Avere 20 anni nel 2018. Cinquant’anni dopo il Maggio 1968, la generazione attuale in che rapporti è con la fede? Nel nostro mondo individualista, l’impegno religioso non è sempre facile per i giovani credenti. Anche se, per molti, dà senso alla loro vita.
Dio non è morto sulle barricate. Mezzo secolo dopo il Maggio 68, possiamo dire che resiste: il 46% dei giovani tra i 18 e i 30 anni interrogati da Opinionway per la La Croix nel giugno 2016, considerava l’esistenza di Dio «certa» o «probabile». Eppure vivono in un mondo molto diverso da quello che vide fiorire le speranze e le collere di quella primavera febbrile. A quell’epoca, il 20% dei francesi si recava ogni domenica a messa e l’80% si dichiarava cattolico. Fu, tra l’altro, contro quell’ordine sociale che i manifestanti brandivano slogan come: «Proibito proibire», o «Piacere illimitato».
Cinquant’anni dopo, il paesaggio è cambiato: i cattolici praticanti sono solo il 4%, il 55% indica gradi di credenza molto vari. I giovani si sono in massa allontanati dalle istituzioni: secondo uno studio europeo pubblicato dal settimanale La Vie il 22 marzo, il 23% dei francesi tra i 16 e i 29 anni si dichiarano cattolici, e il 64% senza appartenenza religiosa. Gli sconvolgimenti del maggio 1968 hanno avuto un’influenza su questi cambiamenti, ma ne ha avuta anche lo sviluppo di religioni poco rappresentate negli anni Cinquanta, in particolare l’islam e il cristianesimo evangelical, un ramo del protestantesimo che attira oggi quasi il doppio delle persone sotto i 35 anni rispetto alle altre ramificazioni protestanti (sondaggio Ipsos dell’ottobre 2017 per Réforme e per la Federazione protestante di Francia). Per quanto riguarda gli ebrei, l’arrivo dei sefarditi provenienti dall’Africa settentrionale dopo le indipendenze ha rivitalizzato la pratica religiosa.
Questi gruppi non sono stati toccati dai grandi abbandoni di cui hanno sofferto i cattolici dopo la fine degli anni Sessanta. «La generazione del 68 non ha allevato i suoi figli in una prospettiva religiosa, o ha lasciato che se ne allontanassero», spiega Denis Pelletier, professore all’Ecole pratique des Hautes études e specialista di storia del cattolicesimo. Quell’abbandono ha creato un fossato difficile da colmare anche se, malgrado un declino continuo del numero dei praticanti, «da allora non è stato registrato nessun altro movimento forte regressione», sottolinea Nathalie Becquart, responsabile del servizio nazionale per l’evangelizzazione dei giovani e le vocazioni, della Conferenza episcopale francese.
Credere, in che modo?
Allora, qual è il modo di credere dei figli ribelli del Maggio 68? In un quadro d’insieme che varia a seconda delle religioni, delle loro interpretazioni e persino delle situazioni geografiche, si delineano alcuni movimenti di fondo. A cominciare da ciò che Hélène, protestante ventiduenne, definisce «una ricerca esistenziale in un mondo profondamente disincantato».
È ciò che esprime Malik, un educatore di 23 anni, che vive nella regione parigina: «Credere e praticare, significa trovare sia una disciplina sia una ragion d’essere, molto più ricca di quella che può offrire la società dei consumi». Stesso tipo di ragionamento per Nathalie, infermiera di 21 anni. Battezzata nel cattolicesimo, ma allontanatasi dalla religione al punto da aver provato «odio e rancore verso un Dio che si ritiene esista», ha ritrovato il cammino della fede grazie a un assistente scout. «In una società che si distingue rispetto al proprio passato, spiega, molti giovani vogliono recuperare la loro eredità e trovare un senso profondo per la propria vita».
Tornano regolarmente a galla i problemi metafisici: Dio si manifesta nella vita dei credenti, invia dei segni, è sollecitato dalla preghiera e, soprattutto, possiede le chiavi dell’aldilà. La paura della dannazione e il problema del riscatto delle colpe preoccupano particolarmente i giovani musulmani dei quartieri popolari. Il sociologo Fabien Truong, professore a Paris VIII e autore di Loyautés radicales, l’islam et les “mauvais garçons” de la nation (La Découverte, 2017), lo ha spesso constatato: «Per molti di loro, la morte è una realtà. I regolamenti di conti sono la prima causa di decessi dei giovani attorno a loro, spesso hanno quindi perduto dei loro compagni. E i loro genitori fanno parte delle categorie sociali di coloro che scompaiono prima degli altri».
Nella vita di Sarah, 16 anni, studentessa di liceo a Trappes (Yvelines), il paradiso è un’idea sempre presente. «Nel giorno del Giudizio, si camminerà su un filo più sottile di un capello e si cadrà o da una parte o dall’altra». Per «non cadere all’inferno», cerca di accumulare le azioni che le daranno dei punti di buona condotta e consulta ogni giorno, su Instagram, dei messaggi destinati a ricordare dei comandamenti talvolta strambi. Di madre cristiana e di padre musulmano, questa adolescente che rifiuta l’estremismo ha scelto l’islam a causa dell’ambiente in cui vive. «Se non fossi a Trappes, non sarei musulmana, ma sono felice di questa religione, perché Dio mi aiuta».
Eredità liberamente assunta
Il sostegno offerto dalla fede è presente in tutte le testimonianze. «È un faro nella mia vita, racconta Guillaume, studente al politecnico. Mi dà saggezza e conforto e mi serve da riferimento quando devo prendere una decisione che mi preoccupa dal punto di vista morale, anche se non mi considero un buon credente o un devoto». Per molti, la consolazione si unisce ad un sentimento di pace, d’amore, addirittura ad una vera «gioia», parola ricorrente sulle labbra dei cattolici. «Essere cristiani, significa cominciare con scegliere di amare e finire con avere la gioia di amare», afferma Pierre, 23 anni, studente all’università Paris-Dauphine.
La religione può anche essere «sorgente di coraggio», come dice Ali, un musulmano di 23 anni. E, nella maggior parte dei casi, un incitamento a voler fare il bene attorno a sé, anche se esiste il dubbio e anche la tentazione. «Con l’avvento delle reti sociali, constata Thomas, 17 anni, si è costantemente distratti, e questo spesso allontana dalla fede». Infine, la sensazione di appartenere ad una comunità protegge e rassicura. Definisce una identità, secondo Adam, liceale ebreo: «Mi piace l’idea di essere in relazione con coloro che mi hanno preceduto attraverso i riti che si praticano nella mia famiglia, come lo shabbat».
Pur rispettando la nozione di eredità, la maggior parte dei giovani credenti nega di perpetuare meccanicamente una tradizione religiosa. «Per quanto riguarda i cattolici, si assiste al venir meno di una pratica religiosa per obbligo sociale, sottolinea Denis Pelletier. Di conseguenza, la minoranza che pratica è molto più impegnata, se non militante, rispetto alle generazioni precedenti». La religione dei figli non è proprio la stessa di quella dei genitori, per qualunque confessione. Nel caso dell’islam, l’obbligo può essere forte in certi quartieri, ma «ogni giovane ha l’impressione di entrarci a modo suo», nota Fabien Truong. «Rendendosi migliore, diventa migliore degli altri».
Per quanto riguarda l’ebraismo, lo sviluppo delle scuole confessionali, a partire dagli anni 80, ha molto cambiato la situazione, osserva Yonathan Arfi, vicepresidente del CRIF (Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia): «Un bambino ebreo su tre passa da queste scuole. Sono spesso loro che “ri-ebraizzano” i loro genitori, a volte lontani dalla religione». «L’eredità è una bella cosa, ma io non sono solo il frutto della mia educazione, afferma Emmanuel, studente evangelical. Ciò che mi ha costruito e creato “di nuovo”, è aver fatto l’esperienza di un Dio vivo, benché presentato attraverso una lettera morta, la Bibbia».
A modo mio …
In un mondo sempre più individualista, la religione non fa eccezione. La maggior parte dei giovani rivendica un legame personale con Dio, fino al punto di praticare una sorta di relativismo zen come Amélie, studentessa di sociologia a Marsiglia e cattolica: «Ci sono tanti modi di praticare quanti sono i praticanti, ed è questo che è bello, in tutte le religioni! Ognuno le adatta al suo modo di pensare, ai suoi desideri…». Altri, come Alissa, lionese studentessa in comunicazione, 25 anni, si sono «fabbricati» una religione molto personale per non dover scegliere tra genitori di confessioni diverse: «Prego da sola a casa, ma mi sento a mio agio tanto in una moschea quanto in una chiesa».
Questo aspetto molto personale non mette i credenti al riparo da un problema delicato: si deve parlare della propria fede o tenerla nascosta? Alcuni hanno preso una decisione netta, come Ali: «L’islam fissa un quadro alle mie interazioni con gli altri. In questo senso mi sembra impossibile praticarlo solo nella sfera privata». Lo stesso vale per Lucile, studentessa ventiduenne di Tolosa: «La fede cristiana si basa su un comandamento: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Non ho quindi alcun motivo per viverla unicamente in privato». Ma anche loro dicono quanto talvolta la religione sia mal percepita, difficile da vivere pubblicamente.
«In Francia, dire “Dio”, è dire un’oscenità. Un po’ di pudore!», esclama ironicamente Gustave, un protestante che ha scaricato la Bibbia sul suo cellulare ma non dichiara le sue convinzioni religiose nel quotidiano. Bisogna ammettere che lo sguardo degli agnostici non è tenero. Non solo i credenti sono percepiti come «pecore idiote», deplora Hélier, 22 anni, studente cattolico alla Sorbona, ma soffrono di essere sempre rinviati all’immagine veicolata dalla loro religione. A partire dall’11 settembre e, soprattutto dopo gli attentati del 2015, l’appartenenza religiosa dei giovani musulmani è percepita come un pericolo, quella degli ebrei come un possibile rischio. Per certi musulmani, «questa pressione sociale è stata perfino un fattore di ritorno alla religione», nota Abdelhak Sahli, presidente degli scout musulmani di Francia.
Una religione da vecchi
Quanto al cattolicesimo, esso viene considerato una religione da vecchi, nel migliore dei casi. «In Francia, spesso si associano i cattolici ai reazionari», osserva Léonard David, 22 anni. Le rare volte che ho affrontato l’argomento con i miei amici all’università, sento che mi guardano in modo strano, e spesso ho avuto battute del genere: “Ma ti rendi conto di tutto il male che ha fatto la Chiesa?”». Alcuni dicono di essere stati ingiustamente considerati di estrema destra o di essere stati presi di mira dai compagni a scuola per aver detto di essere cristiani. «E sarebbe questo, la laicità?», si chiede amaramente Gabrielle, studentessa di letteratura. È possibile accettare che il proprio vicino sia cattolico senza mettere in conto a lui tutti i difetti della Chiesa? La Chiesa, non è Dio, è fatta da esseri umani…».
Per cercare di superare questi cliché che generano discordia, alcuni movimenti scoutistici organizzano incontri interreligiosi. Lo fanno anche gli scout musulmani, gruppi creati venticinque anni fa. «Invitiamo i giovani a fare delle attività con altri scout, ebrei, cattolici o protestanti, in particolare durante i campi estivi, spiega Abdelhak Sahli. Per formare dei cittadini responsabili e impregnati di una cultura di pace, vogliamo che possano interrogarsi sulla loro identità attraverso lo sguardo degli altri». A riprova che l’idea funziona: ogni anno il movimento non riesce ad accettare tutti i giovani che chiedono di farne parte, a causa del numero insufficiente di volontari per inquadrarli.
Dio non è morto, forse ha solo cambiato volto.
Riprendiamo un articolo apparso su Le Monde il 31 marzo 2018 nella traduzione pubblicta dal sito web Fine Settimana.