Alla base della Lectio Magistralis tenuta da Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006 (qui) ci sono stati due equivoci – uno comunicativo e uno ricettivo –, ma questi non hanno impedito al pontificato di Francesco di contribuire al superamento di entrambi, portando a compimento il vero intendimento di Benedetto: superare il confessionalismo di Stato nella prospettiva di una comune e pari cittadinanza.
L’intento e la mentalità
Che questo fosse il vero intendimento lo ha affermato lo stesso papa Benedetto col sinodo che convocò sul Medio Oriente.
Nell’esortazione apostolica post-sinodale infatti, al punto 25, scrisse: «I cattolici del Medio Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria. Devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori. Come in passato, quando, pionieri della rinascita araba, erano parte integrante della vita culturale, economica e scientifica delle varie civiltà della regione, desiderano oggi, ancora e sempre, condividere le loro esperienze con i musulmani, fornendo il loro specifico contributo».
Il “metodo di Ratisbona” – che io definirei un metodo tipicamente europeo – ha reso la realizzazione dell’esortazione più difficile. Esito diverso si è avuto col “metodo di Francesco” che io definisco «fraterno» o da «ospedale da campo», secondo le sue stesse ripetute parole.
Il peso della storia
Detto questo, cerco qui di spiegare perché Ratisbona abbia determinato equivoci. Per farlo, dobbiamo partire dal 650 d.C. al tempo in cui il patriarca nestoriano Iso’yahb afferma: «Gli arabi, ai quali Dio ha concesso in questo tempo il governo del mondo, non perseguitano la religione cristiana, anzi la favoriscono. Onorano i nostri sacerdoti e i santi del Signore, e conferiscono benefici alle Chiese e ai monasteri».
Ne dà conto, nel suo eccellente volume La storia perduta del cristianesimo, Philp Jenkins, che chiosa: «Per quanti difetti potessero avere gli arabi, almeno non erano cristiani bizantini». Jenkins è tra i più apprezzati e stimati studiosi dei cosiddetti “cristianesimi perduti” che certamente hanno il loro fulcro in quelle Chiese d’Oriente che non aderirono alle conclusioni dei Grandi Concili ecumenici di Nicea 325 d.C. e di Efeso del 431.
Sempre nel libro di Jenkins si può leggere quanto scrisse un altro vescovo orientale, Michele il Siro: «Il Dio della vendetta, vedendo la malvagità dei romani che, ovunque governassero, spogliavano barbaramente le nostre chiese e i nostri monasteri e ci condannavano senza pietà, fece sorgere dalla regione del sud i figli di Ismaele, per liberarci per mezzo loro dalle mani dei romani. Non fu solo un piccolo vantaggio, per noi, essere liberati dalla crudeltà dei romani».
San Mosè l’Abissino, venerato in Siria, è uno di tali martiri dei bizantini. Quando questi sommi testimoni presentano i romani come loro persecutori, intendono riferirsi ai bizantini, dai quali erano ritenuti eretici da perseguitare.
Ma i cristiani di quelle Chiese non subirono soltanto le persecuzioni bizantine: lo stesso Jenkins dà conto di dolorosissime vessazioni da questi subite anche da parte di musulmani.
Il rapporto decisivo è sempre quello tra fede interpretata dalle religioni e potere – nodo irrisolto in tutte le parti del mondo – stretto in Oriente sino ai nostri giorni, sino all’asfissia. Ciò che, col nostro linguaggio chiamiamo “cesaropapismo”, riguarda l’Islam come l’Ortodossia, soprattutto russa, come ben vediamo e, in fondo, gran parte del cristianesimo arabo odierno.
La questione è rimasta la stessa: come comunità di fede diverse possono vivere nella stessa nazione o stato con gli stessi diritti, senza essere costrette alla conversione forzata ovvero a scomparire.
Ratisbona
Ebbene, nella Lectio Magistralis circa il rapporto tra fede e ragione – rivolta, a mio avviso, in primo luogo all’Europa e solo in seconda battuta all’Islam – dei 25.000 caratteri complessivi solo 3.800 sono dedicati alla questione della “ragione” nell’Islam.
L’ormai famoso incidente originò dalla citazione fatta dal papa dell’Imperatore bizantino Manuele II Paleologo, che esprimeva rabbia verso i musulmani a cui stava per soccombere. Non aver chiaramente distinto il citato dal citante diede la stura all’irritazione islamica.
Perché allora non ricordare – dissero in molti – i conquistadores cattolici o i cosacchi ortodossi, con quanto di peggio fecero a manifestazione storica del cristianesimo? Reazione però, francamente, immeritata da parte del papa che, dopo quella citazione, denunciò chiaramente le conversioni forzate, da qualunque parte ottenute.
L’argomentazione fondamentale di Benedetto XVI risuonò più o meno così: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. Per dirlo, il papa si è avvalso di un testo di Theodore Khoury, che commentava: «per l’imperatore, bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione era evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza».
In quel contesto Khoury citava a sua volta un’opera del noto islamista francese Roger Arnaldez, il quale rilevava che ibn Hazm (994-1064) si spinse fino a dichiarare che Dio non è legato neppure alla sua stessa parola e niente lo obbliga a rivelare a noi la verità. Se fosse volontà di Dio, l’uomo dovrebbe praticare pure l’idolatria.
Un approfondimento in sede islamica richiede lo sviluppo di volumi. Qui semplicemente ricordo che nelle sure coraniche “meccane” è chiaramente esplicitato come non possa esservi costrizione nella fede, mentre in quelle “medinesi” sembra dirsi il contrario. Sul punto avrebbe giovato un chiarimento che a Ratisbona non c’è stato, ossia che tanta teologia islamica integralista ha ritenuto abrogato il pregresso dal successivo.
L’islam e la ragione
Ma l’irragionevolezza, se così si può dire, non è affatto un dato islamico indiscutibile, tanto è vero che molti hanno asserito proprio il contrario: solo la prima affermazione coranica ha valore universale, mentre la seconda è contingente.
Ma qui conta soffermarsi sull’originalità del teologo citato dal Benedetto, ibn Hazm – poeta degli innamorati – che, per fedeltà ai califfi omayyadi di Andalusia, finì in carcere e rischiò la condanna a morte. Il suo testo più famoso, Il collare della colomba, è dedicato all’amore umano e agli amanti.
Nella prefazione alla traduzione italiana, il professor Paolo Branca ha spiegato il mistero di questo imam che non apparteneva a nessuna delle quattro grandi scuole giurisprudenziali e il cui pensiero giuridico, a differenza della sua poesia, non ha granché influito.
Ha scritto Branca: «È un paradosso: lui, che in modo così impareggiabile sapeva penetrare oltre il cielo delle apparenze, proprio lui abbracciò in religione la dottrina zahirita, ossia il feticismo della lettera, dell’evidenza scritturale (da Zaher che in arabo vuol dire ciò che appare, l’esteriore). Una concezione estrema condannata nell’Islam da tutti i saggi dottori ben provvisti di barba. Una dottrina accusata di tasbih, ossia di antropomorfismo, di attribuzione a Dio di qualità umane. Ma un acuto studioso ha notato che lo zahirismo fu per lui, com’egli lo intendeva, l’espressione della sua sincerità assoluta e il mezzo per sottoporre a una prova implacabile le affermazioni dei dotti e dei saggi».
Il passo in corsivo viene dallo stesso Roger Arnaldez citato da Benedetto XVI, il che conferma sia l’autenticità della frase citata dal papa sia il giudizio di Paolo Branca, che aggiunge: «Perché in realtà – anche solo limitandosi a un’analisi molto attenta del Collare della colomba, opera che comunque fu scritta prima della sua adesione alla dottrina zahirita – in ibn Hazm è impossibile trovare una sola frase o una parola minimamente sospettabile di quella ottusità che si immagina inseparabile da tutte le forme di fanatismo della lettera».
La conversione forzata è un problema di fondo per chiunque, e l’osservazione decisiva, per me, è quella del siriano non credente Yassin al-Haj Saleh: «La pena di morte per aver cambiato religione distrugge la stessa idea di religione intesa come casa spirituale. D’altronde, qualsiasi casa si trasformerebbe in una prigione se fosse proibito allontanarsi da essa».
I musulmani hanno avuto dunque motivo di risentirsi su un aspetto che oggi non avrebbe più fondamento: bastava a loro poterlo dimostare, mettendo, ad esempio, fuori dai sistemi giuridici di tanti Paesi, l’obbligo della conversione dell’uomo che voglia sposare una donna musulmana, così come escludere ogni altra forma di conversione obbligata.
In quelle ore drammatiche del discorso di Ratisbona, i peggiori trascesero. Ricorda proprio Philip Jenkins: «Quando Benedetto XVI tenne la sua controversa lezione, i leoni dell’islam si vendicarono decapitando un sacerdote di Mosul, Paulos Iskander. Padre Paulos apparteneva alla Chiesa siro-ortodossa, anticamente detta giacobita, una delle antiche Chiese orientali a cui ho fatto inizialmente cenno, strette tra bizantini e islamici.
Il rapporto tra fede e ragione nell’Islam, si pone, più opportunamente, sulla via del dialogo tra Maometto e il suo inviato in Yemen: quindi su una via chiaramente interpretativa. Rivolgendosi infatti a costui – Muʿādh – Maometto disse: «In base a che cosa giudicherai? Rispose: Giudicherò secondo il Libro di Dio. E se non troverai risposte nel Libro di Dio? Muʿādh rispose: secondo la tua Sunna (condotta). E il Profeta replicò: E se non troverai neanche nella mia Sunna? Muʿādh rispose: userò il mio giudizio personale e non risparmierò nessuno sforzo per trovare la soluzione corretta. Il Messaggero di Allah ringraziò».
È un filo sottile ma lunghissimo quello che parte dal colloquio tra Maometto e Muʿādh e arriva sino a Mohammad Abed al-Jabri, uno dei più noti docenti marocchini di Filosofia e pensiero islamico, che al termine “laicità”, dalla sua cattedra, preferiva l’espressione “democrazia e razionalità”, molto simile alla ragione: quella al centro della Lectio di Ratisbona.
L’intenzione di Benedetto e i teologi musulmani
Per questo, proprio da Ratisbona, nacque l’iniziativa dei “cento teologi musulmani”, che – comprendendo correttamente lo spirito della lezione ratzingeriana – si impegnarono a dar vita al nuovo forum islamo-cristiano, “One World”: certamente un passo importante da parte islamica.
Le reazioni prevalenti hanno rivelato le difficoltà relazionali tra l’uomo europeo e l’uomo arabo: il primo si pone da docente, il secondo rifiuta per orgoglio di essere allievo. Ecco perché il “metodo di Ratisbona” fu avvertito come tipicamente “europeo”, mentre il metodo di Francesco è stato percepito dagli arabi musulmani come più «fraterno», riguardoso, amico.
Il più importante risultato di anni di pontificato francescano sta proprio in un “sì” della prima autorità islamica – l’imam di al-Azhar – alla proposta di comune cittadinanza: proprio quella desiderata da Benedetto.
Nella Dichiarazione comune sulla fratellanza universale firmata da Francesco e al-Tayyeb – lo stesso rettore di al-Azhar con cui nel 2011 si erano interrotti i rapporti – resta scritto: «Il concetto di cittadinanza si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli».
Se gli equivoci di Ratisbona hanno avuto comunque un portato storico, sta nell’indicazione di quanto sia importante distinguere – come poi è riuscito a fare Francesco – la questione euro-araba da quella islamo-cristiana, traducendo in pratica quanto affermato da Benedetto nell’esortazione post-sinodale ricordando che i cristiani sono stati pionieri della rinascita araba confermando la loro appartenenza alla cultura araba, non ad un’altra.
lunedì 9 ottobre 2023
copio-incollo
Israele – Hamas, le news di oggi. Sirene a Tel Aviv, esplosioni a Gerusalemme, razzi dal Libano. Hamas: “4 ostaggi uccisi nei raid”. Cremlino: “C’è il rischio che altre forze entrino in guerra”. 800 i morti israeliani
Carri armati israeliani verso Gaza, sirene di allarme anti missili a Tel Aviv. Più di 400 le vittime palestinesi. Americani e tedeschi tra gli ostaggi. Gli Usa spostano navi e aerei. L’Idf: “Reclutamento senza precedenti, 300mila riservisti in 48 ore”
puntate precedenti
dopo la pademia e le vicende irrisolte dell’est-europa la questione relazioni occidente-islam erano ormai passate nel dimenticatoio. anzi meglio….erano stati ormai considerate vecchi cimeli storico-politici legate ad un’altra era di istanze politiche.
e la lectio magistralis di ratisbona pareva ormai come un libricino da mercatino delle pulci buono al massimo per una silvia ronche-con-la-y per farcire di nozioni le sue ottusità ateistiche oppure per due chiacchiere da vecchiarelli in sacrestia.
quando improvvisamente…di punto in bianco…abracadabra…sim sala bin ……bidibibodibibu… ariecco che ritira fuori il capino dalla palude politica internazionale la evidentemente mai doma territorialità della grande umma islamicaaa.
vedi un pò il caso!!
e qua bisogna chiedere alla signora ronche-con-la-y se trattasi di qualcosa “desunto dall’arsenale semantico giudaico alessandrino o dal sistema di plotino, che sia ultimo effluvio della sapienza di eraclito o esalazione del bacino gnostico come tormentosamente congetturava agostino”.
Benedetto XVI ha sempre sopravvalutato le opinioni pubbliche europee.
Non lo abbiamo proprio capito.
Sa quando qualcuno non lo si capisce, la colpa non sta mai tutta da una parte. Questa papolatria per cui i papi non sbagliamo e la colpa è del perfido mondo che non lo capisce non è più un pensiero accettabile.
Purtroppo l’equivoco sul discorso di Ratisbona continua ad autoalimentarsi. Anche l’intelligencija italica persevera nel più o meno doloso fraintendimento della lectio magistralis del defunto pontefice. Ancora ieri l’altro Silvia Ronchej, peraltro stimabilissima bizantinista, sulle pagine di Repubblica mostrava una completa incapacità di lettura e comprensione di quel discorso. Vista la levatura intellettuale del personaggio, il sospetto di un immenso pregiudizio ancora gravante sul povero BXVI pesa come un macigno.
Di segno opposto l’Huffinghton Post che, oltre a riportare per intero il testo della lectio, rimarca il cuore pulsante di quell’intervento, ovvero l’inconciliabilità tra Dio e l’irragionevolezza della violenza.
Ratzinger era stato consigliato di evitare quella frase. Ma lui uomo del Logos non capiva perché evitare quel contenuto così “logico” e quindi non fraintendibile. La sua mancanza di real politik lo ha danneggiato. A volte le grandi menti sono ingenue e a quei livelli può persino essere una colpa.
Non so se fa parte dell’intelligencjia progressista ma – come spesso fa – ne mostra tutti i limiti interpretativi del fatto cristiano e, nel caso di specie, ratzingeriano.
Siamo limitati, a parte lei ovviamente.
Il tanto decantato “metodo Francesco” è semplice: realpolitik. Nei paesi musulmani i diritti delle donne non ci sono? In Iran ammazzano i dimostranti? Beh basta che il papa stia zitto, non dica nulla e non provocherà alcun incidente diplomatico. Bel metodo. Almeno Benedetto XVI ha avuto coraggio.
Benedetto XVI stesso si è pentito di quell intervento che costo la vita anche a una suora e non solo, mentre per il resto non servi a nulla. Pur essendo io d accordo con il concetto che voleva esprimere alla fine non si può dire che non ha sbagliato essendo Papa e lui stesso non ha più ripreso di fatti il discorso. Ci sono molte cose che apprezzo e alcune stupende di Benedetto XVI anche nella parte dei racconti della passione nel suo libro su Gesù di Nazareth oltre che nell Introduzione al cristianesimo, ma altre volte fa sorridere per la convinzione che mostra che la sua argomentazione è razionalmente inattaccabile, ma ovviamente non è così. Era anche molto legato al ragionamento occidentale e in particolare greco, ma il mondo creato dal nostro Dio è più ampio. Comunque ha veramente vissuto per la fede in Gesù Cristo, sapendo prendere su di se nel silenzio la colpa di altri, in questo veramente un uomo di Dio molto distante da molti vescovi cosiddetti Ratzingeriani.