«Il dialogo interreligioso ha una funzione essenziale per costruire una convivenza civile, una società che includa e che non sia edificata sulla cultura dello scarto, ed è una condizione necessaria per la pace nel mondo». Così ha esordito il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, nella prolusione “Religioni e fratellanza in Europa, oggi. L’esortazione dell’enciclica Fratelli tutti” per il Dies academicus della Facoltà teologica del Triveneto, svoltosi a Padova il 15 marzo 2022 a cui il cardinale, per sopraggiunti motivi personali, non ha potuto essere presente, ma ha inviato il testo che è stato letto e diffuso.
Quando l’identità è forte e strutturata non teme il dialogo e il confronto né avverte l’altro come un nemico o una minaccia. «Consapevoli della propria identità, non si diventa integralisti, ma capaci di confronto» ha affermato, e ha proseguito: «Non diciamo che tutte le religioni sono uguali ma che tutti i credenti, quanti cercano Dio e le persone di buona volontà prive di un’affiliazione religiosa, hanno pari dignità. Siamo tutti membri dell’unica famiglia umana e come tali abbiamo uguali diritti e doveri in quanto cittadini di questo mondo».
La sfida dell’Europa
Oggi le società europee sono segnate dalla crisi del rispetto della dignità umana, dal decadimento della famiglia, dalla fatica ad accogliere e integrare l’altro bisognoso e dalla mancanza di speranza in tanti giovani. Spetta anche agli appartenenti alle diverse tradizioni religiose il compito di formare le coscienze per dare risposte “fraterne” a problemi quali la questione migratoria, la crisi economica, l’invecchiamento della società, la violenza nelle periferie delle città, l’emergenza sanitaria.
«Anche se la globalizzazione ha fatto cadere tante frontiere, il mercato globale e gli egoismi nazionali stanno erigendo rapidamente nuovi muri dietro ai quali i poveri vengono criminalizzati sempre di più. I migranti che scappano dalla guerra, dal cambiamento climatico o dalla povertà si vedono respinti in un modo fino a poco tempo fa inimmaginabile dal continente che si vanta di essere quello della tolleranza e dei diritti».
Ayuso ha aggiunto: «Assistiamo alla crescita di partiti populisti, movimenti identitari i quali, malgrado la secolarizzazione diffusa, fanno spesso un richiamo alla fede cristiana, come elemento dell’identità nazionale o europea». Ciò di cui abbiamo bisogno è «un’Europa unita, pacificata e solidale, che non speculi sui conflitti sociali e sulle divisioni politiche, che non pratichi l’incultura della paura e della xenofobia, ma che costruisca la cultura della fraternità e della solidarietà per un nuovo sviluppo della promozione umana. È perciò indispensabile ritrovare la grande tradizione del dialogo, del confronto tra le culture e le religioni».
In un contesto secolarizzato come quello europeo, il compito più importante che spetta alle persone di diverse tradizioni religiose è forse quello della testimonianza religiosa, poiché è indispensabile che Dio rimanga, almeno come interrogativo, nell’orizzonte della società. «È anche nell’interesse dei responsabili delle società favorire il dialogo interreligioso e attingere, dal patrimonio spirituale e morale delle religioni, tanti valori suscettibili di contribuire all’armonia, all’incontro delle culture e al consolidamento del bene comune».
“Armiamo la gente con la cultura del dialogo e dell’incontro”
Che cosa possono fare i credenti per contribuire concretamente al bene comune?
Una prima sfida – spiega il cardinale – è quella di uscire da sé per andare incontro all’altro, dimostrando che è possibile vivere la differenza nella fraternità: «Coltivare la diversità e integrare le realtà differenti non è un processo semplice ma è l’unica via in grado di garantire una pace solida e duratura; è un impegno che chiede il rafforzamento delle capacità di dialogare con l’altro». Le scuole, le università, le istituzioni educative possono svolgere una missione culturale ed educativa che può favorire negli anni la trasformazione della nostra società in un luogo accogliente e favorevole al dialogo.
La seconda sfida, in un’ottica di convivenza, è di non accontentarsi di idee astratte sul dialogo ma di vivere insieme e nei fatti il servizio ai più indigenti. Le diverse crisi, economica, sanitaria, ambientale… richiedono interventi urgenti e non possono essere ignorate da nessuno. «La responsabilità della difesa della dignità umana è universale e fa parte della coscienza dell’essere umano».
Un terzo punto è il passaggio dalla solidarietà – che cerca di rendere tutti uguali, di colmare le disuguaglianze – alla fratellanza, che sancisce il diritto di crescere come persone diverse, combinato con il dovere di mettere questa diversità al servizio del bene comune. «Prenderci cura del mondo – ha sottolineato Ayuso – è prenderci cura di noi».
La quarta sfida è il dialogo fra le religioni al servizio della pace. «È vero che le religioni non hanno forza politica per imporre la pace ma, trasformando l’uomo dal di dentro, invitandolo a distaccarsi dal male, lo guidano verso un atteggiamento di pace. Le religioni hanno pertanto una responsabilità decisiva nella convivenza tra i popoli: il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessuto civile e libera dalla strumentalizzazione delle differenze religiose a fini politici». Ciò richiede audacia e coraggio, spinge ad abbattere i muri che separano gli uni dagli altri e ricorda che il destino dell’uomo va al di là dei propri beni terreni inquadrandosi in un orizzonte universale.
«Oggi urge realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro».
L’enciclica Fratelli tutti invita ciascuno a diventare artigiano della pace perché – come ci ricorda papa Francesco – la guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male.
Teologia del dialogo e dell’accoglienza
La necessità di un’educazione più sistematica al dialogo va inquadrata in una più generale necessità di ripensamento della formazione teologica come esige la realtà di una “Chiesa in uscita”. C’è un assoluto bisogno di persone che siano preparate e formate per essere in grado di vivere e di operare da cristiani in un mondo globalizzato e segnato dalla pluralità delle culture e delle religioni.
«Ci sarebbe ampio spazio per pensare e formulare in maniera sistematica una “teologia del dialogo” nella formazione degli operatori pastorali, in vista di costruire insieme a tutte le istanze della società una “cultura del dialogo”, nella quale tutte le persone, a qualsiasi religione appartengano, siano considerate soggetto con cui relazionarsi e ascoltarsi reciprocamente e non oggetto di studio o entità da cui prendere le distanze, in nome di una presunta superiorità o di un presunto possesso della verità». Per questo non bastano le presentazioni, pur necessarie, delle singole religioni: serve piuttosto una formazione del soggetto, che sia, nello stesso tempo, forte nella propria religione e aperto all’accoglienza della narrazione dell’“altro” nella sua irriducibile diversità.
«La teologia del dialogo interreligioso, disciplina ben radicata nella parola biblica, fortemente interdisciplinare ma ancora giovane nell’ottica della Chiesa cattolica, è chiamata a ripensare il proprio paradigma alla luce delle attuali, rapidissime trasformazioni antropologiche, sociali e culturali. Del resto, siamo ben consapevoli – come continua a ripetere papa Francesco – che siamo nel mezzo di un cambiamento d’epoca e non semplicemente in un’epoca di cambiamento».