L’ISIS ha annunciato il conio di nuova valuta in oro, argento e rame per sottrarsi – affermano – alle manipolazioni delle banche centrali. Avrà successo?
Questa iniziativa è un passo significativo verso la presa di distanza della Ummah dall’impiego di valute non più supportate da metalli preziosi, e i cui valori sono costantemente manipolati dalle banche centrali delle rispettive nazioni
Forse pochi sanno che l’ISIS, o cosiddetto califfato islamico dell’Irak e della Siria, nel suo picco di “gloria” aveva annunciato l’introduzione della propria valuta: Dīnār d’oro da 4,25 grammi; Dirham d’argento da due grammi; Fulūs di rame da dieci grammi.
La filosofia dell’operazione era stata spiegata così su Dabiq (n. 5/2014, p. 19), il suo organo di propaganda in lingua inglese: «Nel tentativo di districare la Ummah dal sistema finanziario globale corrotto e basato sugli interessi, lo Stato Islamico ha recentemente annunciato il conio di nuova valuta in base ai valori intrinseci di oro, argento e rame. Questa iniziativa è un passo significativo verso la presa di distanza della Ummah dall’impiego di valute non più supportate da metalli preziosi, e i cui valori sono costantemente manipolati dalle banche centrali delle rispettive nazioni».
A prescindere da ogni considerazione di contesto, l’operazione mediatica può essere letta come annuncio del ritorno a un’economia fondata su valori reali, un’economia di valore, alternativa a quella della speculazione finanziaria senz’anima, dominante nell’era della globalizzazione e i cui disastri sono sotto gli occhi di tutti.
L’islam ambisce oggi a proporsi come “terza via” e punto di equilibrio tra capitalismo e socialismo. Equilibrio non facile da trovare: da una parte, si tratta di fare spazio a “hubb al-tamalluk”, il desiderio di possedere che, come gli altri istinti (sessualità, appetito dei cibi, cura del corpo ecc.), è creato da Dio in ogni persona. Esso è dunque pienamente legittimo e deve potersi esprimere in tutti i campi della vita.
Dall’altra parte, questo “orientamento al mercato” non deve oscurare la signoria di Dio, facendo dimenticare che uomo e donna, al pari dei jinn, sono stati creati per il suo esclusivo servizio (Cor 51,56).
Similmente a quanto espresso dal detto evangelico sull’inconciliabile conflitto tra Dio e Mammona (Lc 16,13), anche nell’islam l’avidità è una forma di “idolatria pratica”: in un hadīth (narrazione attribuita a Muhammad) particolarmente impressionante, l’avaro si presente al Giudizio di Dio con gli adorati beni avvinghiati al collo, come serpenti velenosi.
Partendo da una critica dei disastri prodotti da entrambi gli orientamenti moderni (capitalismo e socialismo), l’ambizione islamica è quella di porsi all’avanguardia di soluzioni per uno sviluppo sostenibile.
La proibizione di “ribāʾ”, il prestito usuraio (Cor 2,275-279), spinge a rimodellare l’attività bancaria, al fine di ridurre la forbice tra mercato dei capitali ed economia reale. Le banche devono mettersi davvero al servizio della comunità, sostenendo l’imprenditoria (inclusa quella più marginale) e allargando la base sociale di accesso alla proprietà, piuttosto che prosperare alle spalle dei debitori.
Nel corso degli ultimi decenni sono stati così lanciati prodotti finanziari variamente denominati ma ispirati da un’idea comune: chi fornisce denaro partecipa al progetto di chi lo riceve, rischi compresi.
Il successo di questa alternativa alla logica speculativa “classica” è stato travolgente, con un giro d’affari che va verso i tre trilioni di dollari.
Non mancano però voci critiche, che dubitano della reale “islamicità” di questi prodotti, come messo in luce da Masudul Alam Choudury, uno dei massimi economisti musulmani: «L’intero pacchetto degli strumenti di debito, diventato asse portante della finanza islamica, contraddice la natura propria del principio sciaraitico».
Secondo altri due esperti, Jan Shafiullah e Mehmet Asutay, è evidente che anche in campo economico la proposta islamica della “terza via” è attesa alla prova dei fatti: «I paesi in via di sviluppo e l’Ummah musulmana in particolare stanno soffrendo di problemi economici come disoccupazione, inflazione, distribuzione ineguale della ricchezza… che presentano all’IME [Islamic Moral Economy] serie sfide. Se l’IME può offrire soluzioni a questi problemi, sarà accettato dal mondo come sistema alternativo».
Sul filo sottile della fedeltà alle Fonti e della capacità di reinterpretarle in modo creativo, per rispondere ai problemi concreti delle persone, nei più diversi contesti di vita, si gioca molto della credibilità dei Sapienti musulmani, così come della possibilità di fare sentire la loro voce fuori dai confini della Ummah.
- Originale integrale su OASIS.