Una pagina di Sofia Cavalletti (1917-2011), ripresa dal suo libro Ebraismo e spiritualità cristiana, ed. Studium 1966, mi sembra importante per la riflessione che la Chiesa sta facendo nel passaggio “tra lockdown sanitario e countdown litugico” (così Marco Casadei in SettimanaNews).
La storia d’Israele è fondamento della storia della Chiesa, è esemplare in ogni sua tappa, perché ciascuna è rivelativa dell’agire di Dio nella sua volontà di vivere in alleanza con il suo popolo. Una tappa certo privilegiata è quella segnata dall’esilio.
Così scriveva Sofia Cavalletti: «È noto che la Sinagoga è un’istituzione che risale all’esilio; privati del Tempio, e quindi della possibilità di offrire a Dio il culto cruento, gli ebrei cercano di supplire a così grave mancanza con i mezzi a loro disposizione. Il Signore aveva legato la sua presenza in modo particolare al Tempio e, dopo la distruzione di esso ad opera dei babilonesi, il Signore stesso era in qualche modo in esilio. Tuttavia egli parlava attraverso la sua Legge, e l’unico modo rimasto agli ebrei esiliati per restare in comunicazione con il loro Dio era rimeditarne la Parola, che è un modo della sua presenza in mezzo ad essi.
Ma la Sinagoga non deve la sua origine soltanto a cause storiche contingenti, tanto è vero che, venute meno tali cause con il ritorno alla terra dei padri e con la ricostruzione del Tempio, la Sinagoga non solo non muore, ma si diffonde, dimostrando di essere quanto mai vitale. Essa infatti affonda le sue radici in una reale esigenza religiosa, che vediamo approfondirsi e propagarsi sempre più, man mano che il tempo passa: una più profonda penetrazione della religione nella vita quotidiana e una più attiva e viva partecipazione ad essa anche da parte delle classi non sacerdotali… Mentre nel Tempio le prerogative sacerdotali sono riservate a un’aristocrazia ereditaria, le correnti pietistiche – che noi chiameremmo “laiche” – affermano che tutto Israele “è regno sacerdotale e popolo santo”.
Il “laicato” va all’assalto del Tempio arroccandosi sullo stesso Monte Sion, dove, contendendo il terreno al Santuario, sorge, già in epoca pre-cristiana, una sinagoga – documentata dalla più antica iscrizione sinagogale – un luogo, cioè, dove il culto della Parola di Dio è aperto a tutti e non riservato alla sola classe sacerdotale, perché lì ogni israelita può venir chiamato a leggere e a spiegare la Scrittura. Il “laicato” s’inserisce nella stessa vita liturgica del Tempio: si creano le “stazioni”, cioè gruppi di israeliti che, a turno, rappresentano il popolo durante l’offerta del sacrificio, e si dà ad esse tanta importanza da affermare che è per loro merito che il cielo e la terra sussistono» (pp. 91-92).