Si affolla di donne la sala cinema della sezione femminile della casa circondariale di Bologna, dove abbiamo organizzato la proiezione di una fiction araba del 1963 (!) sulla vicenda umana e spirituale della regina del sufismo islamico: Rābiʿa al-ʿAdawiyya, vissuta milleduecento anni fa, giusto ieri.
I dialoghi sono in lingua originale, senza sottotitoli, ma l’effetto della proiezione sulle signore presenti è magnetico, anche per la voce magica di Umm Kulthum, la cantante egiziana che sino ad oggi accompagna l’ingresso nel sonno di milioni di persone, tra Medio Oriente e Nord Africa.
Le detenute arabofone fanno da interpreti alle altre, traducendo come riescono e aggiungendo i propri commenti, che trovo non meno interessanti dei dialoghi originali.
Tra loro c’è chi è stata condannata per furto, chi per spaccio, chi per lesioni, chi per omicidio. Ma tra le loro esistenze così ristrette e quella della mistica di Bassora, consumatasi in digiuni, veglie e rinunce ai piaceri del mondo, compresi quelli del talamo, c’è un legame profondo.
In questo incontro ravvicinato tra donne, apparentemente così diverse, leggo la capacità dell’esperienza mistica di passare sotto ai confini, navigando nelle acque invisibili dell’anima. La dimensione contemplativa non esclude nessuno, è per sua natura una casa comune, o meglio un fiume sotterraneo.
Manifestazioni spirituali nell’Islam
È questo il messaggio globale che ricavo dalla lettura di Manifestazioni spirituali nell’Islam, un’ampia e accurata selezione di detti e aneddoti di diciotto maestri della mistica islamica, tra il VII e il IX secolo, cioè l’epoca d’oro, con ampia introduzione storica e tematica.
Padre dell’opera è Giuseppe Scattolin, religioso comboniano che al sufismo ha dedicato la sua lunga carriera di studioso.
Il testo originale, in lingua araba, era uscito in Egitto nel 2008, e aveva goduto di una diffusione considerevole, coronata da tre ristampe. Ora parla anche in italiano, grazie al co-curatore Riccardo Paredi e alla schiera di traduttori che hanno collaborato alla produzione del libro pubblicato da Officina di Studi Medievali.
Ma il sufismo è vero islam?
La risposta che viene dalle pagine del libro è un sì convinto. All’innegabile contributo di idee e stimoli caratterizzante il mosaico di civiltà, nell’area geografica dove nasce e si sviluppa la religione della mezzaluna, bisogna aggiungere il profondo radicamento delle prime generazioni di asceti musulmani nel “fondo islamico”.
Il loro libro è il Corano, il loro modello è ciò che si narra della pietà di Muhammad, la loro aspirazione è quella di salvaguardare tale pietà dalla deriva mondana indotta dalle vittorie militari, dall’opulenza che ha invaso prima Damasco poi Baghdad, con tutto l’immaginabile contorno di corruzione e asservimento del sacro a interessi personali.
Nel comportamento e nell’insegnamento delle prime generazioni di sufi c’è qualcosa che richiama gli inizi del monachesimo, come movimento di reazione alla mondanizzazione della Chiesa, dopo la “conversione” al cristianesimo dell’Impero Romano, nel IV secolo.
Ritorno alla purezza
L’appello alla purezza della pietà non esaurisce la battaglia intra-islamica dei sufi: essi, infatti, aggiungono che la “dimensione legale”, scolpita nella parola sharīʿa, non è sufficiente a tenere in vita la religione, anzi rischia di soffocarla. Non negano la sharīʿa, la praticano, ma al tempo stesso ne temono i rischi.
A differenza del cristianesimo – e in linea con il giudaismo rabbinico – l’islam si è dotato di un apparato normativo estremamente articolato, che tocca potenzialmente tutti gli ambiti della vita, a partire dal culto, materia di apertura di tutti i manuali di diritto musulmano.
L’obbedienza alla norma esprime la virtù fondamentale del credente, che è l’umile sottomissione a Dio. In mancanza di un “fuoco interiore” continuamente alimentato, questa virtù rischia però di spingere a una pratica meccanica, senz’anima.
Ecco allora il soccorso apportato dai mistici: una via che va dall’esteriore all’interiore, verso il traguardo della haqīqa, termine che esprime l’anelito al supremo incontro con Dio, Verità ineffabile che trascende ogni rappresentazione e attesa, poiché Dio è sempre più grande della religione “istituzionale”.
Pentagramma dell’umano
C’è poi un ponte di valori, che il sufismo lancia alle altre sponde culturali e religiose. Giuseppe Scattolin lo definisce “pentagramma dell’umano”, vedendolo formato da amore, misericordia, verità, giustizia e pace:
«La centralità di queste qualità – scrive nell’introduzione al volume – può essere facilmente trovata nelle più diverse religioni. Nella Bibbia, ad esempio, abbiamo molti brani che esortano a praticare la vera religione, che è quella della misericordia e dell’amore contro ogni esteriorismo religioso».
Il pentagramma delle più alte virtù sufiche può così diventare un terreno comune di buone pratiche quotidiane, in quel “dialogo della vita” considerato pilastro e punto di verifica della qualità del dialogo interreligioso al livello teologico.
Spirito critico
Ovviamente non è tutto oro quel che luccica, perché anche il sufismo ha i suoi lati oscuri: dalla fascinazione che il jihad armato ha esercitato su molti suoi membri (sino a oggi) al coinvolgimento storico nel commercio degli schiavi in Africa, sino ai rischi del particolare rapporto interpersonale tra il Novizio e il suo Anziano che, secondo una definizione famosa è paragonabile allo stato d’impotenza del cadavere nelle mani di chi lo lava. Queste e altre ombre fanno del resto parte di ogni esperienza umana, religiosa ma anche laica, cosa che richiede sempre grande prudenza e spirito critico.
Nessuna critica può però cancellare il valore profondo dell’avventura mistica islamica e della sua intrinseca capacità di fare ponte tra mondi.
Se ne ha una dimostrazione limpida nella parola di ringraziamento che Ahmad al-Tayyeb aveva voluto inserire al termine dell’introduzione dell’edizione araba (poi ripresa in quella italiana):
«Questa Antologia ha raccolto e messo insieme le più rare perle dei poemi sull’amore divino e i suoi segreti, e un grande numero di espressioni sufi che raramente si trovano radunate in un solo libro. Ciò che più stupisce il lettore di questa ricca composizione letteraria è che il suo compositore è il prof. Giuseppe Scattolin … Noi, gente della lingua araba, gli dobbiamo quindi un grande apprezzamento e un cordiale grazie, insieme al suo discepolo e compagno Ahmad Hasan».
Colui che al tempo della pubblicazione era rettore magnifico dell’Università al-Azhar, e che in seguito avrebbe scritto con papa Francesco il Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, ringrazia in questo modo uno studioso non musulmano, italiano per cittadinanza, cristiano per professione di fede, religioso per scelta di vita, a motivo del servizio reso ai lettori di cultura araba, musulmani in testa. Una circolazione virtuosa – quella delle acque sotterranee – che merita d’essere alimentata con nuovi affluenti.
Giuseppe Scattolin, Riccardo Paredi (a cura), Manifestazioni spirituali nell’Islam. Antologia di alcuni testi fondamentali del sufismo classico (secoli I/VII – VII/XIII) tradotti e commentati. Edizione integrale, Officina di Studi Medievali, Palermo 2021, 552 p.