La drammatica morte di don Jacques Hamel (86 anni), sgozzato mentre celebrava la messa a Saint Etienne du Rouvray (Rouen, Francia, 26 luglio), segna il passaggio di una soglia ulteriore del fondamentalismo islamico terrorista, ultimo episodio di una lunga serie di attentati in Francia, Europa e nel mondo. Per non essere prigionieri delle emozioni e dell’onda mediale è utile ricordare che l’interpretazione è più importante del fatto e che le azioni successive sono più importanti delle interpretazioni.
Non ci vuole alcun coraggio e qualità per aggredire un anziano sacerdote in una chiesa semivuota durante una celebrazione feriale. È richiesta una maggiore destrezza per un furto in un supermercato e un maggiore impegno nel rubare un capo di bestiame. Ma la forza simbolica del gesto è quella di violare un luogo sacro, una persona sacra, una celebrazione del mistero cristiano. Cioè di “terrorizzare” gli infedeli nel loro patrimonio simbolico, seppur largamente ignorato nell’attuale società francese (ed europea). Difficile sottovalutarne l’impatto sia fra i popoli islamici sia fra quelli del continente. La reazione della Chiesa cattolica e di molte altre Chiese cristiane è all’altezza della sfida, esemplarmente espressa da p. Christian de Chergé, uno dei sette monaci sgozzati a Tiberine nel 1996: «Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese». La banale secolarizzazione che avvolge l’Occidente minaccia di non percepirne il valore.
Ma il fare successivo è più rilevante dell’interpretazione. Questo significa per le comunità cristiane la fedeltà alla coltivazione del dialogo, dell’aiuto reciproco e della compassione. Vuol dire continuare un percorso di ricerca esigente sia sul versante teologico, come su quello morale. Per le comunità islamiche esso esige non solo la condanna e la distanza rispetto alla disumanità fatta passare per ideale anche religioso, ma l’esercizio della denuncia diretta. I terroristi non sono “fratelli che sbagliano”, sono un cancro che corrompe il Corano. Per le società e le istituzioni occidentali non sarà più possibile accontentarsi di una neutralità formale senza impegnarsi nella costruzione di una alleanza con tutti quelli che alimentano i valori dell’ethos collettivo di cui la democrazia ha assoluto bisogno. Prima che sia troppo tardi.