Al termine, questa mi è parsa davvero una Via Crucis. No, non per le due giovani donne, senza velo islamico, imprevedibile la loro precisazione alla rispettosa offerta del vecchio parroco: “Posso dare una benedizione alla bambina?”
“Siamo mussulmani”, al maschile, forse la bambina era invece un bimbo, come saperlo? Stava nel passeggino, chiuso per l’intensa luce bianca del sole. No, non era un rifiuto, era la loro carta di identità: non sprecare il tuo tempo con noi, sei vecchio e affaticato, altri ti attendono speranzosi, non privarli della benedizione, a loro fa bene, per noi è inutile, è acqua su vetro.
Al mio Salam alekum è seguito il loro grato Alekum salam, non abbisogna di traduzione: l’universale augurio di pace non ha frontiere ed allora potei rispondere col mio povero dire arabo (ancora non l’ho dimenticato) “Nel nome di Dio, misericordioso e compassionevole” e il loro stupito e ancor più grato “Socran, grazie.”
Quel Socran mi ha ricordato la Veronica: padre Mario l’ha sentito? Non so, ha continuato il suo cammino portando la Croce santa, da un altarino all’altro, dove era atteso, seconda, terza, quarta Stazione della Via Crucis, e altre e altre ancora, con molte tappe intermedie, tante benedizioni e augurali voti pasquali. Ma io l’ho sentito quel Socran, mi è parso un sorriso non vietato dalla pandemia, anzi quasi una preziosa moneta di scambio universale “Nel nome di Dio, misericordioso e compassionevole”, versetto introduttivo di ogni Sura Coranica, eccetto la nona.
Così infatti ripeteva padre Mario, ad ogni Stazione: a ogni tappa, ricordava a tutti e invocava per tutti la misericordia divina.
Ma è stato dopo, alla nona Stazione, dopo la terza caduta di Gesù sotto la Croce, che la rituale Via Crucis veramente è diventata anche per me una Via Crucis, e il versetto coranico, non sacrilegamente tradotto nel linguaggio evangelico che meglio e anche temporalmente precede il Corano, è stato allora che il motto “compassionevole”, attribuito a Dio, è emerso e ha colorato il nostro cammino, quello di padre Mario e di noi che lo seguivamo.
Inconsapevolmente un’altra mamma con una bambina ci precedeva e padre Mario, a poca distanza ma innanzi a noi, affaticato, sudato, assetato, la sua voce alla ricerca di qualche decibel smarrito nell’andare, quella voce rispettosamente chiede “Posso benedire la bambina?” e la mamma che invece affretta il passo, ancora la scorgo di schiena, porge la mano alla bimba, quasi a proteggerla ed ecco deciso il suo “No!”
Compatire significa “patire con”, patire insieme, ben si sposa con un Dio amorevole e compassionevole, con la Croce, per questo è venuto Gesù.
A quel secco “No!” è seguita nella mia mente una ridda di pensieri, di ricordi, miei, dei miei cari, i figli, le nipotine, un’eco di domande: perché quel “No”? Chi può rifiutare una benedizione?
Cosa c’è da benedire in tempi di pandemia, di costrizioni, di divieti di abbracci, di disastri economici, di morti senza un saluto, senza l’addio dei figli ai padri, degli sposi, dei fratelli tra loro? Con l’esplosione delle violenze domestiche, degli uomini su noi donne, degli usurai, dei cravattari sui poveri diavoli? È una benedizione di Dio questa? No grazie! Anzi tolgo il grazie: non voglio, non vogliamo questa benedizione!
E di chi è sono le mani benedicenti? Sono sante o, maledette! – di chi diede scandalo ai bambini che avrebbero dovuto invece educare e proteggere? E neppure un papa poté impedirlo, solo poté ricordare “Quanto sporcizia c’è nella Chiesa!”.
Sono le mani di chi divide il pane e il mantello con l’affamato e con lui patisce il freddo, o dello scriba che sulla via di Gerico vilmente preferisce ignorare il viandante aggredito dai briganti, da loro derubato del cibo e delle vesti?».
Anche la nona Sura del Corano ignora il motto “Nel nome di Dio misericordioso e compassionevole”, ma io ho quel “No!”, l’ho sentito alla Nona stazione e quell’esigenza di isolamento difensivo, quelle domande sul perché del rifiuto, hanno generato in me un’ondata di “compassione”: scientemente avrei voluto, in silenzio due passi dopo di lei, portare la sua croce. E poi in silenzio, a distanza, scambiare uno sguardo.
Non, non era possibile, che cosa avrei potuto tacitamente dirle? Al termine della Via Crucis, in chiesa, padre Mario ci ha benedetti, noi peregrini con lui, e ha ricordato quel rifiuto, anche il primo, quelle delle mamme mussulmane, ma che rifiuto invece non era.
Posso esprimere un desiderio, quello sì, posso e voglio: in silenzio a quella mamma e a quella bambina giunga per misteriosi percorsi telepatici la certezza della mia e delle altrui solidarietà. Forse si chiama preghiera e, seppure dubbioso, spero che la mia speranza non sia inutile.