Al «primo giro della ruota del Dharma», che ebbe inizio con la predicazione del primo sermone tenuto dal Buddha a Benares dopo avere raggiunto il Risveglio sotto l’albero della bodhi, ne sono seguiti innumerevoli altri, diffondendo così la dottrina e la disciplina in tutta l’Asia fino a lambire, da ultimo, le sponde dell’Occidente. Il Buddhismo è così ormai diventato parte dello scenario e del vocabolario religioso corrente e il suo particolare sguardo sulla realtà ha iniziato ad espandere la conoscenza che un individuo possiede sul mondo, sugli altri e su sé stesso.
Un’etica poco conosciuta
Rimane tuttavia un fatto innegabile: il Buddhismo è conosciuto in Occidente soprattutto per le sue pratiche meditative e per l’accesso a nuove e inesplorate zone del pensiero. E questo è del tutto naturale, vista la grande enfasi che il Buddhismo pone sulla ricerca del non-Sé (anattā) come rimedio a quel «mal-essere», insoddisfazione e sofferenza di cui l’uomo è intriso, e a cui non sembra esserci rimedio fino a quando egli non decide di incamminarsi lungo il sentiero delle Quattro Nobili Verità che lo conduce dal regno dell’impermanenza e del samsāra («vagare senza fine») a quello del nirvāna («estinzione»), ponendo così fine al ciclo delle rinascite.
Tuttavia, raggiungere il nirvāna non è solamente una questione di sapienza (paññā) e di meditazione (samādhi), ma anche di un retto comportamento (sīla), di un costante adempimento dei doveri e delle virtù morali che devono accompagnare quelle intellettuali e meditative. Il rapporto tra questi aspetti o componenti del nirvāna può essere espresso in termini filosofici affermando che ognuno di essi è certamente una condizione necessaria, ma non sufficiente: la saggezza, la meditazione e la moralità devono essere tutte presenti affinché si possa giungere al Risveglio.,
Ebbene, se il Buddhismo si è certamente dimostrato straordinariamente dedito a riflettere sull’insegnamento del Buddha e a illustrare le varie pratiche meditative, e se nei suoi testi sono senz’altro presenti liste più o meno estese di insegnamenti e precetti da tenere in considerazione per realizzare una vita moralmente soddisfacente, non pare che in esso sia presente un’articolata riflessione sulle varie questioni etiche.
Certo, il Buddhismo offre una dottrina morale (ovvero, un insegnamento sulle norme e i valori presenti in un determinato contesto sociale e culturale), eppure sembra esserci anche un’incredibile mancanza di interesse per quanto riguarda i concetti e i princìpi etici sui quali si basano quei suoi insegnamenti (cioè una spiegazione razionale per quelle norme e valori che trova già presenti in una cultura o ambiente religioso).
La dottrina buddhista include senza dubbio degli aspetti normativi (come, ad esempio, i cinque precetti che tutti i buddhisti devono rispettare e le regole del Vinaya indirizzate soprattutto alla comunità monastica), ma questi sono per lo più presentati come prescrizioni, piuttosto che come conclusioni logicamente dedotte da princìpi e valori esplicitamente descritti e fondati. Detto altrimenti, nei testi buddhisti i precetti sono semplicemente annunciati, ma ben poco si conosce di quella invisibile sovrastruttura da cui sono stati desunti.
Il volume
Scopo del recente volume Lineamenti di etica buddhista (Chisokudō Publications, Nagoya 2024) è dunque quello di contribuire al tentativo di colmare – almeno in parte – questa lacuna all’interno dei discorsi buddhisti, offrendo (forse per la prima volta al pubblico italiano) una breve introduzione ad alcune importanti questioni etiche.
I sei capitoli che strutturano il libro offrono altrettanti sguardi su temi di etica sociale (ambientalismo e etica animalista, violenza, guerra e terrorismo, visione politica ed economica) e di bioetica (sessualità, aborto e suicidio-eutanasia). Il numero delle tematiche affrontate non è certo esaustivo (altri argomenti di interesse avrebbero infatti potuto riguardare i temi della clonazione, del trapianto d’organi, dell’identità di genere, dei diritti umani ecc.), ma lo scopo dichiarato del volume non è quello di coprire tutte le aree dell’etica, quanto piuttosto iniziare a costruire dei ponti tra la proposta morale buddhista e la sua necessità di rispondere alle sfide etiche che sta incontrando nel suo dialogo con l’Occidente.
Riguardo allo svolgimento delle tematiche, che presuppone che il lettore sia già in possesso di una certa conoscenza di base del Buddhismo, il lettore incontrerà nelle note un uso massiccio di rimandi ai discorsi e ai sermoni pronunciati dal Buddha, aiutandolo così a familiarizzare con le parole stesse del Buddha, cosa che pare mancante o assente in molti testi che trattano di Buddhismo in lingua italiana.
Circa le citazioni dei testi, la maggior parte di esse sono tratte dal Canone Pāli, anche se non mancano riferimenti ad altre fonti risalenti alle tradizioni Mahāyāna e Vajrayāna.
L’auspicio dichiarato è che questo libro possa contribuire a proseguire con profondità e passione il dibattito tra Buddhismo e Occidente non solo sul terreno della meditazione e della spiritualità, ma anche su quello etico e socio-politico, aiutando così l’uomo, considerato ora anche nelle sue dimensioni comunitarie e pubbliche, a riflettere e a indirizzarsi verso nuovi orizzonti di possibilità e di realizzazione.
Tiziano Tosolini, Lineamenti di etica buddhista, Chisokudō Publications, Nagoya 2024, pp. 318.
Stupisce che si dica in questo libro che ben poco si conosce della ‘invisibile struttura’ da cui derivano i princìpi etici espressi nel Buddhismo. In realtà l’Etica è la controparte pratica della Visione filosofica nel Buddhadharma: la visione alla base è quella dell’Interdipendenza globale di tutto in tutto. Se tutto è interdipendente diventa logico proporre comportamenti secondo la linea maestra buddhista, cioè sempre a beneficio della vita, mai a danno di nessuno. A beneficio di tutti gli esseri senzienti include tutti: umani, animali, piante, pianeta, universo… Il Buddhismo non propone una ‘dottrina morale’ relativista, fatta di prescrizioni relative ad un ambito culturale specifico; esso offre una visione in cui tutto è interdipendente e la logica conseguenza è agire sempre per il bene del tutto, in ogni circostanza, universalmente.
Un praticante buddhista da più di trent’anni.
Il buddismo è la mia religione, in essa ho trovato pace e serenità, ed è molto migliore del cristianesimo, religione che non mi è mai piaciuta e in cui non ho mai creduto.
Bravo.
Così parla chi crede in qualcosa.
Quando un buddista deciderà di convertirsi al cattolicesimo, cristianesimo è veramente generico e chi lo usa dimostra quantomeno superficialità, troverà un parroco che proverà a dissuaderlo: tutte le religioni sono buone.
Ah, com’è bello l’ecumenismo a senso unico.
Com’è bello impedire alle anime di conoscere Cristo.
Beh, mi sembra normale che qualcosa in cui lei crede a suo avviso è migliore di qualcosa in cui non ha mai creduto! Rilevo due cose. La prima, lei ha parlato di pace e serenità. Gesù stesso ha affermato di donare una pace che non è di questo mondo, ma siamo certi che sia compito della religione portare serenità? A me sembra che appartenga alla dimensione psicologica piuttosto che a quella spirituale e che la religione può aiutare ad ottenerla in qualche misura ma che non sia il suo compito principale. Io credo che il buddismo sia danneggiato oggigiorno proprio dalla sua sovrapposizione con la psicologia “pop” che oscura la dimensione spirituale, ovvero la tensione alla verità, alla giustizia, alla bellezza. Il buddismo conduce alla verità? Cammina di pari passo con la ragione? E’ coerente nella sua definizione della giustizia? Offre all’uomo e alla donna una speranza? Sono queste le domande a mio avviso.
La seconda considerazione che faccio è: lei parla di credere _nel_ cristianesimo. Non si crede però nel cristianesimo, si crede in Gesù Cristo. Infatti nel Credo noi cristiani affermiamo di credere in Dio ma non _nella_ Chiesa, bensì crediamo _la_ Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Con questo non voglio affatto sminuire la Chiesa, tutt’altro: è l’istituzione voluta da Gesù stesso per portare avanti la Sua missione. Ma la nostra fede è nell’unico Dio trinitario, la religione è una conseguenza necessaria di questa fede prevista dallo stesso Gesù che ha fondato la Chiesa.