Riportiamo l’espressione dei sentimenti e le considerazioni di un esule in Europa in questo duro inverno in Siria, ormai il tredicesimo dall’inizio della guerra.
- Come la popolazione sta vivendo questo inverno in Siria?
Per la popolazione è un inverno molto duro perché è molto freddo. Fa freddo come ogni inverno. Damasco è a 700 metri sul livello del mare. Ma soprattutto, quest’anno, più dei precedenti, non c’è alcuna energia per riscaldarsi: come avevo già detto (cf qui su SettimanaNews) l’energia elettrica fornita dalla rete, anche a Damasco, è quasi inesistente: i tempi di privazione variano nei quartieri, da 5 ore a un’ora al giorno, sino a dieci ore di black out. Mentre il gasolio − normale fonte per il riscaldamento delle case moderne, almeno sino a prima della guerra − è pressoché introvabile, oltre che reperibile solo a prezzi altissimi, non sostenibili.
Il gas metano è usato solo in bombole per la cucina, non per il riscaldamento: è comunque un bene di lusso per la gente comune. La legna non è di uso corrente perché in Siria non ci sono boschi. La gente resiste, quindi, restando coperta in casa come fuori casa. Chiaramente chi più soffre sono gli anziani e i bambini.
Ho avuto già modo di evidenziare il paradosso della indisponibilità di idrocarburi in un Paese che dispone di enormi giacimenti. Il tasso di inflazione ha raggiunto il 98,2% su base annua. Questo vuol dire che il potere d’acquisto è residuale. La lira siriana non vale quasi più nulla. Voglio dare l’idea di cosa tutto ciò significhi: il costo dell’acquisto di 20 litri di benzina è pari allo stipendio mensile di un docente universitario.
- Questo vuol dire che mancano gli alimenti e gli altri beni di prima necessità?
Tutti i beni di importazione − la maggior parte − non sono più importabili per ragioni, appunto, finanziarie. Si sopravvive con i prodotti locali, ma tenete conto che pure i prezzi di questi sono altissimi: i campi coltivati sono ovviamente al di fuori delle grandi città in cui è concentrata la maggioranza della popolazione e che i costi della manodopera sono altissimi semplicemente perché non ci sono più giovani in Siria, tra prigioni, sfollamento e diaspora.
Ricordo che la popolazione complessiva è passata da 22 a 9 milioni; 13 milioni e 700 mila persone si trovano diaspora infernale; sui 9 milioni di abitanti rimasti nel nostro Paese, 5 milioni sono sfollati interni. I costi dei trasporti sono pure altissimi perché sono scarsissimi i carburanti, sia per il riscaldamento che per i trasporti. Tutto questo spiega perché neppure i beni locali, indispensabili, sono alla portata di tutti.
Sto descrivendo una economia della sopravvivenza. Ogni anno − dopo 13 anni di guerra − va sempre peggio. Seguo con grande attenzione la guerra in Ucraina e partecipo della condizione del popolo ucraino, ma trovo che questa non sia ancora paragonabile a quella dei siriani, per gravità umana e economica. Eppure, non si sta dicendo più nulla della Siria, in Europa.
- Ai siriani in Siria giungono aiuti internazionali?
Le organizzazioni umanitarie internazionali proseguono i loro progetti in Siria. Il problema è che il regime di Bashar al-Assad ha il controllo anche su questi e mette le mani sui beni donati per la povera gente. La distribuzione passa attraverso il regime che non manca di derubare la popolazione e di arricchire solo le famiglie degli alleati di Assad con la sua cerchia.
- Le sorti della gente siriana sono molto legate a quelle del Libano: qual è la situazione in Libano?
Il libano, lusingato a lungo da francesi ed europei, non esiste più. È un Paese senza più alcuna identità: senza presidenza, governo, economia, moneta e senza difesa. È un Paese in agonia geopolitica totale.
- La Russia come si sta muovendo in Siria?
I russi sono ancora ben presenti, ma la Russia ha sicuramente spostato molti militari in Ucraina, per evidenti ragioni: tutti i migliori «criminali» sono stati «premiati» e mandati là.
- E l’Iran?
La presenza militare iraniana va in qualche modo rimpiazzando quella russa: perciò Israele sta prendendo maggiormente di mira tale presenza. Ogni settimana avvengono raid israeliani sulle postazioni iraniane, specie quando vengono notati spostamenti sospetti di forze e di equipaggiamenti militari.
- Che parte ha la Turchia in Siria?
L’influenza − e più che una influenza − della Turchia nel nord del territorio tradizionale siriano è evidente. Come ho avuto modo di spiegare, l’ossessione turca – dentro e oltre i propri confini – è costituita dalla presenza delle forze della Siria democratica curda.
So che l’opinione pubblica europea è favorevole alla causa curda: una causa giusta, sicuramente, in origine. E tuttavia deve essere consapevole di ciò che i curdi stanno facendo nel nord-est della Siria, per quanto non possa far piacere. Porto qui la testimonianza della discriminazione etnica che sta avvenendo in quella zona a danno dei siriani arabi: i nomi dei villaggi e delle strade vengono cambiati da un giorno all’altro per affermare l’istanza nazionalista curda. Il disegno è fare di quel territorio parte di quel grande Kurdistan che geograficamente non è mai esistito, ma che è sempre nelle aspirazioni curde.
La Turchia − con 15 milioni di curdi dentro i propri confini − teme fortemente l’effetto domino che potrebbe portare alla nascita di un nuovo, grande, stato curdo nella regione.
- A proposito della questione curda, registra una convergenza tra Erdogan e al-Assad?
Tra Erdogan e al-Assad non ritengo sia possibile alcun avvicinamento. La Turchia di Erdogan ben conosce la debolezza della Siria di al-Assad. Sa perfettamente che Assad non è in grado di controllare il nord del territorio e, quindi, i curdi siriani: non ha esercito e uomini per poterlo fare. Quindi Erdogan sta intervenendo scientemente per mettere la zona sotto il suo potere, per la sicurezza nazionale interna turca. I curdi turchi sono 15 milioni, mentre I curdi siriani sono circa 3 milioni e mezzo.
Ad Assad non resta che continuare a fare giochi sporchi con i suoi alleati − russi e iraniani − che, peraltro, non si fidano di lui: gli iraniani, infatti, sospettano che siano proprio gli uomini di Assad a fornire le coordinate della loro presenza in Siria ad Israele, quando partono gli attacchi contro di loro. Assad è sempre più solo ed isolato. Io penso che sarebbe bastata – a suo tempo – una netta presa di posizione internazionale per farlo cadere ed evitare il disastro siriano. Ora, di nuovo, non si aspetta altro che la sua caduta.
- La caduta di al-Assad è una prospettiva dunque vicina nel tempo?
Può essere vicina o lontana: sicuramente la caduta di Assad è la condizione senza la quale è impensabile poter parlare di prospettive di pace e di ricostruzione della Siria. Quando ciò accadrà, arriveranno molti soggetti internazionali in Siria con i loro capitali. Scorrerà un fiume di denaro per ricostruire una terra bruciata, perché questa è troppo importante e strategica per il mondo intero.
Grazie per questo reportage. Sono appena tornata da 10 giorni in Siria e confermo tutto ciò che denuncia. La situazione è gravissima ed è necessario che il mondo non abbandoni questa popolazione devastata.
Vi condivido un mio articolo uscito pochi giorni fa su Vinonuovo.
https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/pietre-di-siria/.
https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/pietre-di-siria/