Formigoni: sul “manifesto” dei sovranisti

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Quali sono le radici del «manifesto» dei sovranisti? Quale idea di Europa è alla base del «manifesto»? La presa di posizione dell’estrema destra europea ha fatto e continua a far discutere l’opinione pubblica europea. In questa intervista, con lo storico Guido Formigoni, approfondiamo alcuni punti del documento. Guido Formigoni è professore ordinario di Storia contemporanea presso la IULM di Milano, dove è prorettore. Coordina il Comitato scientifico per la pubblicazione delle «Opere del card. Carlo Maria Martini». partecipa alle direzioni delle riviste “Ricerche di storia politica” (di cui è stato condirettore tra 2013 e 2018), “Modernism” e “Il Mulino”. Tra i suoi libri recenti Storia della politica internazionale nell’età contemporanea (Il Mulino, 20183); I cattolici italiani nella prima guerra mondiale. Nazione, religione, violenza e politica (Morcelliana 2021).

salvini e le pen

  • Professore, lo scorso 2 luglio Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno firmato, insieme ad altri leader dell’estrema destra europea (tra cui Orban e Marine Le Pen) un manifesto sovranista. In questo manifesto si prende di mira, tra l’altro, la creazione di un superstato europeo (il termine usato è da autentici complottisti) che vorrebbe imporre, attraverso un “iperattivismo moralista”, un “monopolio ideologico”. Le chiedo: quali sono, secondo lei, le radicali politiche “culturali” di queste posizioni?

Il manifesto è un prodotto di Marine Le Pen, da lei è stato firmato e presentato, e poi ha raccolto le firme di altri partiti. Lo sfondo culturale è chiaramente legato a una volontà di contrapporre l’esistenza di libere nazioni (intese a quanto sembra un po’ illusoriamente come corpi organici coesi e compatti) a un presunto cosmopolitismo europeo che appiattisce le diversità e crea difficoltà ai piccoli Stati. Lo spettro del «superstato» è quanto di più ideologico si possa mettere in campo: la comunità e poi l’Unione non sono mai state qualcosa di questo tipo. Si è sempre trattato di uno strumento gestito in un negoziato continuo dalle classi politiche nazionali, per ottenere alcuni risultati di vantaggi comuni. Lo sperimentalismo del modello integrazionista non ha mai messo in discussione l’aspetto inter-statuale dell’UE (una sovranità messa in comune), ottenendo bensì livelli crescenti di interdipendenza (e costruendo anche istituzioni che esprimono una sovranità condivisa) senza (per fortuna) coercizioni di sorta. Lamentarsi per qualcosa di inesistente è tipico di uno schema ideologico nazionalista abbastanza tradizionale, non molto originale.

  • Nel loro mettersi di traverso all’evoluzione della UE come Stati Uniti d’Europa, il sogno federalista di Spinelli, propugnano, addirittura qualcuno di loro cita De Gaulle, la Confederazione tra Stati. Le chiedo è corretto, da parte degli estremisti sovranisti, “arruolare” il generale De Gaulle (antifascista e combattente contro il collaborazionismo di Vichy)?

Mah, certo, de Gaulle avrebbe sempre conservato una barriera a destra in senso antifascista. E qui c’è un rassemblement di forze di varia ispirazione, con più di una punta fascisteggiante, anche se mascherata e nascosta. Attualmente, tra l’altro, i 14 firmatari – tra cui Fidesz di Orban, gli spagnoli di Vox, il Vlaams Belang, il partito Diritto e giustizia polacco – sono divisi in diversi gruppi politici europei. La novità che traspare dall’uso di una retorica “confederale” anti-federalista è però chiara: non c’è più un attacco frontale all’Unione, né all’euro, né una rivendicazione di uscita di qualche paese. Insomma, sembra quasi che il sovranismo si sia fatta una ragione sulla necessità di combattere una battaglia dentro un’Unione che probabilmente si percepisce abbia superato la sua crisi più radicale. E questa in fondo non è una notizia banale.

  • Nel manifesto si propone una “lettura” dell’Europa contemporanea sconcertante: «La turbolenta storia dell’Europa, in particolare nell’ultimo secolo, ha prodotto molte sventure. Nazioni che difendevano la loro integrità territoriale hanno sofferto al di là di ogni immaginazione. Dopo la Seconda guerra mondiale, alcuni paesi europei hanno dovuto combattere per decenni il dominio del totalitarismo sovietico prima di riottenere la loro indipendenza». E il fascismo e il nazismo dove sono? A cosa mira questa manipolazione della Storia?

È indubbiamente molto ambiguo il riferimento al totalitarismo sovietico senza ricordare che l’URSS ha potuto dilagare nell’Europa centro-orientale solo a seguito della vittoriosa controffensiva contro l’espansionismo nazifascista. Alla radici c’è il fallimento del sovranismo di allora. Un mondo imperniato su imperi militari chiusi e contrapposti costruiti dagli Stati nazionali, a seguito della crisi degli anni ’30, è stato proprio il tentativo fallito dei regimi autoritari di destra. Su quel fallimento si è costituito il duopolio sovietico-americano. Si tratta ancora una volta di una lettura della storia strumentale, mirata a sollecitare un certo senso nazionale contro la memoria del comunismo, che paradossalmente dimentica proprio il sovranismo fallimentare del passato. E poi si traduce a volte in buoni rapporti con l’autocratico governo di Putin che, in quanto a logica soggettivamente imperiale (peraltro limitata dagli scarsi mezzi), non è secondo a nessuno.

  • Anche il cristianesimo viene tirato in ballo come fattore unificante di questa “nuova” Europa. Ma che cristianesimo è?

La retorica delle radici giudaico-cristiane dell’Europa serve a dare un tocco tradizionalista. Ci siamo abituati anche in Italia all’uso disinvolto dei simboli religiosi da parte di partiti di destra laica, estranei allo spirito evangelico. Del resto, qui non possiamo dimenticarci che abbiamo alle spalle un dibattito nato malissimo, ai tempi del Trattato costituzionale del 2003: il laicismo europeo rifiutò la semplice menzione delle radici cristiane dell’Europa rischiando un controsenso storico (è del tutto evidente che l’Europa è stata unificata dal cristianesimo, che ha permesso l’incontro di diverse matrici fondanti, dal diritto romano alle potenzialità dei nuovi arrivati germanici). Ma questa chiusura era speculare a un uso, da parte dello stesso Giovanni Paolo II ma soprattutto di alcuni suoi seguaci, di questa rivendicazione in un modo rischiosamente esposto all’accusa di voler fissare un principio che si estendesse a motivare una sorta di primato nell’attualità. Primato che non ha senso rivendicare da parte della fede cristiana: oggi la sua influenza è ridotta a una minoranza tra le altre, ma la sua vivacità può e deve esprimersi ancora nel dialogo aperto con tutte le altre componenti religiose e culturali del continente.

  • Un’altra cosa che colpisce è che si parla di famiglia, «unità fondamentale delle nostre nazioni», non dei diritti umani della persona. La “famiglia” strumento di crescita demografica per contrastare l’immigrazione di massa. Sono affermazioni che ricordano pagine cupe dell’Europa. È così, professore?

Anche in questo caso niente di nuovo: la retorica sulla famiglia di tipo tradizionale serve a collocarsi di fronte a una tendenza della sinistra presunta moderna che ha fatto del pluralismo di modelli, dei diritti individuali e del rispetto delle differenze il suo nuovo ubi consistam. E poi viene utilizzato, ancora una volta piuttosto rozzamente, nella polemica contro l’immigrazione straniera, che resta invece una risorsa e non solo un problema. Vorrei però completare questo ragionamento con un’altra osservazione. Può non piacerci un richiamo al «Dio, patria e famiglia». Ma mi parrebbe un gioco suicida cedere a questa destra una considerazione seria della questione dell’invecchiamento e del declino demografico del nostro continente. Se l’Europa si chiude al futuro rinunciando a fare figli, perché non c’è fiducia basilare nella convivenza umana e nelle sue possibilità, questo è un problema di tutti, non certo dei sovranisti.

  • Il manifesto ha una sua pesante valenza politica. Basti pensare alla Polonia e all’Ungheria. Sono regimi illiberali. Non è preoccupante che l’abbiano firmato due forze politiche italiane?

L’illiberalismo del manifesto è più nel non detto che nell’esplicito: ad esempio, nel parlare appunto dei diritti delle nazioni e non di quelli delle persone e del pluralismo interno alle società. Una concezione omogeneizzante e chiusa delle nazioni è senz’altro un rischio. D’altro canto, che i partiti di Salvini e Meloni si ispirassero a queste retoriche non è una novità. Se vogliamo, pur su questo sfondo preoccupante, emergono però nel manifesto alcuni accenti nuovi, favorevoli al progetto europeo e all’amicizia tra i popoli, pur ridimensionati dall’attacco ideologico al modello federalista.

  • Il futuro conflitto politico europeo, ormai è chiaro, sarà sempre più tra europeisti e sovranisti. Quale potrebbe essere una risposta efficace al manifesto sovranista?

Il conflitto è nei fatti. Però, vorrei obiettare che c’è un modo sbagliato di intenderlo. A me pare – non da oggi – che non sia una buona strategia quella di contrapporre al sovranismo semplicemente un qualsiasi appello europeista. Infatti, il sovranismo degli ultimi anni è prosperato proprio sui limiti e i contraccolpi di un europeismo miope, tutto giocato sulla difesa del mercato, sull’austerità imposta dalla Germania e sulla mancanza di reale solidarietà. L’europeismo del Fiscal Compact, potremmo dire, che ha eroso il capitale di benevola convergenza tra i popoli costruito nei decenni. Occorre invece contrapporre al sovranismo un europeismo riformato, che tenga assieme l’idea di istituzioni democratiche favorevoli alla crescita, con la costruzione di legami sociali più forti tra i popoli. E questo per la banale ragione che nell’epoca dei giganti (USA-Cina) nessun paese europeo, per quanto sia sovranista il suo governo, può far veramente da solo. Non a caso, i sovranisti riescono ad accrescere i consensi, ma faticano a esprimere a valle di questi consensi una linea di governo realistica ed efficace. L’Europa è una necessità: per farla amare, però, deve anche essere molto attenta al modo con cui la si presenta.

  • Pubblicato sul blog Confini il 25 luglio 2021.

 

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