Succeduto al cardinal Panafieu nel 2006 come arcivescovo di Marsiglia, Georges Pontier, 76 anni, ha a sua volta a lasciato l’incarico a motivo dell’età. È stata l’occasione per tornare con lui su quanto ha segnato questi 13 anni alla guida della diocesi di Marsiglia e i suoi due mandati come presidente della Conferenza dei vescovi di Francia. Riprendiamo l’intervista dal sito della Conferenza episcopale francese (qui l’originale, 21 giugno 2019) in una nostra traduzione.
– Mons. Pontier quali ringraziamenti vorrebbe formulare verso la Chiesa diocesana di Marsiglia?
Rendo grazie per il volto della comunità cristiana che è in questa diocesi di Marsiglia, per tutti i battezzati che cercano di vivere la loro vocazione e la loro missione nella realtà attuale. All’interno della realtà marsigliese, i cristiani sono impegnati a fianco dei più poveri. Penso infatti alle “ronde notturne” vicine alla gente della strada, alle comunità nei quartieri Nord di Marsiglia, che desiderano realizzare l’incontro islamo-cristiano.
Rendo grazie per la varietà del presbiterio, composto da preti diocesani ma anche da numerosi religiosi. Rendo grazie per le vocazioni sacerdotali e le ordinazioni celebrate.
Rendo grazie per la presenza delle comunità di rito orientale: maronite, melkite, assiro-caldesi, armene… Esse ci rendono attenti ai drammi del Medio Oriente, particolarmente per i cristiani.
Rendo grazie per i buoni rapporti con le altre confessioni, grazie a Marseille Espérance, per i legami col tessuto associativo, per i rapporti cordiali con i rappresentanti locali delle istituzioni. Veramente, in questa diocesi, c’è una forma di tolleranza e di accoglienza reale!
– Cosa può dire della pietà popolare a Marsiglia, in particolare dell’attaccamento dei marsigliesi alla Buona Mamma?
Nostra Signora della Guardia, la Buona Mamma, fa parte della cultura di ogni marsigliese. Dalla Buona Mamma salgono persone di ogni confessione, che hanno un vero sentimento di vicinanza a Maria nella loro vita. Le si può presentare il nuovo nato il primo sabato di ogni mese e in questa occasione ringraziare per il dono della vita. Inoltre, la Buona Mamma lavora per la fraternità, per l’incontro, per il rispetto di ciascuno.
– Sia come vescovo sia come presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, lei si è impegnato molto per l’accoglienza dei migranti: ha visto lo sguardo dei cristiani cambiare a proposito del loro destino?
In Europa occidentale i cristiani vivono in una società restia all’accoglienza dei migranti, anzi, ne ha paura. È quindi solo alla luce del Vangelo che sono invitati a vivere questa realtà. Questo passa attraverso un lavoro di conversione e di accoglienza della Parola di Dio! Non si possono strappare pagine intere dal Vangelo dove si vede Gesù parlarci dell’accoglienza dello straniero. La fraternità e l’accoglienza sono al centro del messaggio evangelico.
Credo che nell’insieme, sia a Marsiglia, come più ampiamente in Francia, la comunità cristiana capisce che è un dovere dei cristiani essere impegnati nel campo dell’accoglienza. Questo è percepito meglio oggi, rispetto ad anni fa, anche se ci sono resistenze a causa del clima nel quale viviamo o della cultura politica alla quale si aderisce. Ricevo sempre meno attacchi che in passato a proposito di questo problema.
– Negli anni del suo episcopato a Marsiglia, lei ha avuto un’attenzione del tutto particolare verso i catecumeni: riceve ancora le loro lettere e vi risponde personalmente. Come ce lo spiega?
I catecumeni adulti sono un fatto ecclesiale che non parte da noi, ma ci è dato. Lo Spirito Santo lavora il cuore della gente, risvegliando alcuni che erano stati battezzati da piccoli ma che avevano abbandonato tutto, e ne conduce altri, per niente battezzati, ma che si presentano alla Chiesa per essere iniziati alla conoscenza di Cristo, ai misteri di Dio e della salvezza, e alla loro missione.
Come vescovo, era dunque una delle mie prime responsabilità quella di lavorare a questa bella accoglienza di ciò che lo Spirito ci dona: accompagnare i catecumeni, ascoltarli, trasmettere loro il messaggio cristiano, nutrire la loro relazione con Dio nella preghiera… Ciò arricchisce la vita delle comunità cristiane che devono accogliere tutto ciò che viene a noi da questi nuovi fratelli, a noi donati.
I catecumeni sono un dono nella storia di ciascuno. Le lettere che mi scrivono sono la rilettura della loro storia: rispondendo personalmente li si aiuta a ritrovare i segni della presenza di Dio nella loro vita. Questo mi ha nutrito come vescovo: non ho solo creduto che lo Spirito è presente, ma l’ho visto all’opera!
– Nel 2014 e nel 2015 lei è stato padre sinodale a Roma. Ha poi seguito il sinodo sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale nell’ottobre scorso. Cosa pensa della sinodalità nella Chiesa?
La sinodalità è un modo di vivere che unisce fortemente la diversità dei membri. Nel caso della Chiesa, è fare in modo che l’insieme dei battezzati sia associato alla vita di questa Chiesa come persone responsabili e non come semplici consumatori o come ausiliari. Tutti i battezzati hanno questa grazia della responsabilità della vita e della missione della Chiesa.
La sinodalità è anche il modo di strutturare i nostri vari consigli e servizi diocesani affinché al loro interno esistano membri differenti del popolo di Dio: non siamo gli uni contro gli altri, ma gli uni con gli altri. Abbiamo ancora della strada da percorrere, perché si constata che il posto dei chierici è ancora preponderante nella vita e nell’organizzazione della comunità cristiana. E questo, quando, nella teologia dei ministeri, il sacerdozio dei preti è pensato al servizio della crescita spirituale e del sacerdozio comune dei fedeli. Quindi, normalmente, il ministero dei preti deve essere quello del servitore. Il presbitero non è colui che trasforma i battezzati in forze ausiliarie per le proprie idee e iniziative.
Va riconosciuto con umiltà che, particolarmente nelle nostre Chiese occidentali, la storia ha fatto sì che la sinodalità si sia allentata. Dopo il Vaticano II non si sono ancora tirate tutte le conseguenze di questo invito ad una più forte sinodalità nella nostra Chiesa. Lo si vede nella composizione dei nostri consigli pastorali parrocchiali, diocesani… in queste varie strutture previste dalla Chiesa, se abbiamo o meno messo in atto questa sinodalità.
La sinodalità è anche una conversione. Bisogna che si capisca l’importanza di questo modo di vivere il potere e l’autorità nella Chiesa. Non è come nel mondo, dove ci sono quelli che sanno e quelli che non sanno, quelli che hanno il potere e quelli che non ce l’hanno. Nella Chiesa è lo Spirito Santo che ha il potere, ed è nel cuore di tutti i battezzati, e anche oltre. Dobbiamo dunque accogliere questo lavoro dello Spirito Santo. Non ne siamo proprietari. E la sinodalità esprime questo: che nessuno è proprietario dello Spirito Santo e che noi siamo tutti al servizio della sua azione, secondo la vocazione di ciascuno.