– Perché i musulmani non esitano a qualificare l’islam come «religione perfetta» e a rifiutare come «non musulmane» tutte le manifestazioni meno gloriose?
La concezione che i musulmani hanno della loro religione è fortemente segnata da una frase del Corano, che si legge nella quinta sura: «Oggi, ho portato a termine per voi la vostra religione e ho realizzato su di voi il mio beneficio. Dichiaro l’islam come religione per voi».
Oggi, il discorso comune afferma che Dio stesso ha fatto «discendere» l’islam, che ne ha delimitato i confini e le forme. L’islam sarebbe una religione pura, perfetta e totalmente divina, che basterebbe applicare tale e quale, come un’istruzione per l’uso o il piano di un architetto, per risolvere tutti i problemi umani. Per il fedele si tratta dunque di capire cos’è l’islam… e di applicarlo, una volta che ne è sicuro.
Tutto ciò che abbiamo sotto gli occhi e consideriamo, dall’esterno, come l’islam «reale» – le pratiche e i discorsi molto diversi a seconda delle correnti, dei paesi, dei periodi storici –, e che noi tentiamo di analizzare dal punto di vista delle scienze umane, non ha nessun interesse per molti musulmani. Tutto ciò è solo rumore e riflette in modo parziale o incompleto il vero islam. Molto spesso si sente dire, di fronte a un fenomeno che non piace: «Questo non è l’islam».
– È questa la ragione per cui i conflitti fra musulmani sul contenuto dell’islam sono così violenti?
Sì, certo, perché quando si è convinti che la religione – come Dio l’ha voluta – prescrive questo e non quello, si tenderà a imporla. Che si tratti di Daesh, dei Fratelli musulmani, di salafiti o di musulmani tradizionali, ciascuna di queste correnti cerca di definire tali istruzioni per l’uso. Tutti sono d’accordo nell’affermare che i cinque pilastri – professione di fede, preghiera quotidiana, elemosina, digiuno e pellegrinaggio alla Mecca – sono l’islam; ma tutto il resto è oggetto di dibattiti molto intensi a partire dal VII secolo.
In altre parole, ogni corrente ritiene di sapere «che cosa è l’islam», di conoscere cioè le «istruzioni per l’uso» che Dio ha fatto discendere sul profeta dell’islam e che garantiscono al musulmano l’ingresso in paradiso. Ma in realtà non c’è accordo sul luogo dove vanno cercate queste «istruzioni per l’uso».
La grande tradizione sunnita considera che la “mappa” prevista da Dio per l’umanità resti aperta. Esistono certo dei «principi intoccabili» (thawābit), ma questi vanno continuamente interpretati e completati dal lavoro dei giuristi in base ai diversi luoghi e momenti storici.
Tale prospettiva è difficile da accettare per coloro che prendono alla lettera la citazione coranica: se è Dio che ha “portato a termine” l’islam, non spetta agli uomini farlo. Dalla fine del VIII secolo, i wahhabiti rifiutano l’idea che la tradizione musulmana possa completare la rivelazione. Rifiutano lo sviluppo maturato nelle scuole giuridiche limitandosi al Corano, alla Sunna (la biografia del Profeta) e agli hadith, le parole del Profeta trasmesse dai compagni. I «coranisti», una corrente apparsa più di recente, sono ancora più radicali e convinti che ci si debba limitare solo al Corano per definire «che cosa è l’islam».
– Perché questo dibattito è particolarmente acceso oggi tra i musulmani?
Perché la modernità ha completamente scosso le autorità musulmane tradizionali e perché Internet ha reso possibile una maggiore democratizzazione del sapere. Praticamente ogni musulmano si trova oggi a dover considerare la domanda: che cos’è l’islam? Questa o quella pratica appartiene davvero all’islam? Faccio bene quanto occorre fare? Il mio vicino musulmano che non ha la mia stessa pratica è musulmano quanto me? In una società tradizionale la domanda non si pone nemmeno: tutti hanno più o meno una stessa forma pratica.
What is islam? The importance of Being Islamic è il titolo di un volume pubblicato nel 2016 negli USA da Shahab Ahmed, ricercatore pakistano-americano dell’Università di Princeton. Parte da una serie infinita di domande su ciò che è «musulmano» e propone infine un approccio che porta a considerare musulmano tutto ciò che è detto o prodotto nel mondo musulmano. Naturalmente la sua tesi continua a suscitare dibattiti accesi nel mondo anglosassone.
Dal canto suo, lo studioso di letteratura medioevale Thomas Bauer nella sua opera, anch’essa recente (Die Kultur der Ambiguität. Eine andere Geschichte des Islams, Berlin 2011), mostra che l’islam non è sempre stato ossessionato da questa ricerca di una perfezione univoca, ma si è sviluppato al contrario dentro società che danno prova di una forte “tolleranza alla ambiguità”.
– Quale conseguenza ha l’idea di islam come religione «perfetta» sui rapporti con le altre religioni?
In una visione classica dell’islam, le religioni dei cristiani, dei giudei, dei zoroastriani, ma anche le correnti musulmane considerate eterodosse sono percepite come espressioni o manifestazioni religiose deformate, momentanee, in cerca della “vera” religione che è l’islam. Alcuni pensatori musulmani le considerano parte di una pedagogia divina progressiva. Altri invece ne parlano in termini di “fallimento” delle rivelazioni precedenti e vedono l’islam come correzione di questi errori.
Ma nella lunga storia della tradizione musulmana – ed è ciò che mostriamo nel numero 33(2018) del Midéo, la rivista del nostro Istituto (IDEO) – altre correnti e pensatori hanno visto le religioni nella loro autenticità, secondo il principio che Dio invia un profeta a ogni popolo. La diversità religiosa sarebbe in questo senso voluta da Dio stesso.
Jean Druel, domenicano francese, è dottore in linguistica araba e direttore dell’Istituto Domenicano di Studi Orientali (IDEO) del Cairo. L’intervista è apparsa su La Croix il 18 giugno 2019 (qui in lingua originale). La riprendiamo in una nostra traduzione dal francese.