Nel quadro celebrativo per il 25º della fondazione dell’Università di Milano-Bicocca, la Scuola di dottorato dell’ateneo milanese, in collaborazione con il Corso di dottorato in scienze giuridiche, ha promosso un evento inusuale per l’accademia pubblica italiana: una lectio magistralis del prof. Joseph Weiler sul “Processo a Gesù”.
Weiler, uno dei maggiori giuristi contemporanei, professore alla New York University, dove è titolare della Cattedra Jean Monnet sull’Unione Europea, ha offerto agli studenti e docenti presenti nell’Auditorium della Bicocca una riflessione che, partendo da un nozione tipicamente giuridica, quella del processo, è approdata a una proposta di assoluto rilievo per ciò che concerne il rapporto fra ebraismo e cristianesimo.
Interessato agli effetti culturali nell’Occidente, Weiler considera il processo a Gesù a partire dal dato dei vangeli canonici – così come gli abbiamo ora sottomano. In termini sommari, si può dire che il punto di partenza proposto è quello del “Cristo della fede” – quello, appunto, che ha costruito l’immaginario della cultura occidentale per due millenni, il cui processo è diventato una sorta di riferimento idealtipico.
Navigando nella vasta letteratura in merito, Weiler ha posto l’attenzione sul fatto che c’è stato un processo – a prescindere dalla valutazione che di esso si può dare. Quello che gli interessa è il processo religioso, quello davanti al Sinedrio, considerando quello potremmo dire “civile” davanti a Pilato come la ratifica, non irrilevante, della decisione giuridica presa dalla corte ebraica a Gerusalemme.
E il fatto del processo non è per nulla scontato. Le procedure contemplate nella storia di Israele per rispondere a un pericolo dell’ordinamento religioso, e quindi sociale, del popolo lasciavano aperte anche altre opzioni – in particolare quella dell’omicidio, adombrata da Caifa proprio nel Sinedrio (cf. Gv 11,50). A questa via più sbrigativa, però, il Sinedrio non cede – come non lo fa la narrazione evangelica. Narrazione in cui la possibilità extra-giuridica dell’omicidio (di stato) è più volte accennata come intenzione, ma mai realizzata di fatto.
In quest’ottica, si può parlare di una volontà, religiosa a e legale al tempo stesso, di far culminare la vicenda di Gesù nell’evento del processo che viene intentato contro di lui. L’identificazione dell’accusa, e quindi della ragione della sua condanna a morte, gioca un ruolo chiave nella proposta di Weiler.
Non solo la pretesa messianica di Gesù, piuttosto quella del rapporto che egli pretende di avere nei confronti della Torah data da Dio al popolo di Israele – e della sua definitività quale garanzia di affidabilità dell’alleanza che egli ha stretto con esso (cf. Dt 18,1).
L’immodificabile della fedeltà di Dio alla sua parola non resiste davanti alla pratica evangelica di Gesù. I segni e le mirabilia che lui compie, attestazione dell’agire contingente di Dio nella storia di Israele, devono essere letti proprio per riferimento a quella parola: la digressione dalla stabilità dell’alleanza, accompagnata dagli indici sicuri della rivelazione di Dio, dicono la prova a cui è esposto Israele per rimanere nel patto che lo lega al suo Dio (cf. Dt 13,3). Nulla si aggiunge, nulla si toglie alla Torah – ecco perché l’agire di Gesù deve essere visto da Israele esattamente come un tentativo di capovolgere questo assetto fondamentale dell’alleanza.
Questa, secondo Weiler, è la forma mentis del Sinedrio in occasione del processo a Gesù: un messia che, di fatto, ha cambiato l’istruzione che Dio ha dato al suo popolo. Ma è proprio qui, nel cuore di questo processo, che Weiler apre il secondo versante: Gesù è la rivelazione dell’allargamento universale dell’alleanza – lungo quell’asse che va da uno (Abramo), a un popolo (Israele), a tutti senza esclusione (cristianesimo). Il processo è dunque l’incontro drammatico di due alleanze dell’unico Dio – e della fatica della storia a contenerle entrambe; anzi, della stessa religione biblica su entrambi i lati del testo.
Nel processo a Gesù tutti dicono la verità (di Dio): accusatori e accusato. L’eliminazione del profeta messianico, che cambia le coordinate della Torah, dice tanto la verità di quest’ultima quanto quella del suo allargamento per volontà di Dio. Perché anche questa volontà deve essere posta al vaglio del processo – come osa affermare l’intercessione di Abramo (cf Gn 18,25).
Il processo a Gesù, dunque, nella lettura offerta da Weiler, sigilla il messianicidio con cui Israele rimane fedele all’alleanza e l’affermazione della volontà di Dio di un’alleanza che va oltre Israele – al tempo stesso. Ed è nel nucleo incandescente di questa drammatica processuale che ebraismo e cristianesimo sono chiamati al lavoro religioso del reciproco riconoscimento e della affermazione della piena legittimità di ciascuno – davanti al Dio delle alleanze. Perché è proprio l’esistenza del cristianesimo che dice non solo la fedeltà di Israele all’alleanza, ma anche la stessa affidabilità di Dio davanti al suo popolo.
Affidabilità senza la quale il cristianesimo sarebbe abbandonato in balia dell’arbitrarietà di un divino instabile e capriccioso – ossia, esattamente l’opposto di quanto la pratica religiosa di Gesù ha voluto affermare fino alla morte, pur di non retrocedere di un millimetro da questa persuasione profonda che ha dato forma alla sua coscienza messianica di Figlio. Nel dramma che diventa evidente al suo processo: la ragione del suo vivere è esattamente la verità, della quale si è nutrito, che lo condanna a morte.
Tante parole per non riconoscere l unica continuità tra la vecchia alleanza e il nuovo della nuova e unica vera alleanza. Ricordo che Gesù ha ribadito ai suoi accusatori di non conoscere Dio perché altrimenti non lo avrebbero combattuto. Quindi la tesi di due alleanze valide naufraga miseramente. Gli ebrei hanno una sola strada per dirla come San Paolo: convertirsi.
Il processo a/di Gesù ha davvero qualcosa di sorprendente e di interessante. Anche io, nel mio piccolo, me ne sono occupato: https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2023/04/il-racconto-della-passione-4.html. Quando affermato da Weiler mi conforta e mi rafforza. Grazie per averlo riportato!