Come rimanere comunità ai tempi del Coronavirus? Come restare vicini ai propri fedeli se le porte delle chiese, dei templi, delle sinagoghe e delle moschee sono, giustamente, chiuse? In momenti difficili la domanda del religioso, il bisogno di cercare risposte, conforto, in qualcuno o qualcosa al di sopra di noi aumenta. Come accogliere questi bisogni in un momento in cui non si può essere fisicamente vicini?
Una risposta sembra arrivare dalle nuove tecnologie: i social media. Distanziamento fisico… ma vicinanza “social”!
Solo vent’anni fa era impensabile poter effettuare videochiamate con persone dislocate in diversi Paesi, gratuitamente. In seguito sono arrivati i social e, d’un tratto, eccoci tutti e tutte connessi, costantemente, come in un unico grande villaggio globale.
Ma per le religioni l’utilizzo è stato sinora piuttosto limitato: già tanto chi ha allestito un sito web, poi una pagina Facebook; i più “aggiornati” un profilo Twitter e addirittura Instagram, ma sono casi rari. Eccezione fanno le chiese pentecostali, in Sud America e in Africa soprattutto: assistere da casa propria a culti in diretta da parte di predicatori e predicatrici situati fisicamente in un altro continente era già realtà ben prima del Coronavirus. Tutto questo, però, – e qui sta la differenza – viveva in aggiunta all’esperienza comunitaria, fisica!
Oggi, invece, alle nuove tecnologie si richiede di sostituire, e non di affiancare, la vita comunitaria e rituale. Le comunità ebraiche, per esempio, sono state le prime a confrontarsi con l’esigenza di capire come festeggiare la festa del Purim il 9 marzo, e lo hanno fatto in streaming, sulla piattaforma Zoom, ottenendo migliaia di visualizzazione a riprova del bisogno di sentirsi comunità, insieme.
Non solo festività e riti, ma anche la formazione comunitaria è stata trasferita sulle piattaforme online (canali YouTube, Vimeo) dove vengono postati materiali di studio, per adulti e bambini, liturgie, preghiere.
Le esigenze non sono uguali per tutte le religioni: se per le comunità induiste è possibile costruire dei templi domestici con le foto dei propri guru e con le statuette delle divinità di cui ci si prende cura e a cui si rivolgono le preghiere, per altre religioni la distanza fisica rende le soluzioni più complicate da trovare. Per esempio, come festeggiare la Pasqua per i cristiani?
Molte chiese hanno trasmesso omelie e sermoni online; le tv ci hanno consegnato le immagini inedite di una piazza San Pietro vuota, con solo il papa. Per il sabato della settimana santa, la sacra sindone è stata esposta e trasmessa in tv. Le chiese protestanti offrono culti domenicali, studi biblici sia registrati sia in videoconferenza o alla radio. Questo è anche un momento per attuare collaborazioni tra colleghi, per rafforzare le relazioni interdenominazionali e per sperimentare un modo diverso di fare comunità. L’esperienza di un culto su Zoom, in diretta, aperto a tutti coloro che lo desiderano ne è l’esempio.
È evidente come in queste funzioni religiose partecipate non ci sia solo l’esigenza di ascoltare un messaggio che tocca, ci solleva, ci fa riflettere; c’è anche l’esigenza di riconoscersi, vedersi, sorridersi, pregare insieme.
Si creano così delle “meta-comunità” che vanno al di là della propria comunità locale. Sarà interessante vedere come alcuni di questi esperimenti potranno essere ripresi alla fine della pandemia, facendo tesoro dell’esperienza maturata grazie ad un utilizzo diverso delle nuove tecnologie. Senza dimenticare, però, che, se gli stimoli, gli input, sono tanti, c’è una fetta della popolazione che purtroppo, per mancanza di mezzi, rimane senza il supporto fisico della propria comunità di fede, e senza supporto virtuale.
- Informazione ripresa dalla rivista Confronti.