Nella Giornata della memoria 2023 pubblichiamo una nostra intervista alla storica Liliana Picciotto che svolge attività di studio e ricerca presso la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. Tra i suoi volumi ricordiamo Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah 1943-1945, Einaudi, Torino 2017. L’intervista è curata da Giordano Cavallari.
- Gentilissima signora Liliana, può, per quanto possibile, quantificare il fenomeno della delazione a danno di ebrei nel periodo più crudo delle persecuzioni da parte della società italiana e, se del caso, del mondo cattolico?
Non c’è possibilità di quantificare le delazioni che pervenivano, per iscritto o oralmente, alle questure delle grandi città. Delatori italiani furono però tanti, ai danni degli ebrei, per raccogliere i frutti economici della delazione: era stato stabilito un prezzo, differenziato, per una donna, un uomo, un bambino.
Molte le delazioni anche ai danni dei movimenti antifascisti: spie e doppiogiochisti conducevano la polizia nei luoghi di ritrovo dei cospiratori, delatori svelavano i rifugi di bande partigiane. La dirigenza del Partito d’Azione, in varie città fu decapitata più volte in questo modo. Lo stesso dicasi per la dirigenza del comitato di soccorso ebraico-cristiano di Firenze, capeggiato dal rabbino Nathan Cassuto: i nazisti fecero irruzione in via dei Pucci dietro delazione di un giovane italiano.
- – Può, altrimenti, quantificare ed esemplificare il soccorso prestato dalla società civile e dal mondo cattolico italiano?
D’altra parte, la società civile fu prodiga di solidarietà verso i perseguitati e le persone più esposte al pericolo: parroci in tutta Italia raccomandarono ai parrocchiani di accogliere gente perseguitata, molte case religiose si riempirono di persone in cerca di ricovero, vicini di casa, lontani parenti, colleghi di lavoro dei capifamiglia, portinai del proprio stabile.
Gli ebrei stessi misero in pratica tutta la loro capacità e inventiva per mettere a frutto la cerchia di conoscenze che avevano. Fu spesso una catena: chi forniva un indirizzo sicuro, chi ospitava per una notte, chi nascondeva nelle cantine. Dato che si parla di una vera “caccia all’uomo”, ogni più piccolo aiuto serviva, proprio come quando un animale fugge inseguito da altri animali, si rifugia dove può.
- Da quali motivazioni, secondo lei, venivano i comportamenti descritti?
Stiamo parlando di soccorso spontaneo. Non ci fu nessun soccorso organizzato. Il movimento della Resistenza, votato alla liberazione dagli oppressori e alla ricostruzione della futura democrazia, sottovalutò il carattere radicale e collettivo della persecuzione antiebraica. Singoli resistenti aiutarono e fornirono documenti falsificati per permettere agli ebrei di cambiare identità, altri accompagnarono alla frontiera italo-svizzera. Non fu, però, messo in atto nessun dispositivo specifico per la salvezza degli ebrei.
Quanto alla Chiesa cattolica, il soccorso fu generoso ed esteso: le case religiose avevano la possibilità di fornire da dormire e anche da mangiare, i parroci avevano la possibilità, per la loro posizione carismatica, di raccomandare solidarietà ai propri parrocchiani. Nella sola Roma si parla di migliaia di ebrei rifugiati nelle case religiose.
Occorre sottolineare che questo avvenne nel più ampio spettro della carità cristiana, che è un principio religioso fondamentale che indusse il clero di ogni livello ad aprirsi al soccorso alle migliaia di persone rimaste senza tetto a causa dei bombardamenti, ai poveri a causa della guerra, alla gente che fuggiva le linee del fronte. Gli ebrei facevano parte di questo mondo derelitto e in quanto tali furono aiutati. Anche in questo caso, non ci fu un dispositivo specifico per la loro salvezza.
- Nei suoi scritti, lei distingue il piano della carità da quello della diplomazia vaticana: quale differenza?
La carità è per il Cristianesimo una virtù teologale e caratteristica (anche se non esclusiva) della tradizione cattolica. È distribuita verso i miseri, incondizionatamente. In questo quadro, gli ebrei furono soccorsi in maniera massiccia perché in maniera massiccia correvano pericolo di morte.
Lo Stato Vaticano è, però, uno Stato tra le Nazioni che ha una sua diplomazia e una sua idea dei rapporti internazionali. Durante la Seconda guerra mondiale, lo Stato del Vaticano mantenne il più possibile la neutralità diplomatica non intervenendo, se non debolmente e inefficacemente, in favore degli ebrei massacrati all’est, sistematicamente, dalle armate di Hitler. La cosa si ripeté, in un contesto molto vicino a noi, a Roma, durante il rastrellamento del quartiere ebraico, il 16 ottobre 1943.
- Qual è la sua posizione sul silenzio di Pio XII?
Fu un silenzio meditato e consapevole, dettato dalla più generale politica di neutralità intrapresa da tempo, ma anche dalla convinzione nefasta che l’Europa avrebbe potuto essere, ovunque, nel prossimo futuro, soggiogata dal nazismo. Il silenzio riguardò molti avvenimenti: l’assassinio degli ebrei d’Europa, la persecuzione del clero in Polonia dopo l’attacco del settembre 1941, le angherie alla Chiesa cattolica in Germania, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, la retata degli ebrei di Roma, l’invasione proditoria di territori, l’uso incontrastato della violenza assoluta.