Da casi personali e forme periferiche a sistema: la prostituzione è diventata parte del mercato globale. «La fine del XX secolo e i primi anni del XXI disegnano un tornante nelle società occidentali. Si costata lo sviluppo di un fenomeno nuovo: la crescita quasi esponenziale della prostituzione, soprattutto straniera»: un vero e proprio sistema sociale prostituzionale. Ai tradizionali attori (prostituta/o, cliente, prosseneta) vanno aggiunti: la rete direttiva, spesso appannaggio della malavita e delle mafie, il mercato dei corpi, la società e, talora, gli stati.
Al fenomeno e alle possibili risposte della Chiesa e delle sue azioni pastorali è dedicato un numero di Documents episcopat (1,2018), edito dalla Conferenza episcopale francese.
Il corpo e la sessualità sono parte del mercato e alimentano una duplice dominazione: quella dell’uomo sulla donna e quella dei ricchi sui poveri. In Francia il 51% delle prostitute dice di aver subito violenze fisiche, il 64% insulti e umiliazioni, il 29% ha pensato al suicidio, il 38% afferma di aver subito violenza sessuale prima di arrivare al marciapiede.
La mancata percezione della violenza insista dell’atto del prostituire interpella la società, come la spinta del Fondo monetario internazionale o di altre agenzie a sviluppare il turismo in diversi paesi “periferici” vede la corrispondente crescita del sistema prostituzionale: luoghi in cui tutto è possibile in ragione dei soldi, del potere e dell’impunità.
Un sistema sociale prostituzionale
Nel Rapporto mondiale sulla violenza sessuale (Fondazione Schelles) si parla di 40-42 milioni di persone che si prostituiscono. Per il 75% sono fra i 13 e i 25 anni, per l’80% donne. In Europa occidentale le prostitute/i vanno da 1 a 2 milioni di persone. Per oltre il 90% provengono dall’estero (Europa dell’Est, Nigeria, Camerun, Cina, Brasile, Perù, Argentina ecc.).
Per la Francia, la cifra d’affari è di 3,2 miliardi; per il Belgio, quasi un miliardo (euro); per il mondo, oltre 100 miliardi di dollari.
In Europa l’84% delle vittime della tratta sono per il mercato della prostituzione. Il commercio sessuale è largamente controllato dalle mafie e dal crimine organizzato. «Negli ultimi trent’anni, il cambiamento più drammatico del commercio sessuale è stato il suo processo di industrializzazione, la sua banalizzazione e diffusione massiccia a livello mondiale». È diventato, appunto, sistema. La violenza è onnipresente e le organizzazioni destinano le prostitute secondo i criteri di mercato: da città a città, da locali notturni ad agenzie di escort, da saloni di massaggio a bordelli, da appartamenti ai marciapiedi.
È sempre più difficile parlare di prostituzione volontaria anche per le residuali percentuali di autoctoni/e. Negli Stati Uniti si incomincia a 14 anni. In Italia a 12. Anche là dove si invoca l’occasionale emergenza finanziaria (studentesse ecc.) si rimuovono spesso le cause più profonde come l’esperienza drammatica della violenza infantile. In generale, fuori dell’Europa, è il contesto di povertà e di miseria a motivare la vendita del proprio o dei corpi altrui.
Il radicale mutamento della prostituzione dentro il mercato globale giustifica diversamente le tradizionali forme con cui gli stati hanno affrontato il problema: il proibizionismo (perseguito dai paesi islamici, dalla Cina e da altri), la regolamentazione (molti stati europei, fra cui Germania e Olanda) e l’abolizionismo. Quest’ultimo sembra meglio interpretare l’attuale cambiamento di modello perché colpisce sia il cliente che il prosseneta e la rete organizzava.
La Francia ha approvato nel 2016 una legge che penalizza i clienti, ma soprattutto smantella il mercato del corpi e le reti dei prosseneti che alimentano domanda e offerta (cf. “Prostituzione: superare il sistema” in Settimananews).
Nel giugno del 2016 una proposta legislativa similare è stata proposta da Caterina Bini del Pd al Parlamento, anche per arginare le molte altre proposte che teorizzano la prostituzione come un mestiere come tutti gli altri. Le recenti elezioni danno forza a queste ultime.
Crimine contro l’umano
Sia i documenti delle istanze internazionali (ONU) ed europei, sia la tradizione e il magistero ecclesiale recente puntano su un approccio abolizionista. In particolare, la Chiesa cattolica, dopo il recente e organico impegno contro gli abusi del clero e del personale religioso, può attingere a una lunga storia di approccio umano alle vittime della violenza (dalla tratta alle prostitute) che comprende istituzioni religiose, come in Francia le suore di Notre-Dame de Charité du Bon Pasteur (fondate da s. Marie-Euphrasie Pelletier, 1796-1868) a recenti nuove fondazioni, come la Comunità Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi in Italia. Molto attive le suore che hanno organizzato, attraverso le loro rappresentanze nazionali e internazionali (Usmi e UISG), un intervento contro la tratta.
Dall’approccio diretto (anche in strada) all’offerta di luoghi e contesti di accoglienza, dall’accompagnamento personale a forme di alimentazione dell’autonomia (insegnamento della lingua, rinnovati legami con la famiglia, garanzia giuridica, approcci ai sistemi di servizio sociale), dalla rete dei molti gruppi locali di intervento al sostegno delle Chiese, dalla lotta alla cultura maschilista all’appoggio alle proposte di legge più adeguate: sono i percorsi più largamente condivisi.
La sfida maggiore è spesso la paura delle interessate: «paure del “protettore” che le minaccia; paura dei “compagni” che le obbligano a restare nel mestiere; paura di essere espulse in quanto irregolari; paura di perdere il loro “salario” se abbandonano la prostituzione; paura che le loro famiglie siano informate del loro “lavoro” nella prostituzione. Paura per tutto e sempre».
Il magistero si è espresso in coerenza con l’insegnamento evangelico. Fin dall’inizio del suo pontificato papa Francesco ha denunciato con forza il fenomeno: dai tweet (23 agosto 2016) all’Angelus (21 febbraio 2016), dal discorso agli ambasciatori (12 dicembre 2013) alla Dichiarazione congiunta delle religioni contro la schiavitù (2 dicembre 2014), dal discorso all’Accademia pontifica di scienze sociali (4 giugno 2016) alla visita alla Comunità Giovanni XXIII (12 agosto 2016).
L’industria della prostituzione, dalla pornografia alla tratta di esseri umani, compresi i bambini, non è né più né meno che una schiavitù. Vite devastate che vanno salvate.
A prescindere dai riti woodoo, in ambito di prostituzione tra soggetti maggiorenni, mi domando il motivo per il quale a cadere vittime della tratta di persone a sfondo sessuale debbano essere sempre le donne straniere, mentre quelle italiane ne debbano essere quasi esenti, sia in Italia, sia all’estero ed il motivo per il quale i marciapiedi del sesso a pagamento si svuotano durante le vacanze natalizie e pasquali ed ad una certa tarda ora di notte, per non dire di osservare le stesse professioniste con uno smartphone in mano ed anche un’autovettura a disposizione. La risposta a tutto questo è quella che la schiavitù del sesso a pagamento non è molto diffusa.