Dal punto di vista della filosofia politica, qual è il rischio a cui, in Europa, sembrano esposte le nostre identità? Il rischio è che l’universale e ciò che pertiene la comunità si mettano l’uno contro l’altro; che la volontà politica e l’identità nazionale della comunità d’appartenenza entrino in conflitto con l’universale dei diritti dell’uomo e dell’equità procedurale. Metto questo rischio in relazione al fatto che lo Stato-nazione non è più tanto minacciato dall’interno dalle lotte sociali, nonostante la presenza degli «indignati», quanto, piuttosto, messo in discussione in modo diretto da un ambiente esterno, contraddistinto da un insieme di fenomeni critici per l’unità politica che si suppone debba garantire.
Siamo a conoscenza di diversi fenomeni. Anzitutto, la crescita di potere dei gruppi economici, meta-potere «alato» che non conosce frontiere e sanziona immediatamente le possibili manipolazioni dei tassi di sconto, dei ratio[1] bancari,’ dei prelievi fiscali; poi la nascita dei poteri non statali, come le ONG inserite nei circuiti transnazionali, che costituiscono un contro-potere che le colloca come attori della vita politica internazionale e dell’opinione pubblica mondiale in formazione; l’emergere, inoltre, di grandi unità meta-nazionali, che uniscono un insieme di Stati all’interno di organizzazioni macro-regionali, come ASEAN + 3 in Estremo Oriente, SAARC in Asia del sud, MERCOSUR + CAN in America del sud, CEN-SAD in Africa sahelo-sahariana, ANZCERTA in Austrialia e Nuova Zelanda, ALENA in America del nord e così via; infine – last but not least – l’aumento dei flussi migratori, in particolare l’immigrazione del secondo e terzo mondo verso il primo mondo e la conseguente internazionalizzazione della pluralità etnica, culturale, religiosa all’interno delle società europee. All’incirca il 3 per cento della popolazione mondiale è costituito da migranti, ovvero quasi 200 milioni di persone. Questo spiega perché la tensione che si origina a proposito della questione delle frontiere riguarda il loro grado di permeabilità.[2]
Considerati dal punto di vista della filosofia politica, questi fenomeni tendono a radicalizzare o addirittura a esacerbare la divisione tra i due poli dello Stato di diritto democratico: il polo dei diritti fondamentali, che risponde alle aspettative di libertà individuale, e quello della volontà politica, che rimanda alle esigenze di unità comunitaria; e ciò fino al punto in cui questi due poli non solo non possono più incontrarsi né armonizzarsi nella sintesi che dovrebbe garantire lo Stato, ma arrivano a opporsi brutalmente. È qui che divampa l’opposizione ideologica tra l’universale dei diritti individuali e il bene comune della volontà politica, sebbene l’Europa moderna avesse fatto tutto il possibile per unirli nello Stato di diritto democratico.
Dal mio punto di vista, questo è lo sfondo dal quale stanno emergendo le nuove sfide. Il dibattito pubblico tende ad ampliarsi alle questioni che toccano
il senso dell’esistenza, le condizioni della «vita buona» e il coinvolgimento della dignità umana. La politica si fa carico di problematiche metafisiche che credeva di poter relegare ad ambiti privati. Cosicché, di fronte ai «problemi particolari della società» [sociétaux] che irrompono sulla scena mediatica, la nostra ragione pubblica si rivela impotente. Tra queste sfide, quella della secolarizzazione religiosa è particolarmente attuale. Possiamo formularla così: come coinvolgere le religioni nello spazio politico europeo senza nuocere alla neutralità della ragione pubblica?
Nello spazio europeo la situazione delle religioni si riconduce a tre princìpi generali: la libertà di culto, l’uguaglianza davanti alla legge (secondo il principio di non discriminazione), l’autonomia reciproca della Chiesa e dello Stato. Tuttavia, il trattato di Lisbona (art. 17 UE) ha dichiarato, a proposito delle religioni, il loro «contributo positivo alle radici identitarie dell’Unione». Un riconoscimento di questo tipo ha suscitato qualche timore negli ambienti legati a una determinata concezione di laicità, il che invita a intraprendere un dibattito approfondito. Chiedendo alle diverse confessioni di partecipare al dialogo civile europeo ponendosi sullo stesso piano, viene implicitamente loro richiesto di passare dall’uso privato all’uso pubblico della ragione. Prendo in prestito da Kant l’espressione «uso pubblico della ragione». Il grande Aufklärer aveva in mente la pratica dei filosofi. Kant celebrava questa Öffentlichkheit che doveva, ai suoi occhi, favorire il progresso dell’illuminismo; il progresso del diritto, della politica, della cultura, delle scienze e – pensava – della ragione stessa.
Tuttavia, rispetto a Kant, il pensiero contemporaneo ha modificato sensibilmente il concetto normativo di ragione pubblica. Quando chiediamo alle religioni di impegnarsi, intendiamo dire che le religioni passino dallo stile – legittimamente – dogmatico dell’uso privato allo stile critico, ovvero fallibilista, dell’uso pubblico. Ciò ha delle conseguenze rispetto al rapporto tra religione e politica. La «rivoluzione cosmopolitica» che si sta prospettando è indice, in effetti, di un cambiamento: quello del principio di laicità nella sua concezione nazionale-repubblicana di cui cominciamo a testare i limiti. La politica si aspetta che la religione offra le sue delucidazioni al fine di contribuire alla conoscenza di problemi etici particolarmente delicati della società, là dove ne va del senso della vita e della morte, così come del rapporto tra il sé e la dignità umana. Per farla breve: in questo momento le religioni, se vogliono essere in linea con il progetto europeo, si trovano a essere mobilitate per consentire la loro stessa secolarizzazione. Eppure ciò non significa che rinuncino al loro credo. Proprio in questo sta la difficoltà. La cosiddetta società «post-secolare» ci mostra una sorta di paradosso, poiché essa riposa su una seconda secolarizzazione: quella delle religioni che, senza rinnegare se stesse, dovrebbero “convertirsi” alle implicazioni criticiste, fallibiliste e prospettiviste di un «uso pubblico della loro ragione». Si parla di “secolarizzazione interna”.
[1] Il ratio è un quoziente di borsa, e precisamente è il rapporto fra investimenti bancari ponderati per il loro rischio e il capitale della banca [ndt].
[2] Cf. S. BENHABiB, The Rights of Others: Aliens, Residents and Citizens, Cambridge University Press, Cambridge 2004.
Introduzione al volume di Jean-Marc Ferry, Le Religioni nello spazio pubblico. Contributo per una società pacifica, Collana: «Lampi», EDB, Bologna 2016, pp. 72, € 8,70. 9788810567449.