Nel bicentenario della nascita e nell’anniversario della morte del compositore austriaco Anton Bruckner (4 settembre 1824-11 ottobre 1896) abbiamo chiesto alla musicista, musicologa e teologa Chiara Bertoglio di introdurci alla sua musica: liturgica, sacra, ispirata.
- Bruckner è noto per le caricature che lo rappresentano come personaggio piuttosto goffo. Perché?
Quelle caricature vanno ricondotte al contesto dell’epoca. La musica, allora, in Europa, a Vienna, suscitava passioni e vere tifoserie, pro e contro i compositori. Bruckner è stato particolarmente preso di mira da partiti a lui avversi. La sua silhouette, evidentemente, si prestava. Appariva come un signore molto dimesso, vestito demodé, insomma d’altri tempi: un provinciale nella Vienna imperiale di fine secolo.
- Come era effettivamente?
Il suo carattere era schivo, timido e autenticamente modesto; non amava la notorietà. Aveva principi e convinzioni salde. Nella sua musica cercava l’approvazione del «buon Dio», più che degli uomini. Aveva raggiunto una certa notorietà come organista, molto meno come compositore. Ma era la sua musica e non la sua persona a stargli a cuore: avrebbe voluto farla conoscere al vasto pubblico, per farla apprezzare. Ciò è avvenuto in misura molto parziale durante la sua vita, molto di più dopo la sua morte, sino ad oggi.
- Vuoi fare qualche cenno biografico?
Era nato in un piccolo villaggio austriaco, Ansfelden. Come Schubert, veniva da una famiglia di insegnanti, con un percorso già tracciato dinnanzi a sé come maestro di scuola. Mentre Schubert si era ben presto ribellato a quella sorte, Bruckner l’accettò di buon grado. La carriera del maestro lo ha messo, sin da subito, a contatto con la musica, perché faceva parte dei doveri dell’insegnamento, assieme al suono dell’organo. A dieci anni era già in grado di sostituire il padre all’organo in chiesa.
Il padre morì presto, lasciando una famiglia numerosa in una situazione difficile. Provvidenzialmente la madre riuscì a ricavargli un posto da convittore – ove vivere e studiare – presso l’abbazia di Sankt Florian: un posto che è rimasto il prediletto da Bruckner per tutta la vita, tanto da esservi sepolto, sotto l’organo, come da lui richiesto. Caparbiamente seguì anche la sua vocazione di musicista sottoponendosi, per corrispondenza, per sei anni, alle lezioni del celebre maestro viennese Sechter, sinché questi gli disse che non aveva più nulla da insegnargli, raccomandandogli, tuttavia, di evitare composizioni su «larga scala» e di adottare nuove forme compositive.
Vinto il posto da organista nella cattedrale di Linz – proverbiale la capacità di improvvisazione all’organo che gli valse il posto! – fu in grado di mantenersi come musicista e poi di conseguire una cattedra al Conservatorio di Vienna. Fondamentale fu poi l’incontro con la musica di Wagner: l’ascolto del Tannhäuser gli mostrò che ciò che aveva intuito – ma che gli era stato caldamente sconsigliato – si poteva e si doveva fare.
- È questo il punto delle polemiche a cui hai inizialmente accennato?
Sì. Soprattutto le sue sinfonie – oggi riconosciute come capolavori – ricevettero una accoglienza estremamente controversa, proprie per le novità, considerate troppo «wagneriane», che presentavano. Bruckner fu coinvolto in polemiche in cui fu contrapposto a Brahms, benché a nessuno dei due, men che meno a Bruckner, importasse alcunché. Come accade, solo dopo molti anni è stata riconosciuta tutta la sua grandezza, insieme al posto che la storia della musica europea gli deve.
- Quale posto nella storia della musica si è guadagnato?
Benché Wagner sia stato un suo punto di riferimento, non si può dire che Bruckner sia stato semplicemente un suo seguace. I generi praticati, peraltro, sono molto diversi. A Bruckner è oggi riconosciuta tutta l’originalità del caso. Prendiamo il suo intenso spessore «cromatico», apportato sia in ambito sacro che puramente strumentale: in ciò Bruckner fa sicuramente da ponte verso la musica di Mahler, di Richard Strauss, di Schönberg.
- Quale rapporto c’è tra la musica di Bruckner e quella di Mahler?
Colgo la relazione tra questi due grandi, ma diversi, musicisti in quella dilatazione «infinita» delle forme in grado di generare un grande afflato spirituale. Mi vien da dire che la Sinfonia No. 2 Resurrezione di Mahler non avrebbe potuto darsi senza le precedenti sinfonie di Bruckner.
- In quali generi di composizioni si è prevalentemente espresso?
Il «sacro» fu, per la sua storia famigliare e personale, il primo genere praticato da Bruckner, ma anche quello che mai cessò per tutta la vita. Bruckner ha inteso esprimere la sua fede in musica. È stato così anche quando è passato a comporre musica totalmente strumentale, quella, di per sé, considerata profana. Ma una linea di confine, nella sua musica, non esiste.
- Ha composto musica liturgica?
Ha prodotto molte opere di ridotte proporzioni e impiegabili in ambito liturgico: molti mottetti, specie in età giovanile, e alcune versioni dei salmi. Ha composto tre Messe: anche se non sono state precisamente pensate per la liturgia, non sono impensabili in contesto liturgico, in particolare la No. 2. Il famoso Te Deum è invece un pezzo da concerto, sebbene su testo sacro.
- Si può definire un compositore «cattolico»?
Si può definire un compositore cristiano. Certamente, Bruckner è vissuto totalmente dentro l’ambito del culto cattolico, dei suoi dogmi, delle sue specificità. Alcuni dei suoi brani sacri sono dedicati alla Vergine Maria e non possono che essere «cattolici». Bruckner ha partecipato la temperie del movimento ceciliano, che, per la verità, ha coinvolto sia l’ambito cattolico che quello evangelico. Sappiamo come quel movimento si sia contrapposto alla esteriorità che la musica religiosa dell’epoca stava subendo, con pesanti infiltrazioni di tipo teatrale-operistico.
Il movimento ceciliano intendeva riportare la musica sacra alla sobrietà originaria, al puro servizio del rito, privo di spazi di autocelebrazione e di protagonismo. Anche se Bruckner non fu, esplicitamente, un «ceciliano», possiamo intravvedere chiare tracce di tale orientamento nella sua produzione: ad esempio, nella Messa No. 2, ove il coro non è accompagnato dall’orchestra, bensì da un ensemble di fiati – utilizzati alla maniera di un organo – e dove non ci sono passaggi solistici che possano ricordare soluzioni operistiche (qui: video su YouTube).
Lo definirei, quindi, un compositore cristiano che in ambito cattolico si è profondamente interrogato sul ruolo della musica liturgica e della musica sacra, offrendo, con molta discrezione, le sue risposte di fede.
- Dicevi che non c’è un confine netto tra la sua musica sacra e quella detta profana: perché?
Le categorizzazioni sono funzionali alla distinzione dei generi; ci servono per orientarci. Ma ci possono essere – e penso faccia parte della nostra esperienza di ascolto – opere sacre che, di fatto, percepiamo come assai mondane o, viceversa, opere profane che sentiamo come molto spirituali. Io avverto le opere strumentali di Bruckner – quindi prive di testo sacro – permeate dallo stesso spirito di fede. Bach firmava ogni sua partitura «soli Deo gloria»: altrettanto avrebbe potuto fare Bruckner. Ascoltando le sue sinfonie, è possibile cogliere, anche solo nelle dimensioni, nella cura, nel tempo impiegato, nel lavoro enorme fatto, una sorta di ascesi musicale: l’effetto è l’elevazione dell’anima, ma dopo una grande fatica. È musica che raccoglie tutto ciò che di pesante c’è nel nostro quotidiano per portarci quasi di fronte a qualcosa o a Qualcuno che è molto più grande e molto più importante. La sensazione che si prova è di preghiera. A conferma, abbiamo i passaggi di materiali musicali voluti da Bruckner tra le sue opere sacre e le sue opere strumentali e viceversa.
- Le tecniche adottate sono le stesse nei due generi?
Quasi. La musica sacra di Bruckner è più contenuta nei tempi e più compatta nelle strutture rispetto a quella strumentale, poiché è legata ad un testo. Si può, diversamente, ipotizzare che la musica strumentale provenga dalla sua straordinaria capacità di improvvisazione dimostrata all’organo: perciò risulta così prolungata e così libera. Un aspetto tecnico che voglio evidenziare sta nell’uso dei tromboni, molto radicato nel mondo di lingua tedesca, da Lutero in poi che ha reso il termine tuba della vulgata latina con posaune, suono-simbolo del sacro. L’uso che ne fa Bruckner è molto evocativo, in tal senso. Riprendendo la caratteristica del cromatismo bruckneriano, penso di poter dire che questo manifesta i segni del dolore, della sofferenza e del male: quindi il segno della croce di Cristo nella storia. Ma l’assunzione musicale di questo carattere doloroso – quanto più intenso – non fa che aumentare l’attesa della soluzione, che non può essere che positiva, persino trionfale.
- Quali competenze bibliche aveva Bruckner e come le ha messe in musica?
Non risultano particolari suoi studi in proposito. Ma sappiamo che è stato un assiduo frequentatore della biblioteca della abbazia di Sankt Florian. Ha passato inoltre la vita a suonare l’organo in chiesa. Penso sia bastato questo per assorbire i testi, soprattutto dei vangeli e del nuovo testamento. Ciò che ha composto su testi biblici è stato, poi, per sua libera iniziativa, perché lo ha voluto e non perché abbia ricevuto precise commissioni. Penso che questa volontà si colga bene nella sua musica. Una delle sue ultimissime composizioni è un Ave Crux, spes unica, il che testimonia il suo costante riferimento alla teologia della croce indissolubilmente associata alla risurrezione.
- Se non conoscessimo la vita di Bruckner, ugualmente coglieremmo questa trascendenza nella sua musica?
La mia risposta è sì. Come ho detto, Bruckner ha inteso permeare di spiritualità la sua musica: sapendolo, ci viene più facile scoprirlo. Ma se tu aggiungessi ora «più che in altri musicisti?», non saprei risponderti con certezza, perché, per me, la musica è il linguaggio della trascendenza: tanti altri autori sono in grado di profonderne il senso a piene mani. Riguardo a Bruckner in particolare, penso alla rilevanza della dimensione del desiderio, dell’anelito, che solo appartiene alla musica-capolavoro. Cerco di spiegarmi meglio: la dilatazione delle forme, a cui ho accennato, manifesta e induce il desiderio di infinito, proietta oltre i limiti della musica stessa, ossia oltre i limiti del tempo e dello spazio, oltre l’immanente: nel trascendente, appunto. Per certi versi, la musica è un intreccio di tensioni e di distensioni. Bruckner ha esteso queste due intenzioni su una scala mai osata prima di lui: è questo che innesca e amplifica l’effetto della pro-tensione, dell’anelito, del già e non ancora che appartiene alla vita cristiana credente.
- Vuoi introdurre, in particolare, alcune sue opere?
Scelgo la sua Ave Maria, un’opera giovanile a cappella che resta il suo primo capolavoro, di grande raccoglimento e intensità (qui: video su YouTube), capace di indurre tenerezza e, insieme, materna determinazione. Se Bruckner è forse più conosciuto per gli effluvi e i volumi considerevoli del suono, può esserlo anche per i piani e pianissimi, per momenti di estrema delicatezza ed intimità.
Il Te Deum (qui: video su YouTube ), molto noto, si apre con una magnifica fanfara fondata sulle sonorità più aperte dell’orchestra, sulle quali interviene un coro dalle reminiscenze gregoriane, con un incedere festoso che procede e si sviluppa per tutte le pieghe successive del testo dell’antica preghiera: dalla contemplazione alla lode, dalla richiesta di perdono alla sicura misericordia di Dio.
Le nove sinfonie costituiscono una serie di capolavori. L’ultima – la nona – è l’incompiuta di Bruckner. A queste va aggiunta la No. 0 che Bruckner ha recuperato dai suoi lavori giovanili. Possiamo ascoltarle in successione come un crescendo significato anche dalle dediche apposte dall’autore: la penultima è dedicata all’imperatore, l’ultima, come anticipato, «al buon Dio».
Mi piace ricordare un episodio della mia vita, ben impresso per intensità. A 12-13 anni ho avuto la fortuna di assistere alla esecuzione di una sinfonia di Bruckner, al Lingotto di Torino, diretta dal maestro Carlo Maria Giulini. Col mio fratellino – oggi anche lui musicista – stavo davanti al maestro e potevo vedere bene i suoi movimenti e le espressioni del suo viso. Se non sbaglio, venne eseguita proprio la Sinfonia No. 9 (qui: su YouTube). Al termine del concerto, riuscimmo persino ad andare a salutare il maestro Giulini, felicissimo di vedere una ragazzina ed un bambino interessati ad un’opera così impegnativa. È stata un’esperienza indimenticabile e commovente.
- Con ciò, hai già indicato un interprete ideale per Bruckner?
Carlo Maria Giulini era un musicista di grande riservatezza e gentilezza, di grande bontà. Penso si possa dire che aveva molte cose in comune con Bruckner. La sua spiritualità si «vedeva». Per lui dirigere Bruckner era come recitare una preghiera. Naturalmente ci sono tanti altri grandi interpreti bruckneriani.
- Perché suggerire ai nostri lettori di ascoltare Bruckner?
Penso che le opere di Bruckner debbano fare ormai parte del bagaglio di chi ama la musica. Auspico che i lettori/ascoltatori credenti possa ritrovarvi un po’ delle cose che ho detto: il potenziale di preghiera innanzi tutto. In questo periodo, poi, così cupo – in cui siamo tutti così gravati da ansie e preoccupazioni per il futuro del mondo – penso che l’ascolto della musica di Bruckner possa, senza rimozioni del reale, anzi assumendone pienamente il carico, coltivare sempre la speranza: la storia va comunque verso il suo compimento di bene.
Grazie per l’ottima presentazione di questo insigne compositore di opere grandiose e ricche di spiritualità (purtroppo in Italia non conosciuto come meriterebbe)