del vicesegretario FSCIRE, Federico Ruozzi, Cettina Militello ha introdotto i lavori nella mattinata con un’ampia panoramica di espressioni di profetismo femminile; sono poi seguiti gli interventi di Carla Galetto, Sulamith Furstenberg Levi e Alessandra Trotta, rispettivamente per la Chiesa cattolica (incentrato sul percorso delle donne delle Comunità di base), l’ebraismo, le Chiese evangeliche.
Nel pomeriggio, dopo l’introduzione di Paola Cavallari (che ha filtrato il tema delle “profete” partendo da testimonianze di donne all’incrocio fra fede e femminismo), si sono avvicendati gli interventi di Rukmini Devi, Minoo Mirshahvalad, Cecilia Waldkrantz rispettivamente per l’induismo, l’islam, il buddhismo.
Il dialogo con le relatrici e la conduzione complessiva sono stati svolti sapientemente da Ludovica Eugenio.
Alcuni interventi si sono posizionati all’incrocio tra radicalità nella ricezione del massaggio religioso e radicalità nel femminismo, altri si sono situati prevalentemente per una valorizzazione del ruolo femminile in chiave tradizionale.
Alcune hanno articolato la materia mettendo al centro la categoria del dominio patriarcale, quella altrettanto radicale del “partire da sé”, cardine della soggettività femminista (è stata citata con fierezza la teologa Ivana Ceresa «Io stessa divento il criterio ermeneutico»); alcune si sono addentrate in questioni che sono strettamente intrecciate a genealogie e pratiche nel femminismo; altre, pur riferendosi esplicitamente a momenti della propria esperienza consapevole di donna, hanno seguito un’argomentazione orientata allo scavo e alla lettura dei fenomeni sociali inerenti alle questioni di genere. Inutile dire che la gradazione tra una posizione e l’altra è estesa. Utile si è poi rivelato il monitoraggio delle geografie esistenti nelle varie comunità in relazione alle dinamiche donne/uomini.
Una carrellata sugli interventi
Non posso qui evidentemente dare conto di ogni intervento; posso solo avvicinare qualche tratto che – nella parzialità del mio sguardo – mi appare stagliarsi ed emergere dallo sfondo di una partitura folta di risonanze.
- Esiste un filo rosso che congiunge le donne e lo Spirito. In casa cattolica il profetismo femminile ha sempre avuto un risvolto pneumatologico. Molte figure femminili dei testi sacri sono protagoniste di esperienze mistiche che scorrono affiancandosi alla profezia. La profezia non va interpretata come anticipazione del futuro, ma come intelligenza del presente, che proprio per ciò apre al futuro.
- Nell’ambito dei Gruppi donne Comunità cristiane di base, le donne, illuminate dalla Ruah, si sono autorizzate, nell’orma tracciata della teologia femminista, all’interpretazione consapevole delle sacre Scritture, a istituire luoghi di produzione del sapere, e ad una pluriennale pratica di liturgie celebrate da donne.
- Nell’ambito ebraico, negli USA e in Israele, dagli anni ’70, sono fiorite numerose formazioni femministe, più o meno radicali, che hanno privilegiato aspetti diversi del ventaglio dei temi che la religione ebraica comprende. Il rabbinato ebraico ortodosso non ha accettato le innovazioni delle donne rabbine, ma le comunità sì. Molto singolare e degna di attenzione è l’esperienza delle avvocate rabbiniche, così come quella della Casa di studio delle donne. In Italia non sono poche le donne che ricoprono la funzione di guida della comunità (ruolo laico), ma la leadership religiosa è tutta maschile.
- In tutte le Chiese/comunità – a vari gradi – si registrano resistenze per una prassi di riconoscimento effettivo della piena dignità delle donne. Nelle Chiese evangeliche – che, con il pastorato femminile, sono quelle che rappresentano i frutti più maturi – si è comunque faticato a promuovere tale processo di trasformazione. Esse godono dell’organo dell’“assemblea di Chiesa” che è palestra di democrazia reale, dove si è istaurato un sistema informale di quote di genere; e gli organismi di governo godono di una composizione pressoché paritaria.
- Il femminismo islamico ritiene che ci sia stata una «realtà immacolata sovrastorica e sovraumana dove i condizionamenti umani non sono penetrati»: questa realtà è il Corano. Il femminismo islamico, pertanto, ha mancato il suo obiettivo fondamentale: ha rinunciato ad assumere la storicità del testo fondatore dell’islam; ha rinunciato ad indagarlo con gli strumenti di un’esegesi che si avvale del metodo storico-critico; si è sottratta, inoltre, al compito di vederne le contraddizioni in merito al tema delle ingiustizie patriarcali.
- Nell’ambiente buddhista, la scelta monastica per una donna ha significato l’avviarsi ad un percorso emancipativo, motivato dal desiderio di libertà e autonomia. Ma i monasteri buddhisti femminili non hanno ricevuto le medesime offerte di quelli maschili: per mancanza di sovvenzioni si sono estinti.
- Una famosa citazione di Gandhi recita: «Chiamare la donna il sesso debole è una calunnia… Se, per forza, s’intende la forza bruta, allora sì, la donna è meno brutale dell’uomo. Se, per forza, s’intende la forza morale, allora la donna è infinitamente superiore all’uomo… Chi può far appello al cuore più efficacemente della donna?».
- La profezia ci chiede di attraversare l’esperienza del vuoto e del nulla, per poi risorgere con la consapevolezza di un Sé che si è purificato dalla colonizzazione androcentrica e patriarcale, così come ci indica la teologa/filosofa Mary Daly: «Questo divenire ciò che realmente siamo richiede coraggio esistenziale per affrontare l’esperienza del nulla… Col sorgere del femminismo le donne sono in effetti giunte a vedere la necessità dello scontro, la necessità di lasciar affiorare la propria rabbia e di far nascere una volontà di liberazione. Io sostengo che tutta l’autentica speranza umana è ontologica, esige che si affronti il nulla».
- La questione delle nuove generazioni, spesso allergiche alle istanze del femminismo, ci devono interrogare. È bene ascoltarle con metodo non giudicante, e in seguito porre loro il problema: «Quale teologia, quale Dio è quello che esce dalle tue affermazioni e comportamenti? Di quale Dio dai testimonianza?».
Purtroppo stiamo vedendo il disastro di una Chiesa cattolica guidata solo da maschi celibi. La partecipazione delle donne nella vita e nella missione della Chiesa è di vitale importanza per aiutare la Chiesa a riprendere la giusta rotta dopo il naufragio. Ritengo, infatti, fermamente che le donne debbano partecipare attivamente alle decisioni della chiesa a tutti i livelli ed è necessario
che diventino nel più breve tempo possibile capi di comunità togliendo tutti gli impedimenti del diritto canonico. Tutto ciò si può fare senza toccare il discorso sul sacerdozio al quale la Chiesa non è ancora pronta ad affrontare.
Qui si scrive di una presunta “profezia” contenente le istanze anti-patriarcato tipiche del femminismo contemporaneo.
Sicure che si tratti di profezia? Sicure che Dio parli alla sua Chiesa ed al mondo in questi termini? Chi ha confermato tale profezia come autentica? È stata confermata dalla comunità ovvero dalla chiesa?
Pur se condivido il concetto di parità di genere devo dire che le teologhe ed i teologi odierni fanno un frequente abuso del termine “profezia”. Basta che una visione/concetto progressista sorga dal società ed abbia affinità col messaggio cristiano perché sia promosso a profezia. E Dio? La dimensione verticale dov’è? Così la profezia diventa un processo di dialogo cerebrale in cui la dimensione mistica – costitutiva della profezia biblica e cristiana – viene totalmente omessa.
un po’ di tempo fa leggevo la testimonianza di un laico inglese che parlava della sua esperienza al processo sinodale tutt’ora in corso: c’era questa videoconferenza a cui partecipavano rappresentanti del clero e dei laici (tra cui lui) e la diocesi aveva invitato varie persone a are delle presentazioni, tra cui una donna, che si era messa in modo molto energico a sostenere varie tesi della teologia femminista radicale (tra cui il sacerdozio femminile) e concludendo dicendo ai membri del sinodo ‘se non appoggiate queste cose voi siete contro lo Spirito Santo!’
messa così, la teologia dello Spirito Santo e del suo operare nei profeti è veramente una macchietta di come dovrebbe essere: lo Spirito è passato da essere ‘Dio dimenticato’ (cit. Mateo Crawley nel 1948) a ‘Dio abusato e citato a sproposito’