Accogliendo l’invito di sua altezza lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi, sua santità papa Francesco visiterà Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), dal 3 al 5 febbraio 2019, per partecipare all’Incontro interreligioso internazionale sulla “Fratellanza Umana”. La visita avviene anche in risposta all’invito della Chiesa cattolica negli Emirati Arabi Uniti.
Non c’è dubbio che la visita del papa sarà un forte incoraggiamento ai fedeli degli Emirati Arabi e di tutto il Golfo. Mi auguro che dia anche una forte spinta al dialogo interreligioso sulla Fratellanza Umana. Ovviamente, essa sarà anche un incentivo per sempre migliori relazioni tra la Santa Sede e gli Emirati Arabi Uniti.
Tuttavia, non si possono nascondere alcune perplessità alquanto serie.
Il Bahrain aveva invitato il papa già nel 2014, gli Emirati l’anno scorso. I Paesi del Golfo sono particolarmente sensibili a quello che uno di loro fa o celebra o realizza. Per esempio, se il papa va in Spagna e non in Francia, nessuno ha niente da dire. Ma nel Golfo non è così. Il papa dovrebbe andare da tutti gli Stati del Golfo, almeno quelli che hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Non si esclude che l’invito degli Emirati, che hanno invitato il papa per ultimi e che sono esauditi per primi, disturbi alquanto la sensibilità degli altri Paesi del Golfo.
Sarebbe stato molto meglio programmare insieme una visita, anche breve, almeno ai quattro Paesi che hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Una breve visita a tutti e quattro avrebbe spento qualsiasi tentazione di gelosia.
Nel giugno 2017 gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, l’Arabia Saudita e l’Egitto tagliarono ogni comunicazione con il Qatar.
Molti tentativi sono stati fatti, soprattutto dagli Stati Uniti, per ricomporre la crisi ma tutto è stato inutile. In questa forte tensione con il Qatar, il papa privilegia una parte, mentre dovrebbe essere una persona di comunione con tutti. Non è andando in uno dei Paesi di una parte che si può aiutare a risolvere la crisi con l’altra parte. A mio avviso, era necessaria un’azione diplomatica più intensa, cosa che questa visita papale renderà ancora più difficile.
Dall’interno del Vaticano è trapelato che il papa avrà un incontro particolare con Ahmad At-Tayyeb, Imam dell’Azhar in Cairo. Non c’è dubbio che Al-Azhar è una scuola di islam sunnita universalmente riconosciuta. Ma non è di meno l’università Zeituna di Tunisi. Senza contare l’importanza della Lega Islamica mondiale di cui è segretario generale Muhammad Abd al-Karim al-’Issa, in Arabia Saudita. Privilegiare un esponente dell’islam e trascurare gli altri crea divisione tra i dirigenti islamici sunniti.
Non sembra che il papa incontrerà ad Abu Dhabi rappresentanti sciiti importanti, a meno che non siano invitati all’ultimo momento.
Lo schierarsi per i sunniti senza essersi prima assicurati che anche gli sciiti saranno invitati ad alto livello crea problemi al cosiddetto dialogo interreligioso, che è lo scopo principale della visita del papa agli Emirati, secondo il comunicato della Santa Sede. Non solo, ma un raffreddamento dell’Iran verso la Chiesa cattolica non è da escludere.
È evidente che c’è uno sfondamento dell’Egitto sunnita nei rapporti con la Santa Sede. Forse non è da escludere che, all’interno del Vaticano stesso, ci siano particolari o personali relazioni con l’Egitto, forse senza troppo valutare il ruolo della Segreteria di Stato. Ma questo non aiuta a creare comunione tra i Paesi del Golfo e tra i musulmani, come dovrebbe essere la missione del papa.
La presenza in tutti i Paesi del Golfo di cattolici di riti orientali con gravi problemi non ancora risolti dalla Santa Sede rischia di dare al papa una visione errata della realtà cattolica.
Ci si augura che questa Fratellanza Umana si realizzi in modo concreto tra tutti i Paesi del Golfo, compreso il Qatar.