Sono passati 50 anni dalla morte del card. Josef Beran, coraggioso arcivescovo di Praga, avvenuta a Roma il 17 maggio 1969. Le spoglie arriveranno a Praga il 20 aprile e, per tre giorni, vi saranno celebrazioni, prima nella chiesa di Sant’Alberto, situata nel quartiere di Dejvice, dove Beran officiò fino al 1946 come rettore del seminario arcivescovile, poi nella basilica di Nostra Signora dell’Assunzione di Strahov, dove predicò per l’ultima volta, prima del suo arresto da parte del regime comunista nel 1949 e, infine, nella cattedrale di San Vito, metropolitana di Praga, all’interno del Castello, dove è stato predisposto un nuovo sarcofago.
Le tappe di una vita
Josef Beran nacque il 29 dicembre 1888 a Plzeň, capoluogo della regione della Boemia Occidentale, allora appartenente all’impero austro-ungarico. Conobbe il campo di concentramento di Dachau; fu decorato dal presidente Edvard Beneš di due delle più alte onorificenze dello Stato per la sua resistenza all’occupazione nazista; fu consacrato vescovo e nominato arcivescovo di Praga. Aveva proibito al clero di prestare giuramento di fedeltà al regime comunista per non tradire la fede cristiana. Condannò la confisca dei beni che appartenevano all’arcidiocesi e tenne discorsi infuocati contro la violazione dei diritti della Chiesa. Subì il carcere comunista per 14 anni. Venne liberato nel 1963.
Mons. Agostino Casaroli, principale artefice dell’Ostpolitik per conto di Paolo VI, incontrò l’arcivescovo Beran nel castello di Zbraslav, nei pressi di Praga. Nell’autunno dello stesso anno incontrò anche altri vescovi della Cecoslovacchia. I quattro vescovi – Tomášek, Nécsey, Lazik e Pobožný – poterono partecipare al concilio Vaticano II, i primi tre fin dall’inizio, mons. Pobožný, dalla seconda sessione. Ebbero la possibilità di avere contatti con gli altri vescovi del mondo e soprattutto con il papa.
Fu risolta felicemente anche la questione del giuramento di fedeltà richiesta ai vescovi e ai sacerdoti per poter ottenere il cosiddetto permesso statale per svolgere le attività pubbliche nelle diocesi e nelle parrocchie. «Per loro era una questione di coscienza» (mons. John Bukovsky del team vaticano dell’Ostpolitik).
A seguito di un intervento del papa, uscirono dal carcere i vescovi Vojtassak, Zela e Skoupý. Anche se non poterono ritornare nelle proprie diocesi, la loro vita divenne più sopportabile e dignitosa nelle case della Caritas cattolica, legata al regime.
Mons. Beran, il 25 gennaio 1965, fu nominato cardinale e il 19 febbraio partì definitivamente per Roma, dove il 22 dello stesso mese Paolo VI firmò il decreto con il quale mons. František Tomášek, la quercia morava, veniva nominato amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Praga.
Ancora mons. Bukosvky: «Non sarebbe quindi giusto affermare che, nei primi cinque anni, si era raggiunta soltanto una soluzione di compromesso nei confronti del card. Beran».
Il 15 ottobre 1965 arrivò inatteso a Roma Karel Hruza, capo della delegazione cecoslovacca nelle trattative con la Santa Sede. Era un hussita inflessibile, che amava il Martini, che gli portavo dall’Italia. Hruza si recò a Roma per protestare contro il discorso del card. Beran ad Assisi, i discorsi di mons. Hnilica, consacrato vescovo clandestinamente e poi fuggito all’estero, e di mons. Rusnak in aula conciliare sulla situazione religiosa in Cecoslovacchia. Il giorno dopo, Hruza interruppe le trattative.
L’altra interruzione avvenne dopo che, nel mese di giugno 1967, Paolo VI si rifiutò di nominare vescovo il vicario capitolare di Litoměřice, Eduard Oliva, aperto simpatizzante del regime comunista. Le trattative rimasero interrotte per due anni interi.
La primavera di Praga
Nel 1968 arrivò la Primavera di Praga con Alexander Dubček. Il tentativo di dar vita a un “socialismo dal volto umano” non ebbe successo. Venne prontamente bloccato dall’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di Varsavia nel 1969.
Nel breve periodo, furono scarcerati vescovi, sacerdoti e laici imprigionati a motivo della fede. Furono riabilitati otto vescovi e tre poterono ritornare nelle loro diocesi. Nei seminari fu abolito il numero chiuso. Venne legalizzata la Chiesa greco- cattolica dei fedeli di rito bizantino e mons. Hirka fu nominato da Paolo VI ordinario della Chiesa greco-cattolica. Agli ordini religiosi maschili e femminili la procura generale della Repubblica rendeva noto, per iscritto, che non erano mai stati giuridicamente soppressi. Furono eletti buoni e bravi vicari capitolari e quasi tutti i sacerdoti ottennero di poter lavorare nelle parrocchie.
Le trattative successive si tennero soltanto negli anni 1970-1973, e portarono alla nomina di quattro vescovi, ma solo nel maggio 1988, nel dicembre 1989 e nel febbraio 1990 si ebbero le successive nomine episcopali.
«Si può dire che la visita del santo padre in Cecoslovacchia e l’incontro con il nuovo presidente cecoslovacco, Václav Havel, nell’aprile 1990, posero fine alla vita dolorosa delle nomine dei vescovi residenziali e ausiliari e facevano ben sperare per un futuro migliore.
Insieme con la questione della nomina dei vescovi, non si possono dimenticare altri risultati dell’Ostpolitik del Vaticano. Furono creati tre cardinali: Beran (1965), Trochta di Litoměřice (1973) e Tomášek (1977), che, verso la fine del 1977, fu elevato alla dignità di arcivescovo di Praga» (Bukovsky).
Il card. Beran ritorna nella sua terra. Quando morì, il regime cecoslovacco non permise che fosse sepolto in patria. Paolo VI allora decise che fosse sepolto nella cripta della basilica di San Pietro, dove sono le tombe dei papi. Il 3 gennaio 2018 papa Francesco ha autorizzato, nel rispetto dell’ultima volontà dell’eroico arcivescovo, il trasferimento a Praga delle sue spoglie, che saranno esposte davanti all’altare della cattedrale per l’omaggio dei fedeli fino a lunedì 23 aprile e quindi, dopo la processione alla cattedrale, si celebrerà la messa. Si attendono migliaia di fedeli.