Il preside della Facoltà teologica del Triveneto, don Andrea Toniolo, ha partecipato al convegno New directions, new materials, and discoveries: 2024 Xi’an international Jingjiao Forum, che si è tenuto in Cina a Xi’an City, nella Provincia dello Shaanxi dal 5 al 7 luglio 2024. L’evento è stato organizzato dall’Institute of Silk Road Studies of Northwest University, nell’anniversario dei 400 anni dalla scoperta (avvenuta fra 1623 e 1625) della stele di Xi’an, datata 781 dopo Cristo e considerata la prima grande opera di trascrizione del cristianesimo in lingua cinese con immagini e categorie taoiste e buddhiste. Hanno partecipato studiosi e ricercatori di diverse Università cinesi, dell’Università cattolica di Milano, dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano, il direttore dell’Agenzia Fides Giovanni Valente e la giornalista di Avvenire Stefania Falasca. «L’intento del convegno – spiega Toniolo – era di mostrare la grande storia culturale della Cina e la fecondità dei rapporti non solo economici ma anche culturali e religiosi fra Cina e Occidente, rappresentata dalla Via della seta. La partecipazione di un rappresentante della Facoltà teologica del Triveneto è stata possibile anche grazie alla mediazione di don Giuseppe Feng Bo, sacerdote responsabile dei cattolici cinesi nelle diocesi di Padova e di Treviso e studente nella nostra Facoltà». Nella lunga iscrizione incisa sulla pietra della stele di Xi’an si narra dell’arrivo, lungo la Via della seta, di religiosi persiani della Chiesa siro-orientale nell’allora capitale dell’impero cinese e delle alterne vicende delle comunità cristiane tra il 635 e il 781 dopo Cristo. Un resoconto storico, unico nel suo genere, della presenza in Cina della “religione della luce” (Jingjiao, il nome con cui il cristianesimo è chiamato nella stele). «Si può dire il primo punto certo nella conoscenza del cristianesimo cinese» afferma don Toniolo, che al convegno ha presentato un paper intitolato “Dialogo tra culture e religioni: la testimonianza storica e teologica della stele di Xi’an”.
– Professor Toniolo, qual è l’importanza di questo monumento?
Potremmo dire che la stele rappresenta una sintesi teologica del cristianesimo in un contesto completamente diverso da quello originario: è una straordinaria “riformulazione cinese” del cristianesimo.
Il messaggio evangelico viene espresso in un linguaggio accessibile a destinatari appartenenti a una cultura totalmente estranea all’area semitica e greco-latina, impiegando temini e concetti in lingua cinese del taoismo e del buddhismo per esprimere le verità cristiane su Dio (Trinità) e sulla salvezza.
– Fu un cambio di modello nel rapporto del cristianesimo con le altre religioni?
Si trattò effettivamente di un cambio di paradigma nella comprensione della fede cristiana dentro un contesto religioso plurale, che mostra l’identità aperta e dialogica della fede cristiana e la corrispondenza umana, etica e religiosa con le religioni presenti in Cina.
Dal punto di vista teologico questo viene chiamato “modello dell’incarnazione del vangelo” nelle culture diverse, mostrandone la sua valenza universale.
– Nel passato questa commistione è stata vista con sospetto…
Una delle critiche rivolte al testo della stele (che conobbe diverse fasi di interpretazione dopo la sua scoperta, a partire dal 17° secolo, come attestato da interessanti relazioni riportate al convegno) fu quella di sincretismo religioso.
In realtà, la stele ha una preoccupazione, allo stesso tempo, di ortodossia e di dialogo. Il testo inciso nella pietra dimostra che l’assimilazione di altri linguaggi religiosi non è un pericolo ma una ricchezza per la propria identità.
La stele di Xi’an costituisce probabilmente la prima grande testimonianza teologica di incontro del cristianesimo con un ambiente molto diverso da quello dell’origine (semitico e greco-latino). Interessanti sono gli studi sul tema di Matteo Nicolini-Zani nel volume La via della luce.
– Nella storia la Via della seta ha permesso non solo rapporti commerciali tra Occidente e Oriente, ma anche continui scambi culturali e religiosi: ciò significa che le diverse fedi e religioni sono un bene non solo per la dimensione spirituale e religiosa, ma anche per quella etica, sociale e politica dei popoli. Qual è stato l’apporto dei cristiani nello sviluppo di questo pensiero?
I cristiani provenienti dalla Chiesa siriaco-“nestoriana”, che ha avuto una grande diffusione in Asia nei secoli VI-IX, hanno cercato di mostrare l’identità aperta della fede cristiana, in un contesto di forte pluralità culturale e religiosa durante la dinastia Tang (un periodo economicamente e culturalmente molto ricco, dove convivevano diverse religioni e c’erano monaci dediti alla traduzione dei testi sacri in cinese).
I cristiani erano desiderosi, pur essendo minoranza, di integrarsi con la cultura cinese e di assimilare la fede al linguaggio e alle espressioni religiose del tempo. Anche la scelta del nome – insegnamento luminoso, via della luce (Jingjiao) – per designare il cristianesimo, non intendeva affermare la differenza ma la vicinanza, assumendo il simbolo della luce, importante sia per il cristianesimo che per il buddhismo.
***
– Secondo il Governo cinese, oggi nel Paese sono presenti 98 diocesi, nove Istituti, seimila chiese e sei milioni di cattolici, oltre ottomila religiosi. Quale situazione ha potuto toccare con mano nel suo viaggio?
Grazie alla bella accoglienza e ospitalità del popolo cinese, ho avuto la possibilità di visitare le meraviglie storico-artistiche del Paese (la Grande muraglia, la Città proibita, il Museo dell’Esercito di terracotta) e anche di incontrare la realtà dei cristiani cattolici (secondo Catholic News Agency si stima che il numero sia superiore a 10 milioni).
Sorprende la grande forza di fede di quelle comunità, che oggi hanno anche una libertà di culto. La frequenza domenicale è del 95%: lì non c’è differenza fra credente e praticante, perché chi crede anche pratica.
La Cina attuale, che si conosce visitandola dal di dentro, è molto diversa da quella di quarant’anni fa. Ha vissuto un grande sviluppo economico, tecnologico e culturale (attestato anche dal livello molto alto di giovani ricercatori e ricercatrici intervenuti al convegno) e una situazione di apertura verso le appartenenze religiose da parte del governo, il quale chiede oggi alle religioni un’opera di cinesizzazione, cioè di piena inculturazione delle religioni nella realtà cinese.
– La Santa Sede, tramite il segretario di Stato card. Pietro Parolin, ha di recente confermato che è in corso un dialogo con la Repubblica popolare cinese, in forza dell’Accordo provvisorio firmato nel 2018 (rinnovato nel 2020 e 2022) sulle nomine dei vescovi.
Il convegno attesta questa disponibilità di dialogo fra realtà cinese e Chiesa cattolica. L’accordo del 2018, pure con critiche (ricordiamo l’opposizione del card. Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong), ha permesso di superare la realtà delle due Chiese, quella ufficiale e quella nascosta, presenti in Cina».
– Il vescovo di Shanghai, Giuseppe Shen Bin, in un recente viaggio in Italia ha assicurato che lo sviluppo della Chiesa cattolica in Cina rimarrà fedele al Vangelo di Cristo, quindi alla “fede cattolica tradizionale”, seguendo un “percorso di cinesizzazione che sia in linea con la società e la cultura cinese di oggi”. Papa Franceso ha affermato che “essere un buon cristiano non solo non è incompatibile con l’essere un buon cittadino, ma ne è parte integrante”. Ma quanto è difficile per la cultura di derivazione europea rinunciare al suo forte senso di superiorità culturale?
La Chiesa cattolica dopo il concilio Vaticano II sta imparando a diventare sempre più mondiale e sempre meno eurocentrica. Ciò permetterà anche a culture diverse da quella occidentale di comprendere che il cristianesimo non è una religione straniera e può diventare una presenza profetica, parte della propria cultura.
– Ci sarà un seguito a questo viaggio?
Durante la permanenza in Cina, ho incontrato diverse realtà e visitato alcune università cinesi, cogliendo il desiderio, più volte manifestato, di poter continuare la collaborazione a livello di ricerca universitaria nel dialogo fra Occidente e Oriente, fra cristianesimo e tradizione culturale cinese.
Questa stele sembra, con 800 anni di anticipo confermare ragione alle tesi di Alessandro Valignano che teorizzò ed indicò il metodo dell’inculturazione e dell’adattamento utilizzato e sviluppato da tutti i missionari dell’epoca in Asia, a partire da Matteo Ricci in Cina. Ciò e benché le feroci dispute con i francescani e i domenicani (ci sono atii dei frequenti processi che si sono tenuti a Parigi per l’argomento) che credevano in una più diretta imposizione della fede senza deliquescenze. Stupisce che, in questo tempo, non sembrano mai ricordati il Valignano, il Ricci l’Acquaviva d’Atri, seppur tutti gesuiti.