Papa Francesco ha deciso di autorizzare i pellegrinaggi a Medjugorje, che dunque potranno d’ora in poi essere ufficialmente organizzati dalle diocesi e dalle parrocchie e non avverranno più soltanto in forma “privataˮ come accaduto finora. Lo hanno reso noto, il 12 maggio scorso, durante la messa nella parrocchia-santuario, divenuto meta per milioni di pellegrini, il nunzio apostolico in Bosnia-Erzegovina Luigi Pezzuto e l’arcivescovo Henryk Hoser, visitatore apostolico a carattere speciale della Santa Sede.
Come ha precisato il direttore ad interim della Sala stampa, Alessandro Gisotti, «l’autorizzazione papale va accompagnata alla «cura di evitare che questi pellegrinaggi siano interpretati come un’autenticazione dei noti avvenimenti, che richiedono ancora un esame da parte della Chiesa. Va evitato dunque che tali pellegrinaggi creino confusione o ambiguità sotto l’aspetto dottrinale. Ciò riguarda anche i pastori di ogni ordine e grado che intendono recarsi a Medjugorje e lì celebrare o concelebrare anche in modo solenne».
«Considerati il notevole flusso di persone che si recano a Medjugorje e gli abbondanti frutti di grazia che ne sono scaturiti – ha precisato Gisotti –, tale disposizione rientra nella peculiare attenzione pastorale che il Santo Padre ha inteso dare a quella realtà, rivolta a favorire e a promuovere i frutti di bene».
La decisione del papa arriva a un anno di distanza dalla nomina di Henryk Hoser, arcivescovo emerito di Warsavia-Praga in Polonia, quale «visitatore apostolico a carattere speciale per la parrocchia di Medjugorje, a tempo indeterminato e ad nutum Sanctae Sedis, cioè a disposizione della Santa Sede, avvenuta il 31 maggio 2018.
Sia quella nomina che l’annuncio attuale non entrano, dunque, nelle questioni dottrinali relative all’autenticità del racconto dei sei veggenti in merito a quanto accaduto a Medjugorje a partire dal giugno 1981, un fenomeno non ancora concluso. Dei sei veggenti, all’epoca bambini o ragazzi, tre assicurano di avere ancora oggi l’apparizione quotidiana della «Regina della pace», sempre alla stessa ora del pomeriggio e in qualunque luogo essi si trovino: sono Vicka (che abita a Medjugorje), Marija (che vive a Monza) e Ivan (che risiede negli Stati Uniti ma torna spesso in patria). Una quarta veggente, Mirjana, racconta di ricevere un’apparizione ogni mese, il giorno 2, mentre per gli ultimi due ex ragazzi di Medjugorje questo accade una volta all’anno.
Alcuni precedenti
Secondo una decisione della Congregazione per la dottrina della fede del 1991, finora erano permessi solo pellegrinaggi privati a Medjugorje. I viaggi erano consentiti solo se non avevano lo scopo di confermare l’autenticità delle apparizioni mariane. Questa decisione è rimasta la stessa anche successivamente, quando, prima nel 2006 e poi nel 2010 le commissioni di indagine vaticane si erano occupate delle visioni dei veggenti. L’ultima, guidata dal card. Ruini, aveva chiuso i suoi lavori nel 2014.
Nell’autunno del 2015, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, card. Gerhard Müller, aveva vietato anche ai laici di partecipare ai pellegrinaggi a Medjugorje, in cui fosse affermata l’autenticità delle apparizioni mariane.
Dagli ambienti della commissione Ruini era filtrata la notizia di un certo scetticismo circa le prime sette presunte apparizioni, dal 24 giugno al 3 luglio 1981, e che quindi occorreva indagare ulteriormente sulla loro autenticità. In maniera ancora più critica erano considerate le successive apparizioni. Tuttavia il rapporto Ruini conteneva la raccomandazione di togliere l’interdetto ai pellegrinaggi, ma questo era in contrasto con la Congregazione per la dottrina della fede.
Papa Francesco non aveva ancora espresso fino ad allora la sua decisione, ma nel febbraio 2017 aveva nominato l’arcivescovo di Varsavia-Praga, Henryk Hoser, come suo inviato a Medjugorje per occuparsi della cura pastorale dei pellegrini; nel maggio 2018, questi fu nominato visitatore apostolico per Medjugorje, direttamente sottoposto al Vaticano.
Il papa, a cui erano attribuite delle osservazioni critiche sull’autenticità delle apparizioni, voleva ora vedere chiaro per quanto riguarda la situazione pastorale del luogo dei pellegrinaggi. Finora non esiste un riconoscimento definitivo circa l’autenticità delle apparizioni. Prima che questo avvenga, bisognerà che le apparizioni siano terminate.
In un editoriale per Vatican News, il redattore capo Tornielli ha ricordato il giudizio positivo del papa sulla pietà popolare nella lettera apostolica Evangelii gaudium del 2013. Ha citato anche una sua dichiarazione di un’intervista precedente in cui diceva: «Credo che Medjugorje sia la grazia. È un fatto che non si può negare: ci sono delle persone che si convertono». Tornielli conclude: «Senza pronunciarsi circa l’autenticità delle apparizioni, Francesco ha voluto occuparsi dei pellegrini».
Intervista all’arcivescovo Henryk Hoser
Il 4 aprile scorso, più di un mese prima dell’annuncio dell’autorizzazione concessa dal papa ai pellegrinaggi ufficiali a Medjugorie, l’agenzia Ansa aveva pubblicato un’interessante intervista, raccolta da Vincenzo Varagona, all’arcivescovo Henryk Hoser, visitatore apostolico a carattere speciale della Santa Sede nella parrocchia di Medjugorie, dove si trova ormai da oltre quindici mesi. Di seguito il testo dell’intervista.
– Mons. Hoser, la chiesa di Medjugorie è una “cattedrale” sorta inspiegabilmente in una campagna disabitata, ben prima delle apparizioni…
È stato un segno profetico. Oggi arrivano pellegrini da tutto il mondo, da 80 Paesi. Ogni anno ospitiamo quasi tre milioni di persone.
– Come fotografa questa realtà?
Su tre livelli: il primo è locale, parrocchiale; il secondo è internazionale, legato alla storia di questa terra, dove troviamo croati, bosniaci, cattolici, musulmani, ortodossi; poi il terzo livello, planetario, con arrivi da tutti i continenti, in particolare i giovani.
– Rispetto a questi fenomeni, sempre abbastanza discussi, ha una sua opinione?
Medjugorje non è più un luogo “sospetto”. Sono stato inviato dal papa per valorizzare l’attività pastorale in questa parrocchia, che è molto ricca di fermenti, vive di un’intensa religiosità popolare, costituita, da una parte, da riti tradizionali, come il rosario, l’adorazione eucaristica, i pellegrinaggi, la Via crucis; dall’altra, dal profondo radicamento di importanti sacramenti come, ad esempio, la confessione.
– Cosa la colpisce, rispetto ad altre esperienze?
Un ambiente che si presta al silenzio e alla meditazione. La preghiera si fa itinerante non solo nel percorso della Via crucis, ma anche nel “triangolo” disegnato dalla chiesa di San Giacomo, dalla collina delle apparizioni (Croce blu) e dal monte Krizevac, sulla cui vetta dal 1933 c’è una grande croce bianca, voluta per celebrare, mezzo secolo prima delle apparizioni, i 1.900 anni dalla morte di Gesù. Queste mete sono elementi costitutivi del pellegrinaggio a Medjugorje. La maggior parte dei fedeli non viene per le apparizioni. Il silenzio della preghiera, poi, è addolcito da un’armonia musicale che fa parte di questa cultura, sobria, lavoratrice, ma piena anche di tenerezza. Vengono utilizzati molti brani di Taizé. Si crea, complessivamente, un’atmosfera che agevola la meditazione, il raccoglimento, l’analisi del proprio vissuto, e in definitiva, per molti, la conversione. Molti scelgono le ore notturne per salire al colle o anche al monte Krizevac.
– Che rapporto ha con i “veggenti”?
Li ho incontrati, tutti. In un primo momento ne ho incontrati quattro, poi gli altri due. Ognuno di loro ha una sua storia, una sua famiglia. È importante, tuttavia, che siano coinvolti nella vita della parrocchia.
– In che modo intende lavorare?
Soprattutto nella formazione. Certo, non è semplice parlare di formazione a persone che, con diversi tempi e modalità, testimoniano di ricevere messaggi da Maria da quasi 40 anni. Siamo consapevoli di avere bisogno tutti, vescovi compresi, di formazione permanente, ancora più in un contesto comunitario. Una dimensione da rafforzare, con pazienza.
– Vede rischi in questo accentuare il culto mariano?
No di certo. La pietas popolare, qui è centrata sulla persona della Madonna, Regina della pace, ma rimane un culto cristocentrico, come anche il canone liturgico è cristocentrico.
– Le tensioni con la diocesi di Mostar si sono attenuate?
Ci sono state incomprensioni sul tema delle apparizioni, noi abbiamo centrato i rapporti e soprattutto la collaborazione sul piano pastorale, da allora le relazioni si sono sviluppate senza riserve.
– Che futuro vede per Medjugorje?
Non è facile rispondere. Dipende da tanti elementi. Posso dire cosa già è e come può rafforzarsi. Un’esperienza da cui escono 700 vocazioni religiose e sacerdotali indubbiamente rafforza l’identità cristiana, un’identità verticale, in cui l’uomo, attraverso Maria, si rivolge al Cristo risorto. A chiunque ci si confronti, offre l’immagine di una Chiesa ancora pienamente viva e in particolare giovane.
– Può dirci in questi mesi cosa l’ha colpita di più?
La nostra è una chiesa povera, con pochi sacerdoti che si è spiritualmente arricchita grazie ai tanti preti che accompagnano i pellegrini. Non solo. Mi ha colpito un ragazzo australiano, alcolista, tossicodipendente. Qui si è convertito e ha scelto di diventare sacerdote. Mi colpiscono le confessioni. C’è chi viene appositamente qui anche solo per confessarsi. Mi colpiscono le migliaia di conversioni.
– La svolta potrebbe avvenire anche da un riconoscimento di Medjugorje come delegazione pontificia?
Non lo escludo. L’esperienza dell’inviato della Santa Sede è stata accolta positivamente, come un segnale di apertura nei confronti di un’esperienza religiosa importante, diventata riferimento a livello internazionale.