Chi ha l’occasione di visitare il Burundi e di rimanerci a lungo rimane colpito dai contrasti che lo caratterizzano. Un paese splendido nella sua fertilità: quest’anno le piogge sono cadute abbondanti e abbastanza regolari e così i raccolti della prima stagione sono stati buoni. E altrettanto si prevedono quelli della stagione in corso. Il Paese è verde d’una splendida bellezza. Le coltivazioni di fagioli, elemento fondamentale della dieta burundese, insieme con il verde dei bananeti, i ciuffi delle papaie e degli altri alberi da frutto tappezzano le colline di terra rossa in mezzo alle quali spuntano i tetti delle case. In mezzo al verde brillano sotto il sole i tetti di alluminio. Nei myonga, gli avvallamenti tra le colline dove l’acqua è stabile, crescono la patata dolce, ma anche il riso con il suo verde chiaro e intenso. Sulle colline dove non ci sono le piante di caffè, già cariche di grani successivamente verdi, rossi e bruni, sono i cespugli di tè che sembrano un’enorme coltre, un tappeto di patchwork, che protegge il riposo della madre terra così generosa di vita. È difficile staccare gli occhi da questo magnifico scenario.
Ma ciò che più colpisce è lo straordinario numero di bambini che si vedono in strada, che camminano, giocano o contemplano coloro che passano: un paese ricco di vita ! Tutto sembra un… paradiso terrestre.
Il Burundi in balìa di una crisi politico-sociale
Tanta bellezza stride con la situazione sociale del Paese che è tutto vita ed è invece segnato invece da una crisi profonda che assomiglia molto da vicino alla morte. «Non è più il Burundi che tu hai conosciuto: siamo al collasso economico, politico e sociale», mi ha detto un amico di qui.
Di problemi sociali in Burundi ce ne sono sempre stati, ma da un anno a questa parte il Paese sta sprofondando in una crisi politica e sociale che non ha corrispondenti nella sua storia, pur ricca di situazioni complicate e di colpi di scena.
Un impasse che si è andato aggravando in seguito alla decisione del partito del presidente di ricandidare per la terza volta alla suprema magistratura Pierre Nkurunziza, l’attuale presidente della repubblica, rielezione contestata e ritenuta incostituzionale da molti dentro e fuori il Paese.
Ne sono seguite manifestazioni popolari che hanno provocato la morte di molti giovani, un colpo di stato fallito, con la conseguente repressione. Molti bailleurs de fonds hanno ritirato i loro investimenti, molte ONG hanno sospeso i loro aiuti con grave pregiudizio della situazione del Paese, molti stranieri hanno abbandonato il Paese, dove tira oggi un’aria molto pesante.
Il PIL nazionale è ora a -7. La povertà della gente e la conseguente malnutrizione dei bambini sono ai minimi storici e sono il segno di un pesante tracollo sociale ed economico. Il tutto in un contesto d’insicurezza di cui è segno l’onnipresenza di militari e poliziotti armati con armi automatiche pesanti che controllano ogni crocevia e che pattugliano le strade.
Ovunque e a qualsiasi ora camionette cariche di poliziotti in assetto di guerra attraversano le strade della capitale, Bujumbura, e non solo. È la misura della paura e dell’insicurezza che attanaglia il Paese, sia nei suoi vertici che nella base, e che contrasta con le ripetute affermazioni dei capi politici che, alla televisione nazionale, dichiarano la situazione della sicurezza nazionale ”sostanzialmente buona”.
Tutti sanno che il Presidente deve continuamente cambiare la sua residenza e, quando passa per strada nella sua macchina blindata e scortato dalla polizia, tutto il traffico di ferma e nemmeno i pedoni possono circolare!
Numerose le persone arrestate e scomparse
Chi risente soprattutto di questa crisi è la già fragile situazione economica del Paese e, di riflesso, la gente semplice. Il commercio e l’industria non hanno più molto fiato e con essi la povera gente. Così è difficile trovare certi prodotti, quelli di prima necessità sono rincarati, i rifornimenti sono lenti e spesso inesistenti.
Ma quello che più fa paura è il continuo scomparire di persone, giovani soprattutto. Quelli che hanno partecipato alle manifestazioni antigovernative dei mesi aprile-luglio dello scorso anno, sono stati filmati e oggi, riconosciuti, vengono arrestati, interrogati e nel migliore dei casi imprigionati.
Molti sono stati trovati cadaveri sulla strada… Il governo ha comunicato la cifra delle persone morte nelle manifestazioni: alla fine di aprile sarebbero 451, ma chi vive sul posto afferma che sono molte di più le persone arrestate e definitivamente scomparse. Altri sono stati arrestati sulla base di informazioni estorte alle persone precedentemente arrestate.
In alcuni quartieri della capitale i giovani che hanno potuto farlo sono scappati. E con loro tanta gente che teme lo scoppio di un’altra guerra civile come nel 1993. Si parla di 260.000 rifugiati nei paesi vicini, soprattutto in Tanzania e Rwanda.
Che cosa succederà ora?
Che cosa succederà? È difficile fare pronostici. Si moltiplicano le voci secondo cui il Rwanda starebbe organizzando un ritorno armato dei rifugiati per cacciare il presidente rieletto. La cosa sembra francamente poco probabile. E allora da dove potrebbe venire quella spinta che riporta il Paese a una pacifica normalità democratica?
Si sono moltiplicati i ripetuti inviti al dialogo inter-burundese, da parte delle Nazioni Unite, dall’Unione Africana e da altre autorità mondiali, insieme con l’offerta di un contingente di peacekeeping, ma per essere puntualmente rifiutati dal governo. Anche la mediazione inizialmente affidata dalla Comunità dell’Africa Orientale (EAC) al presidente ugandese Museveni e ora a Benjamin Mkapa, ex presidente della Tanzania, segna il passo per il persistente rifiuto del governo di Bujumbura.
Sembrava che un dialogo si stesse preparando per i primi di maggio, ma il governo ha fatto cambiare data e lo ha fissato al 21, se ci sarà.
Il governo ha dichiarato di non voler trattare con l’opposizione e con i putschisti. E allora con chi intende dialogare? Un politologo belga “panafricanista”, Luc Michel, ha suggerito al governo di rifiutare ogni dialogo e di affermare con forza le proprie posizioni, ritenendosi vittima di una cospirazione occidentale! Non ci mancava che questo!
C’è infine il pericolo – e sarebbe davvero una catastrofe – che la crisi sia fatta scivolare sul terreno etnico. Quest’anno, per la prima volta, si è ricordata la data del 29 aprile, inizio della tremenda repressione del cosiddetto colpo di stato dei bahutu del 1972 che provocò il genocidio, mai ammesso, di tutta l’élite hutu nel corso del quale furono uccise trecentomila persone. Perché evocare questa strage proprio in questo momento? La situazione si trova così ad un punto morto e non permette di prevedere una soluzione nell’immediato futuro e neppure a lunga scadenza.
Anche la Chiesa o, meglio, la gerarchia ecclesiastica cattolica è finita nel mirino del governo che l’accusa di fomentare la divisione. In realtà la Chiesa non si stanca di chiedere che si apra un dialogo inter-burundese di chiarificazione con tutti senza pregiudiziali alla ricerca di un accordo che porti fuori il Paese da questa crisi. Per questa proposta che sembra del tutto saggia il governo ha dichiarato la Chiesa cattolica “nemica del Paese”.
Dove finirà questa crisi? A che cosa condurrà il Burundi? Bizimana, rispondono qui: Dio solo lo sa.