Leggo su un portale internet un articolo che parla della «rabbia dei rabbini italiani contro Francesco, che accusano di “fredda equidistanza”, dopo aver accusato Israele di terrorismo».
Non penso che questo renda inutili decenni di dialogo, come suggerite voi. Ma certamente lo rendono più complicato: perché anche nel mio Paese ci sono cattolici che rifiutano le parole di Francesco, anche se per ragioni politiche e non religiose. E ci sono giudei ovunque che soffrono molto per il comportamento di Netanyahu, e costituiscono quel “resto di Israele” che, secondo la Bibbia, ha sempre finito per salvare il suo popolo.
Questa lettera, perciò, non ha lo scopo di difendere Francesco, ma di difendere il giudaismo, che voi credete danneggiato da quella affermazione e che io credo di amare quasi quanto voi.
***
Vediamo un parallelismo: credo che Netanyahu abbia fatto un danno grave e ingiusto ai palestinesi rifiutandosi di applicare gli accordi di Oslo (del 1993) e il Memorandum di Wye River (firmato davanti al presidente Clinton nel 1998) e promuovendo la politica tacitamente violenta delle occupazioni sistematiche. Ciò non giustifica in alcun modo l’attacco criminale di Hamas. Con lo stesso criterio, ritengo anche che il brutale attacco di Hamas non possa in alcun modo giustificare la reazione sproporzionata e terroristica di Israele. Tutti devono essere misurati con la stessa misura.
Credo profondamente che il giudaismo sia la migliore parabola dell’intero genere umano: perché in esso sono racchiusi il peccato più grande e la maggiore infedeltà a Yhwh («Questo popolo mi onora con le labbra ma il loro cuore è lontano da me»: Isaia 29,13) e, nello stesso tempo, il più grande amore e la maggiore fedeltà a Yhwh di uomini ammirevoli come Geremia («Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre»: Ger 20,7) e di tutti quei profeti che sono una gloria tipica ed esclusiva della storia del giudaismo.
Per questo ritengo, con Paolo di Tarso, che «non è nemmeno possibile pensare che Dio abbia rifiutato il suo popolo: sue sono le promesse e Dio non si pente dei suoi doni». Ma anche che, nonostante ciò, Dio ci supera sempre: «le sue vie sono irreperibili e non possiamo pretendere di dargli consigli».
***
Il problema, quindi, non sta nell’essere di qua o di là (essere ebreo o cristiano, musulmano o ateo, israelita o palestinese) ma, secondo il linguaggio biblico, essere «secondo il cuore di Dio» (1Sam 13, 14) o contrari a quel cuore. Ribadendo lo stesso concetto con le figure bibliche: il dilemma è nell’essere come Davide (nonostante le sue debolezze) o essere come Geroboamo II o come Erode (che aveva sì il “diritto di difendersi”, ma non in quel modo).
Ecco perché credo che Netanyahu sia oggi come Geroboamo II che «fece ciò che il Signore rimprovera, ripetendo i peccati del suo popolo». E ha reso grande Israele solo per un certo periodo. Tutto finì con la caduta e la distruzione di Israele, quando cambiarono le relazioni internazionali (che allora riguardavano l’Assiria, la Persia o l’Egitto… e oggi sono una questione degli Stati Uniti, della Russia o della Cina).
E, quando il re d’Assiria, conquistò Israele e deportò gli israeliti, lo storico commenta così: «Il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e i suoi veggenti, aveva ordinato a Israele e Giuda: convertitevi dalle vostre vie malvagie… ma essi non ascoltarono» (cf. 2Re 17,13).
***
Ogni bambino palestinese che muore, senza aver avuto nulla a che vedere con l’attentato di Hamas (e sono già diverse migliaia) è come una lacrima che cade dagli occhi di Dio attraverso il pianto delle loro madri. Per questo voglio chiedere alla mia Chiesa di includere tutti quei bambini in quella festa dei “Santi Innocenti” che noi cristiani celebriamo: perché questi innocenti oggi sono più significativi (e meno discutibili storicamente) di quelli del tempo di Erode.
Detto questo, non voglio concludere senza chiedervi perdono, ancora una volta e in tutta sincerità, per il peccato dell’antigiudaismo della mia Chiesa (da secoli definito erroneamente come antisemitismo come se solo i giudei fossero semiti). Gli storici possono discutere su “chi ha iniziato”.
Ma noi cristiani crediamo che, al di là di questi dati, quella mentalità che, per secoli, ha macchiato la Chiesa sia stata contraria alla volontà di Dio: perché, anche se ci fosse stata qualche recriminazione contro i giudei, non avremmo dovuto rispondere come abbiamo fatto.
Di ciò chiedo perdono, ancora una volta, e molto sinceramente.Vediamo se, tra di noi, riusciamo a costruire un mondo secondo il cuore di Dio. E questo è possibile perché c’è qualcosa che ci unisce tutti, molto più di ciò che può separarci da questo o quel luogo, o dal professare una o l’altra visione del mondo. Ed il fatto è che tutti siamo dei perdonati.
A dire il vero, non vedo dove stia la durezza dell’articolo. Mi pare che dica molto bene che la grande vicenda di Israele e la sua vocazione nella storia della salvezza non possono certo ridursi alle sorti del sionismo e tanto meno alle disumane condotte di guerra dello Stato ebraico in questa guerra. E sono stato anch’io molto rattristato dalla nota polemica dei rabbini, dove sembra quasi che il piano del dialogo religioso tra ebraismo e cattolicesimo condotto in questi anni venga confuso con il problema dell’appoggio politico a quello Stato.
Mi rincresce leggere considerazioni così dure. Non credo sinceramente che contribuiranno a consolidare il dialogo ebraico -cristiano. A prescindere dalla valutazione che si può dare alla lettera dei rabbini italiani al papa, dare una risposta così temo non farà altro che esacerbare le relazioni e contribuire a fomentare da entrambe le parti pregiudizi e diffidenza. Mi sembra ci sia troppa confusione tra i piani stessi della discussione (l’Israele biblico non è l’attuale Stato di Israele, ad esempio) e evidenziare sempre le responsabilità di scelte di politici israeliani come se fossero i rabbini a farle mi sembra fuorviante. Purtroppo la guerra e la polarizzazione delle discussioni sta davvero creando fossati sempre più profondi tra popoli, culture e religioni. Sarà difficile ricostruire dopo tali distruzioni che sono tanto materiali quanto relazionali