«Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe”. Perciò tutti quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti, sarà tenuto a rendere ragione al Signore, se in questo caso, come in altre cose, avrà proceduto senza discrezione».
«I frati poi che vanno fra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio redentore e salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio».
Così si legge nella Regola non bollata, «la prima Regola che fece il beato Francesco e che papa Innocenzo III gli confermò senza bolla», come recitano le Fonti Francescane, nuova edizione 2004 (FF 1). Una Regola di “vita evangelica” che Francesco d’Assisi affidò ai suoi frati nel 1221 e che dedica i capitoli dal XIV al XVI alla modalità con cui i frati debbono rapportarsi andando in giro per strade e contrade, una caratteristica degli “ordini mendicanti” medievali in alternativa alla stabilitas monastica: il Capitolo XIV “Come i frati devono andare per il mondo” (FF 40), il Capitolo XV “Che i frati non posseggano bestie” (FF 41) e il Capitolo XVI “Di coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli” (FF 42-45).
Si tratta di atteggiamenti, testimoniati in prima persona dal padre Francesco, che invitava i suoi frati alla testimonianza del Vangelo personale e comunitaria.
Un esempio è la modalità di rapportarsi con i fedeli di altre religioni (oggi si parlerebbe di dialogo interreligioso, termine allora sconosciuto) che rinvia ad un evento accaduto nel 1219 in Egitto, di cui quest’anno si celebra l’8° centenario.
Qualcuno l’ha definito uno dei più straordinari gesti di pace nella storia del dialogo fra cristianesimo e islam: esattamente 800 anni fa l’incontro tra Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto Malek al-Kamel.
In piena Quinta Crociata, nel giugno 1219, Francesco, dopo alcuni tentativi falliti, sale con alcuni frati su una barca di militari e mercanti e raggiunge il porto di Saint-Jean-d’Acre, nel nord della Palestina (l’attuale cittadina israeliana di Akka) con l’obiettivo di far visita al Sultano d’Egitto. L’incontro avvenne, probabilmente, nella tregua d’armi tra agosto e settembre, nel porto di Damietta, sul delta del Nilo, a circa 200 km a nord de Il Cairo, dove il nipote del Saladino, contro il parere dei suoi dignitari, accolse i frati con grande cortesia, offrendo loro pure dei doni che vennero però rifiutati in omaggio al voto di povertà.
Un anniversario che diventa appello a continuare il dialogo con l’islam
Se le parole stesse di Francesco ci offrono una precisa indicazione delle sue intenzioni, non sono mancate negli anni, e in particolare oggi, le deformazioni e le strumentalizzazioni di un evento di cui tanto si può dire, tranne che avesse intenzioni di proselitismo, né quello di innescare, o di riattizzare, conflitti.
Come per tutte le fonti cristiane che hanno scritto di Francesco (come del resto di altri santi), gli esperti mettono in guardia dall’intento agiografico che spesso ha portato ad aggiungere particolari in libertà, peraltro privi di ogni conferma storica. È il caso dell’episodio dell’ordalia, narrato da san Bonaventura nella Leggenda maggiore al cap. 9 (FF 1172-1174) in riferimento all’incontro col Sultano, dove Francesco gli avrebbe proposto la prova del fuoco per provare la vera fede: letterati e storici – in testa Chiara Frugoni – tendono ad escluderne la veridicità per mille motivi, non ultimo l’incongruenza con quanto affermato da lui stesso.
Sgombrato il campo da ogni interpretazione lontana dall’autentico spirito francescano, cosa può dirci oggi quell’incontro in una società che spesso guarda all’islam, e in particolare agli islamici, quelli giunti fra noi, con sospetto, quando non addirittura con avversione?
«Credo che il modo più significativo di celebrare questo evento storico sarà di continuare a coltivare tutte quelle iniziative di dialogo, di incontro e di amicizia che già stiamo coltivando e che vanno nella direzione opposta alla cultura dello scontro di civiltà» ha risposto fra Francesco Patton, attuale Custode di Terra Santa, in una recente intervista a La Stampa, dove aggiungeva: «Qui abbiamo la possibilità fare questo nella vita di tutti i giorni, attraverso incontri di conoscenza reciproca e di condivisione che stanno ormai diventando regolari sia con realtà musulmane come con realtà ebraiche. Per me, poi, il grande luogo dell’incontro sono le nostre scuole di Terra Santa, dove cerchiamo di offrire anche un’educazione che coltivi lo “spirito di Damietta”, cioè dell’incontro vissuto in modo così profondo e reciproco da san Francesco e dal Sultano Malek al-Kamel, otto secoli fa, in piena Quinta Crociata. Personalmente poi ritengo che il “sognatore” Francesco abbia dimostrato molta più lungimiranza, senso pratico ed efficacia di tutti coloro che preferivano lo scontro al dialogo. Il risultato sta proprio nel fatto che, a distanza di otto secoli, noi francescani siamo ancora in Terra Santa vivi e attivi».
E, sull’accoglienza di chi appartiene ad un’altra religione – come nel caso dell’islam –, essendo fra Patton di sede a Gerusalemme, il suo discorso si allarga, com’è naturale, anche all’ebraismo: «Per me il cuore della nostra esperienza sta nel fatto che siamo chiamati a osare di entrare in relazione con le persone. Noi non incontriamo “i musulmani” o “gli ebrei”, noi incontriamo persone che vivono la loro fede musulmana o ebraica, e oggigiorno anche persone che non vivono dentro l’orizzonte della fede, ma sono appunto persone con le quali è possibile entrare in relazione, fare un tratto di strada assieme e perfino cooperare. Faccio qualche esempio: la nostra scuola di musica, che non a caso si chiama Magnificat ed è affiliata al Conservatorio di Vicenza, ha al proprio interno docenti e studenti che sono ebrei, musulmani e cristiani e l’esperienza del suonare assieme è una scuola straordinaria di convivenza e anche di amicizia. Tra i nostri collaboratori non ci sono solo cristiani, ma anche ebrei e musulmani che, collaborando con noi si trovano a collaborare anche tra di loro e lo fanno per una istituzione cristiana com’è la Custodia di Terra Santa».
In merito all’impatto dell’incontro del 1219 e alla sua attualità, abbiamo sentito anche fra Michael Cusato, francescano di Washington e docente di studi francescani al Franciscan Institute della St. Bonaventure University. Cusato è stato anche consulente scientifico per la realizzazione del docufilm realizzato nel 2016, dal titolo Sultan and the Saint, prodotto dalla Unity Productions Foundation e sponsorizzato dagli ex alunni (tra gli interpreti Alexander McPherson). «Il film, attraverso rievocazioni cinematografiche e interviste con esperti di fama – storici, critici d’arte, filosofi e neuroscienziati –, racconta dell’improbabile incontro, nel corso di un terribile periodo di guerre di religione, tra due uomini che hanno scoperto un modo per ritrovare la pace», si legge sul sito web dell’ateneo.
Per cominciare: cosa conosciamo di quell’evento?
«Anche se non ci sono molte fonti sull’incontro e quelle che abbiamo sono per lo più agiografiche (non in senso stretto, ma usate per rappresentare la persona di Francesco come un santo o comunque una persona santa), l’incontro è menzionato nel capitolo 20 della Vita Prima (un’agiografia) di Francesco, scritta da Tommaso da Celano nel 1229 (FF 422).
La medesima vicenda è stata raccontata da Henry d’Avranches nella sua Vita di Francesco, (un poema in versi basato su 1 Celano) e nella Vita di Francesco di Julian of Speyer: queste due fonti sono state scritte entrambe alla metà degli anni 1230 e derivano sempre da 1 Celano.
Ma abbiamo anche l’importante testimonianza di Jacques de Vitry: un religioso di fama che divenne vescovo di Acri (in Terra Santa) e, in seguito, cardinale della Chiesa cattolica. Egli era in Terra Santa all’epoca dell’incontro (probabilmente nell’agosto 1219) e ci fornisce un racconto (FF 2226-2228), per nulla agiografico, di Francesco che attraversa le linee tra i due campi, nella pianura poco fuori Damietta, e quindi dell’incontro sotto la tenda del Sultano Malek al-Kamel.
De Vitry riporta addirittura un congedo molto interessante da parte del Sultano che avrebbe detto a Francesco: “Prega che Dio possa mostrarmi la strada giusta per proseguire”, una richiesta davvero inattesa per una preghiera da parte di Francesco per lui.
E, da ultimo, abbiamo anche – a mio avviso – alcune straordinarie prove indirette dell’incontro che sono contenute nella Chartula di san Francesco del 1224 (FF 262), nel cui rovescio (ne sono convinto e l’ho anche scritto) ha redatto di suo pugno una preghiera per invocare la protezione sul santo (frate Leone, ndr), ma dove disegna anche una sorta di “cartone animato” in cui una figura dalle fattezze di un musulmano sta “confessando” la croce di Cristo: quasi una preghiera che potrebbe testimoniare che al-Kamel avrebbe confessato il Cristo prima della sua morte (poiché presto sarebbe stato nuovamente attaccato dalle milizie venute dall’Occidente)».
– Che effetto ha avuto l’incontro a suo tempo?
«Questo più difficile a dirsi. Da un lato, non sono stati molti i frati ad aver compreso allora, o quantomeno accettato, la radicalità dell’intuizione di Francesco, ossia che il Sultano e tutti i musulmani erano davvero suoi fratelli e sorelle e che un ulteriore spargimento di sangue avrebbe costituito una violazione della sacra fraternità umana voluta da Dio per TUTTE le sue creature. Il che taglia la testa al toro alla convinzione che Francesco avesse qualcosa da spartire con le Crociate… Certo questa era una posizione controcorrente rispetto alla cultura dell’epoca: una novità che ben pochi potevano cogliere o anche solo immaginare di poter seguire poiché la maggior parte non aveva l’esperienza di conversione di Francesco che vedeva ogni uomo e donna, anche chi allora era considerato “l’infedele”, come un fratello o una sorella.
In sostanza, la visione di Francesco non è stata realmente seguita neppure dai suoi stessi fratelli. Né, d’altro canto, vi è stato molto seguito all’interno della stessa Chiesa.
Da parte musulmana, l’incontro del Sultano con Francesco lascia appena una traccia nella storiografia: semplicemente a loro non interessa molto. Anche qui sono pochi in campo musulmano ad afferrare il significato del gesto. Del tutto inutile cercarne qualsiasi traccia. Potremmo eventualmente trovare gli effetti dell’incontro su Francesco stesso attraverso la lettura dei suoi scritti successivi, ma non è il caso di dilungarci…
In sintesi, non si può affermare che esista un legame diretto tra l’incontro e gli eventi che si sono verificati successivamente. Le Crociate continuarono come iniziativa politica papale e i musulmani continuarono a combattere per garantirsi la sovranità sul territorio in Medioriente.
Lo stesso Sultano, conosciuto per il suo carattere aperto, riportò in una cronaca locale di “aver trattato i crociati catturati nel 1222 con grande rispetto e cortesia”. Si potrebbe leggere tutto questo come un riflesso del rispetto reciproco mostrato da Francesco e al-Kamel nel corso del loro incontro; o potrebbe semplicemente essere letto come un atto straordinario di gentilezza e cortesia mostrato da questo credente musulmano ai suoi prigionieri cristiani…».
– Quali i riflessi per l’oggi?
«L’incontro spalanca senza dubbio prospettive nuove per esplorare lo spirito di reciprocità tra fedi e culture talvolta considerate come antagoniste. Esso rappresenta un esempio straordinario di ciò che è possibile quando cerchiamo e troviamo il terreno comune della nostra umanità e della sacralità della creatura umana creata dall’unico Dio che condividiamo con tutti gli uomini, comunque suoi figli.
L’incontro mostra che secoli di colonizzazione e battaglie – che hanno segnato la relazione dell’Occidente con l’islam e i suoi territori – possono essere riscritti in modo da trasformare le proprie spade in vomeri così da stringere le mani in un’amicizia radicata nella nostra comune umanità. E può anche aprire la possibilità di un dialogo da parte musulmana che spesso appare mostrare davvero scarso interesse per colmare il divario tra queste due grandi religioni monoteiste, tanto che ne abbiamo solo un minimo numero di esempi promettenti.
E, proprio sulla scia dell’11 settembre, questo è emerso come uno dei segnali più chiari: che la riconciliazione e la convivenza sono ancora possibili tra coloro che sono disposti a sostituire la spada con una stretta di mano».
Scarso l’interesse dell’islam, ma forte l’impatto in campo cristiano
Sono diverse le fonti cristiane che raccontano di questo episodio: oltre alla citata Vita Prima di Tommaso da Celano al cap. 20 (FF 422), le più agiografiche, come la Leggenda maggiore di san Bonaventura al cap. 9 (FF 1172-1174), la Leggenda minore al cap. 3 (FF 1356), e i Fioretti al cap. 24 (FF 1855). Tra quelle più attendibili, oltre alle Lettere di Jacques de Vitry (FF 2226-2228), la Cronaca di Ernoul (2231-2234).
Tutto il contrario si registra invece in campo islamico, dove «nessuno storiografo, contemporaneo o posteriore a san Francesco e al Sultano Malek al-Kamel, ci ha lasciato una descrizione compiuta o almeno un semplice accenno a questo incontro» come ricorda Bartolomeo Pirone, studioso di storiografia islamica e membro del Centro francescano di Studi orientali a Il Cairo, il quale sottolinea come si siano verificati anche alcuni equivoci circa presunte fonti e testimonianze islamiche, prive però di ogni conferma storiografica.
Nel mondo occidentale, invece, dal Medio Evo ad oggi l’evento ha acquistato sempre maggiore importanza, sollecitando la fantasia di poeti, scrittori, pittori, e, più di recente, anche il cinema e la musica. Non si possono dimenticare, infatti, i versi di Dante (100-102) nell’XI Canto del Paradiso (FF 2110) e l’affresco attribuito alla Scuola di Giotto che si può ammirare in tutto il suo splendore frutto del recente restauro nella Basilica superiore di san Francesco ad Assisi (dove è raffigurata la presunta prova dell’ordalia).
Uno dei testi moderni più significativi lo dobbiamo invece al cantautore Angelo Branduardi che all’evento ha dedicato una canzone – “Il Sultano di Babilonia e la prostituta” –, nel suo album monografico del 2000, tutto basato su testi ed episodi francescani, dal titolo L’infinitamente piccolo).
Il messaggio per un’autentica testimonianza evangelica
Altamente significativa anche la testimonianza di un altro francescano, il francese Gwénolé Jeusset ofm, componente della Fraternità internazionale di Istanbul per il dialogo interreligioso e già presidente della Commissione internazionale francescana per le relazioni con i musulmani, membro della Commissione vaticana per i musulmani e già responsabile della Commissione della conferenza episcopale francese per il dialogo con l’islam (autore anche di diversi testi sul tema, fra i quali Francesco e il Sultano tradotto nel 2008 da Jaca Book).
Fra Jeusset era intervenuto anche ad Assisi nel 2016 nel corso dell’incontro delle religioni per la pace proprio in merito all’episodio in questione e rinvia spesso nei suoi interventi alla dichiarazione conciliare Nostra aetate – il documento del Vaticano II sulle religioni non-cristiane – e va ricordando come ci vollero sette secoli prima che Charles de Foucauld riscoprisse questo metodo di presenza e condivisione fraterna seminando pace e giustizia, una modalità testimoniata fino al dono della vita dai monaci di Tibhirine sui monti dell’Atlas, catturati e uccisi da una banda di guerriglieri islamici nel 1996 e beatificati lo scorso 8 dicembre insieme ad altri che costituiscono il gruppo dei “martiri d’Algeria”.
Le celebrazioni dell’8° anniversario (che hanno già avuto un prologo a Il Cairo nell’ottobre 2017 e che seguono di un anno quelle dell’8° centenario della presenza dei Frati in Terra Santa) saranno diverse e ad ampio raggio, come ha sottolineato fra Francesco Patton, Custode di Terra Santa, nella citata intervista: «Ci saranno ovviamente delle vere e proprie celebrazioni, corredate di eventi culturali e di studio, sia in Italia, sia qui a Gerusalemme, sia in Egitto e quasi certamente ci sarà una mostra dedicata a questo evento anche al Meeting di Rimini».
Dove altresì aggiungeva riguardo all’incontro fra persone di diversa fede: «Se noi abbiamo il coraggio di incontrare le persone e anche quello di collaborare con istituzioni musulmane che lavorano nel campo della cultura e dell’educazione potremo certamente contribuire a ridurre tra gli stessi musulmani forme di interpretazione fondamentalista del Corano che portano poi anche a una deriva di tipo terrorista. Per quel che riguarda il mondo ebraico, è esso stesso un mondo con molte differenziazioni interne. In questi ultimi anni abbiamo intrapreso un percorso di collaborazione e di amicizia con la comunità ebraica di Ain Karem, ma non solo. Anche in questo caso la cultura è un terreno di incontro molto importante, ma lo è anche la spiritualità. È poi fondamentale la conoscenza della storia per evitare di ripetere errori che nel passato hanno portato a vere e proprie tragedie, come quella della Shoah nel ’900».
E, riguardo allo stile cristiano che ci viene anche dall’incontro di Francesco e il Sultano: «Da francescano mi viene da dire che la testimonianza efficace ha sempre una connotazione di “minorità”, è cioè un entrare nella vita degli altri in punta di piedi, senza pretese, con apertura di cuore e disponibilità. Se non c’è questa premessa, le nostre parole, che pure sono molto importanti e devono essere un’eco della Parola, risuoneranno a vuoto o come un tentativo di persuasione che non sa rispettare l’azione dello Spirito nella coscienza del fratello».
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