Macron: ridefinire la laicità

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Tra il 2017 e il 2018 il presidente francese Macron ha incontrato ufficialmente tutte le maggiori comunità religiose della Repubblica (musulmani, protestanti, ebrei e cattolici), accogliendo l’invito rivolto da ciascuna a prendere parte ad un incontro da loro organizzato. Nella maggior parte dei casi erano presenti anche i rappresentati delle altre religioni. A queste occasioni bisogna aggiungere l’incontro di inizio anno all’Eliseo con i rappresentanti delle tradizioni religiose presenti sul territorio francese.

Già questi dati scarni sono indice di un’interlocuzione non di maniera con cui Macron guarda alla presenza religiosa e alle sue pratiche nella vita della Repubblica. Non fosse altro perché semplicemente la riconosce, nella sua pluralità, come una realtà che fa parte a pieno titolo della società francese e della sua architettura costituzionale.

religioni e spazio pubblico

Scultura in bronzo di una famiglia di fronte alla cattedrale ortodossa russa di Saransk (Russia). 24.6.2018
(Foto: Andreas Gebert/picture-alliance/dpa/AP Images)

Un’interlocuzione esigente

Già nella forma di un simile riconoscimento, di questa interlocuzione cercata e non celata, Macron non solo investe le comunità religiose di un ruolo pubblico nella configurazione della socialità condivisa da tutti, ma indica anche l’intenzione di ridefinire il concetto stesso di laicità che la Repubblica francese si è attaccato addosso quasi come fosse una sorta di marchio di fabbrica indelebile.

Pur nel rispetto di una distinzione di ordinamenti, le religioni si sono trovate così investite di una responsabilità civile che va ben oltre la semplice orchestrazione delle proprie comunità di fede. Un’occasione per partecipare, all’interno delle regole statali che valgono per ogni cittadino, all’edificazione comune dello spazio abitato da tutti e al vivere-insieme della società francese. La possibilità di essere protagoniste, se ne saranno all’altezza e ne avranno la volontà, sulla base di un riconoscimento di cittadinanza delle fedi nella Repubblica.

A ogni incontro Macron ha tenuto un discorso che guardava certo alla comunità religiosa che aveva davanti a sé, ma conteneva anche elementi di un disegno più ampio che la inserivano nel concerto di una pluralità, religiosa e non, che caratterizza il vissuto sociale della Francia.

Prima di scendere nei particolari, merita di essere annotata la qualità complessiva dei discorsi con cui Macron si è indirizzato alle religioni come parte costruttiva della Repubblica. Mai banali, non timorosi di affrontare i problemi chiamandoli per nome, ma anche portatori di una legittimazione in un qualche modo inedita per lo spirito francese.

Al tempo stesso, non un sotterfugio di emergenza per risolvere questioni di passaggio, ma cura e preoccupazione per la tenuta della coesione nazionale che non può essere immaginata e realizzata a prescindere dalla risorsa che ogni tradizione religiosa può rappresentare in un passaggio estremamente delicato degli equilibri interni e globali.

Nell’insieme, questi discorsi offrono una sorta di quadro programmatico, con forte riferimento allo spazio europeo e alle grandi sfide che esso si trova ad affrontare (bioetica, flussi migratori, salvaguardia dell’ambiente, superamento della conflittualità fra i paesi membri che Macron non ha esitato a definire come una sorta di «guerra civile» europea).

Considerazione e legittimazione delle religioni che hanno esposto Macron alla critica da parte dei custodi intransigenti di una laicità aggressiva, che immagina l’assenza totale del religioso da ogni affare pubblico; rispetto alla quale Macron propone una «laicità di confrontazione» – ossia una dialettica esigente, su entrambi i lati, fra il potere pubblico e le confessioni religiose. È questo lo sfondo su cui – a mio avviso – si deve inquadrare anche l’incontro tra Francesco e Macron il 26 giugno in Vaticano.

religioni e spazio pubblico

Abbraccio fra papa Francesco e il presidente Emmanuel Macron durante l’udienza privata in Vaticano. 26.6.2018
(Alessandra Tarantino/Pool Photo via AP)

Socialità umana e laicità

L’esercizio del potere pubblico non si attesta a livello di una genericità amministrativa, né si può esaurire in una semplice retorica del bene comune, ma si realizza in una cura effettiva e realista del legame sociale che tiene insieme il vivere fra molti – organizzandone le condizioni di possibilità e le regole che lo rendono possibile in quanto tale. La preoccupazione del potere pubblico, quindi, riguarda tutto quello che può ferire o indebolire questo legame.

Si tratta di una preoccupazione che deve essere capace di discernimento: sia nel cogliere le dinamiche storiche delle potenti trasformazioni in atto nel corpo sociale (e nelle sue configurazioni), sia nell’individuare le strategie che mirano a minarlo.

È questo discernimento in atto che permette di cogliere la logica perversa degli attentati terroristici che hanno colpito più volte il paese negli ultimi tempi, ossia quella di voler «creare una lacerazione profonda tra i francesi di tutte le credenze e i francesi di confessione musulmana». Per generare, in tal modo, un immaginario diffuso nel quale l’islam appare (solo) come «una religione portatrice di morte e terrore, in nome di ideali fanatici».

Per decostruire questo immaginario, il potere pubblico non può fare assegnamento solo su se stesso, ma ha bisogno della cooperazione della comunità religiosa musulmana unita a quella delle altre fedi presenti sul territorio nazionale.

Nel complesso, vi è un lavorio spirituale e teologico che riguarda sia la presenza delle religioni nello spazio pubblico sia la decostruzione di un loro immaginario diffuso a cui lo Stato non può, e non deve, mettere mano. Riconoscendo, al tempo stesso, che in questo risiede un compito pubblico che pertiene a ciascuna comunità religiosa, da un lato, e al dialogo tra le religioni, dall’altro. Compito religioso che lo Stato – secondo Macron – non deve però lasciare sospeso in un vuoto complessivo che lo minerebbe in radice.

Qui entra in scena il ruolo della scuola e dell’educazione pubblica, pensato come luogo di formazione alla cittadinanza condivisa e ad una coesistenza fraterna fra visioni plurali del vivere umano.

La scuola deve veicolare una conoscenza e un sapere (non confessionale) del fatto religioso nella sua interezza, senza che esso sia pregiudicato in partenza come irrilevante o dannoso rispetto all’insieme della socialità francese. Se, quindi, l’insegnamento scolare deve apprendere un’obiettiva grammatica minima del religioso e delle religioni, le diverse teologie si devono corrispondentemente attrezzare di una parola che sia spendibile oltre i meri limiti confessionali del loro esercizio.

Credo che solo sulla base di questa corrispondenza, tutta ancora da costruire, sia possibile creare le condizioni affinché «nessuno in Francia sia vittima di una qualsiasi forma di assegnazione su base sociale, geografica o di convinzione».

Si tratta, quindi, nel complesso di opporre una resistenza concertata ai fenomeni di riflusso identitario e di chiusura comunitaria, che rappresentano non solo la tentazione delle comunità religiose ma anche dell’intero corpo sociale francese.

Si vive tutti degli stessi umori e paure, e si respira tutti le stesse atmosfere culturali e civili. Questa comunanza di vita, per cui risulterebbe schizofrenica ogni divisione nel medesimo soggetto fra cittadino e credente, rappresenta un ambito in cui il potere pubblico deve esercitare la propria responsabilità senza fare distinzioni – pena venir meno alla propria ragion d’essere.

Ed è la consapevolezza di questa responsabilità, di questa cura dei legami sociali e civili che ci tengono insieme, che spinge Macron a ridisegnare l’architettura della laicità francese – riconoscendo le derive che sono inscritte in una sua determinata concezione.

In primo luogo, quella di pensarla come l’«organizzazione di una sorta di vuoto metafisico all’intersezione di tutte le fedi», nella consapevolezza che ogni «individuo nutre sempre e comunque una domanda esistenziale» così che la laicità verrebbe a occupare questo vuoto «incarnando una sorta di fede repubblicana».

In questo modo alle religioni storiche si sostituirebbe l’ipostatizzazione di una «religione di Stato» che le nega espellendole dalle forme pubbliche della coesistenza umana. Così facendo, il potere pubblico avanzerebbe una pretesa assoluta sulle forme spirituali dell’umano che non sarebbe altro che l’inversione speculare del modello da cui, nella sua genesi, la Repubblica francese vorrebbe distinguersi. Per Macron questa fede positivista della religione repubblicana rappresenta non solo qualcosa di indebito, ma anche il completo venire meno del giusto senso della laicità francese.

«La laicità non è una religione di Stato, è un’esigenza politica e filosofica. Non è la negazione delle religioni, ma è la capacità di farle coesistere in un dialogo permanente». Ossia è una tecnica politica attraverso la quale non si fa una distinzione qualitativa fra le persone: «Dobbiamo riaffermare sempre di nuovo che, nel nostro paese, non ci sono, da una parte, i musulmani e, dall’altra, i francesi; ma unicamente dei francesi, di tutti gli orizzonti, di ogni convinzione, tutti cittadini all’interno di una Repubblica nella quale la laicità garantisce a ciascuno la libertà e l’uguaglianza e offre come progetto comune la fraternità».

Richiamando l’Editto di Nantes come momento generatore della laicità, essa viene vista come un “modus operandi” per organizzare il pacifico vivere insieme fra diverse confessioni (allora cattolici e protestanti) e, oggi, fra diverse convinzioni che danno forma alla vita del cittadino (siano esse religiose o meno).

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Membri dell’antica comunità Samaritana prega durante la festa dello Shavuot sul Monte Garizim. 24.6.2018
(AP Photo/Majdi Mohammed)

Religioni e spazio pubblico

Se la laicità è questa tecnica politica, allora l’apprezzamento pubblico delle religioni non può coincidere con la loro indistinzione rispetto alla cultura secolare che esse hanno saputo produrre e fecondare storicamente, ma consiste propriamente nella specificità della loro fede: «La mia convinzione profonda – dice Macron rivolgendosi alle comunità protestanti francesi – è che non renderei alcun servizio alla laicità se mi rivolgessi a voi come ad un’associazione filosofica. Nella vostra storia, nella vostra diversità, nello stesso pluralismo delle vostre opzioni morali e politiche, non posso nascondere e dimenticare che voi siete uniti da una fede. La vostra identità di protestanti non si costruisce nell’aridità di una sociologia ma in un dialogo intenso con Dio».

La fede è un atto che coinvolge l’intera dimensione della persona e delle forme del suo vivere, quindi avanzare la pretesa di «credere moderatamente» come condizione secolare di una sua partecipazione all’edificazione della sfera pubblica è semplicemente un non senso: «Non chiederò mai a nessuno dei nostri concittadini di non credere o di credere moderatamente».

Laicità, quindi, non significa né neutralizzazione della fede nello spazio pubblico, né limitazione della sua intensità nelle pratiche quotidiane all’interno di esso. In quanto tecnica politica, «la laicità non ha certamente la funzione di negare lo spirituale in nome del temporale, né di sradicare dalla nostra società l’aspetto sacro che nutre la vita di tanti nostri concittadini. Come capo dello Stato, io sono garante della libertà di credere e di non credere, ma non sono né l’inventore né il promotore di una religione di Stato che sostituisce la trascendenza divina con un credo repubblicano».

Al potere pubblico dello Stato compete il compito di organizzare e concertare la presenza delle religioni sul territorio della Repubblica, in una maniera che corrisponda non solo alla tradizione storica di questa articolazione ma anche alle trasformazioni in atto nella realtà sociale. Si tratta, quindi, di modificare un modello ricevuto, basato sulla configurazione prevalentemente cristiana del religioso, per renderlo abitabile ed efficace rispetto ad una diversificazione plurale dello stesso fenomeno religioso.

Due le attenzioni particolari messe in campo da Macron: da un lato, non si può ridurre il pluralismo delle religioni a un blocco indistinto e omogeneizzato, perché ciascuna religione si organizza in maniera differente dalle altre e questo deve essere tenuto in debito conto; d’altro lato, sarebbe un errore pericoloso ricondurre tutta la questione unicamente all’islam isolandolo dalle altre religioni, poiché è il quadro complessivo del rapporto fra il pubblico e le religioni che deve essere ripensato.

Si tratta di un impegno condiviso fra lo Stato e le comunità religiose, come quel «solco indispensabile del lavoro che lo Stato, per parte sua, deve fare per pensare sempre di nuovo in maniera attuale il posto delle religioni nella società e la relazione fra religione, società e potere pubblico».

Ma questa articolazione non si arresta solo a livello del diritto, essa deve ampliarsi alla dimensione della partecipazione delle religioni al dibattito pubblico sulle questioni in cui ne va dell’idea e della configurazione dell’umano che è comune a tutti noi.

Su tali aspetti Macron apre ad una consultazione che va oltre gli organi che, in un qualche modo, possono essere ricondotti all’espressione del potere statale (come, ad esempio, il Consiglio consultivo etico nazionale); introducendo in questi dibattiti «dei rappresentanti della Chiesa cattolica come dell’insieme dei rappresentanti di culto» di altre religioni.

Alla dimensione di una consulenza secondo competenza professionale si deve aggiungere, per arricchirla, la prospettiva «dei responsabili delle comunità religiose». Questo perché le possibilità delle tecniche rispetto alla manipolazione dell’umano pongono «di fronte a un problema che non può essere semplicemente deciso solo attraverso una legge, ma anche a questioni e a dibattiti profondi di carattere morale, etico, che toccano nel più intimo ciascuno di noi».

Merita, infine, un apprezzamento l’attenzione di Macron alla sfera del quotidiano come luogo di importanza pubblica della presenza delle religioni in seno alla società francese. Si tratta certo di rendere praticabile e vivibile il quotidiano per ogni fede religiosa (con riferimento in particolare all’antisemitismo e alle tendenze razzistiche che circolano in esso), ma non solo.

Il quotidiano è quel punto di contatto delle fedi con la complessa realtà del vivere delle persone nel nostro tempo, luogo di un’incessante negoziazione al loro stesso interno fra i principi e la condizione effettiva dell’esistenza umana. In questo senso, il quotidiano può diventare un punto di contatto extra-giuridico tra il dovere del potere pubblico e l’impegno confessionale delle fedi religiose – possibilità non solo di una mediazione in atto fra le due dimensioni, ma anche luogo per un reciproco apprendimento nel rispetto della diversa destinazione delle mansioni e dei compiti.

religioni e spazio pubblico

Bambini dello Youth Choir durante il concerto “Heaven Must Be Like This” ad Oklahoma City. 18.6.2018
(Nate Billings/The Oklahoman via AP)

La Francia e il cattolicesimo

È all’interno di questa visione più ampia e programmatica che si inserisce il rilancio dei rapporti fra la Repubblica e la Chiesa cattolica: un tassello importante, probabilmente sotto alcuni aspetti specifici decisivo, del mosaico complessivo della riconfigurazione della relazione fra società francese, religione e potere pubblico. Intravedendo nel cattolicesimo una forma di declinazione della religione attrezzata a innervare una dimensione che la eccede in quanto specificità confessionale.

Del discorso di Macron al Collège de Bernardins si è già detto e scritto molto, sia in chiave di un’accoglienza favorevole sia in una più critica e sospettosa. Visto l’ampio sforzo del presidente francese a ridisegnare le coordinate maggiori di una laicità non negativa, non credo sia possibile rubricarlo unicamente sotto l’ottica di un opportunismo di maniera. Si tratta, piuttosto, di un’esigenza interna al progetto che egli intende portare avanti confrontata con i sedimenti storici e ideologici, su entrambi i lati, che devono essere debitamente compresi (sul versante della storia) e resi inoperosi (su quello dell’ideologia) per attuarlo in tutto il suo respiro.

Il riconoscimento di un «logoramento del legame fra la Chiesa e lo Stato» è la premessa per un’apertura cordiale verso una nuova stagione dei rapporti fra le due istituzioni francesi; certo, diverse nel loro ordine di appartenenza e competenza, ma accomunate nell’«esercitare entrambe un’autorità e anche una giurisdizione». Fatto, questo, che, sul piano giuridico, distingue la Chiesa cattolica dalle altre confessioni religiose.

Ora, la sfida per il cattolicesimo risiede nel trovare un modo per esercitare questa sua singolare rappresentanza istituita come perno non omogeneizzante per articolare la forma pubblica della relazione con altre religioni che hanno un’organizzazione interna diversa e, sostanzialmente, pluriforme. Ma questa eventualità rappresenta un compito proprio della Chiesa stessa, sul quale lo Stato non ha un diritto di ingerenza.

Per la Chiesa cattolica si tratta un cambiamento di paradigma dovuto alla trasformazione delle condizioni storiche della presenza delle religioni nello spazio pubblico, la cui declinazione effettiva compete alla libertà dell’istituzione ecclesiale di fronte a queste stesse condizioni.

Nella distinzione degli ordinamenti, la Chiesa cattolica e lo Stato francese si trovano però accomunati nel resistere a ripiegarsi unicamente su sé stessi, su procedure di garanzia, limitandosi quindi a essere meri «gestori di quanto ci è affidato». Quello di cui si deve essere in cerca insieme è una capacità di esplorare territori insondati, a partire dalla «fragilità di ciò che ci interroga e perfino ci disorienta».

Un azzardo, questo, di cui la Chiesa è stata ed è capace, che Macron declina per il contemporaneo toccando un nodo nevralgico non solo della teologia ma anche della stessa modernità europea: «Questa parte cattolica della Francia che instilla nell’orizzonte secolare la questione inquieta della salvezza; che ognuno, che creda o meno, interpreterà a suo modo, ma rispetto alla quale ciascuno sente che essa mette in gioco la sua vita intera».

La salvezza come inquietudine che rilancia in continuazione un’interrogazione non ripiegata su se stessa, un’interrogazione che apre orizzonti e spazi verso l’altro, impegnandoci davanti a esso. Nell’auspicio che questo impegno dei cattolici, soprattutto nei confronti della «parte più fragile del nostro paese», si traduca anche in azione politica: «Quello che correi chiedervi questa sera è di impegnarvi politicamente nel nostro dibattito nazionale e nel nostro dibattito europeo, poiché la vostra fede è una parte dell’impegno di cui questo dibattito ha bisogno e perché, storicamente, voi l’avete sempre nutrito in quanto l’effettività implica di non slegare l’azione individuale da quella politica e pubblica».

Non si tratta né di assimilazione, che farebbe del cattolicesimo e della Chiesa una mera dimensione sociologica, né di un neo-imperialismo, che farebbe venire meno l’alterità spirituale della fede e della sua istituzione rispetto all’esercizio pubblico del potere politico. Piuttosto, una congenialità evangelica della Chiesa che plasma il rilievo politico dello stesso credere: ciò che Macron, rifacendosi a Mounier, chiama «l’essere intempestivo della Chiesa» come forma della sua stessa libertà.

Senza questa intempestività della fede il dover «essere dentro il tempo del paese», che è il ritmo proprio della politica, rischia di perdere il proprio respiro e di divenire pura proceduralità amministrativa.

L’asse del rapporto fra lo Stato e la Chiesa si trova, quindi, in una condizione di «permanente disequilibrio»; che però può rilanciare sempre di nuovo spazi inediti per la sua configurazione storica, al fine di scongiurare la minaccia di qualsiasi indebita totalizzazione sull’intero del vivere umano.

Mantenere il giusto assetto di questa relazione, pensandola a favore della socialità condivisa e della pluralità religiosa che in essa si inscrive, non è certo cosa facile. Ciò richiede un costante impegno da entrambe le parti, e chiede anche di lasciarsi alle spalle atteggiamenti reciproci oramai superati dall’effettività della storia: «Una volta per tutte dobbiamo ammettere il disagio di un dialogo che riposa sulla disparità delle nostre nature, ma dobbiamo anche ammettere la necessità di questo dialogo poiché abbiamo di mira, ciascuno dentro il proprio ordine, dei fini comuni che sono la dignità e il senso».

La trasformazione delle coordinate della laicità disegnata da Macron tra il 2017 e il 2018 rappresenta il punto di approdo di una consapevolezza politica, culturale e storica che deve confrontarsi con forme assodate della mentalità comune e con un sentimento diffuso di sospetto verso la religione da parte dello spirito francese. La sponda istituzionale cercata nella Chiesa cattolica appare, in un qualche modo, strategica rispetto alla riuscita del disegno complessivo. Ciò richiede però, da parte di quest’ultima, una forza ideativa e una liberalità d’animo che non sono immediatamente disponibili, ma devono essere forgiate passo dopo passo sul solco delle aperture per un ricentramento pastorale della Chiesa rese possibili in questi cinque anni da papa Francesco.

Sta alla Chiesa locale la capacità di cogliere un tornante storico che potrebbe essere favorevole e fecondo (per tutti), ma anche implodere improvvisamente su se stesso per mancanza di risorse costruttive – sia sul lato della politica sia su quello della religione.

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