Sisci: ora serve la diplomazia disarmata della Santa Sede

di:
matriosche

Photograph: Maxim Shipenkov/EPA

Due ore di telefonata tra il presidente USA Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin. Più o meno, se si prendono in considerazione i saluti, i tempi per le traduzioni e gli accordi per una partita di hockey fra USA e Russia negli Stati Uniti. La lista degli «impegni» prevede l’interruzione per 30 giorni da parte del presidente russo degli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, a patto che anche l’Ucraina faccia lo stesso con quelle russe; la completa interruzione, da parte di altri stati (quindi anche quelli europei), degli aiuti militari e della condivisione di informazioni d’intelligence con l’Ucraina; il rilascio di 175 prigionieri di guerra ucraini (in cambio di altrettanti soldati russi). Ne parliamo con Francesco Sisci, esperto di geopolitica e per anni corrispondente per diverse testate italiane da Pechino.

  • Kirill Dmitriev, inviato speciale del Cremlino per la cooperazione internazionale, ha detto: «sotto la loro guida il mondo è diventato oggi un posto molto più sicuro». È davvero così dopo la telefonata tra i presidenti Trump e Putin?

Speriamo. La cosa però che vedo, è che non c’è stata alcuna tregua. Si continua a combattere, non c’è stato un cessate il fuoco anche se i russi si sono accordati a non bombardare le centrali elettriche dell’Ucraina. È un segno di buona volontà, più che di una tregua. Si è parlato anche di pace in Medio Oriente. Visto che la telefonata è stata anche molto lunga, due ore, si può ipotizzare che si sia parlato di Iran. Tra l’altro, venerdì scorso russi, cinesi e iraniani si sono trovati a Pechino per parlare della questione delle armi nucleari iraniane. Si sono quindi aperti vari fronti. L’orizzonte però non è ancora chiarissimo, anche se meglio uno squarcio tra le nuvole che nulla.

  • Perché questi due protagonisti? È possibile davvero che il mondo e la pace nel mondo si affidano a Trump e Putin? Dove stanno tutti gli altri? 

Innanzitutto va detto che c’è un terzo convitato di pietra ed è la Cina. E la Cina è importante. Proprio in queste ore, è arrivato dalla Cina l’annuncio che Xi Jinping andrebbe negli Stati Uniti in «un futuro non lontano». Non si sa se in aprile o a maggio o quando. Ma evidentemente c’è una diplomazia almeno a tre e non a due. Certo, è vero che non si dovrebbero trascurare tutte le altre capitali che dovrebbero essere informate sugli eventi ed essere soddisfatte dei risultati ottenuti. Questa di Trump è una scommessa: andare avanti da solo, sostanzialmente su questi due fronti: il fronte russo e il fronte cinese. Speriamo che porti dei frutti.

  • Tre protagonisti che agiscono in base ai loro rispettivi macro interessi economici. Quanto c’è di politica e quanto di economia dietro a tutti questi colloqui?  

In teoria la pace fa bene all’economia. Un’economia di guerra è pur sempre un’economia di nicchia, mentre la pace porta un dividendo di sviluppo enorme. Quindi la pace fa bene a tutto e a tutti. Naturalmente bisogna capire che pace si farà e soprattutto se si raggiunge una tregua vera. Un orizzonte che al momento appare lontano. Circa due mesi fa a Gaza si era raggiunto un cessate il fuoco. Un accordo certamente buono ma raggiunto in modo frettoloso e che come prevedibile, non è stato definitivo. Hamas non ha dato rilasciato tutti gli ostaggi come aveva promesso e gli israeliani hanno ripreso a bombardare. Ma Gaza è solo un riflesso di uno scenario mediorientale estremamente complesso. Quello che voglio dire è che non dobbiamo tanto focalizzarci sul cessate il fuoco. Ma vedere se questo cessate il fuoco si raggiunge, come si raggiunge e poi se tiene.

  • La grande sconfitta ieri sera è stata l’Unione Europea. Che cosa stiamo rischiando con un’Europa così debole e come ripartire per proporsi ai tavoli negoziali con più autorevolezza?

È inutile girarci attorno. Noi stiamo fuori dai tavoli, perché non siamo armati e quindi non rappresentiamo una minaccia. È brutto dirlo. Ci dispiace dirlo però è la realtà. Se vogliamo stare al tavolo della trattativa e vogliamo una pace che noi giudichiamo giusta, dobbiamo armarci. Poi, dobbiamo unirci di più politicamente e coinvolgere di nuovo la Gran Bretagna che è stata il grande ricamatore diplomatico di questi mesi, tenendo rapporti sia con gli Stati Uniti, con l’Europa e i vari paesi europei, pur essendo fuori dall’Unione europea. La terza cosa è vedere cosa farà Merz. La Germania è ad una svolta economica e politica. Sappiamo che Merz è in stretto contatto con il premier britannico Starmer. L’Europa infine dovrebbe darsi delle strutture politiche unitarie nelle quali decidere cosa fare e come fare un esercito europeo, una economia che speriamo in crescita. Come parlare e cosa chiedere a Putin e magari anche a Trump. Se però non fa queste quattro cose, certo al di là delle lamentele, l’Europa non esce e, anzi, la situazione peggiora.

  • Nel giro di pochi anni, dal punto di vista geopolitico, tutto è cambiato.  Nuovi protagonisti, nuovi scenari. In questa situazione completamente nuova, che tipo di diplomazia della pace deve nascere?

Oggi più che mai servirebbe uno spazio per la Santa Sede. Proprio perché tutti si armano e non solo tutti si armano, ma tutti si devono armare per sedersi al tavolo dei negoziati, diventa tanto più importante il ruolo di un protagonista come quello della Santa Sede. Una diplomazia disarmata, indipendente perché non è legata in alcun modo a patti politici paralleli e disinteressata a interessi economici. La Santa Sede è estranea a tutti questi equilibri. È un vero e autentico ricercatore di pace esterno e quindi, in teoria potrebbe giocare un ruolo di mediazione, di ragionevolezza. Per farlo e per cercare la pace tra interessi e urgenze diverse dei vari Stati, occorre conoscere molto bene i vari Stati e le condizioni della guerra e poi sperare di mediare per evitare il conflitto. Questo ruolo se non lo fa la Santa Sede, non lo fa nessuno.  È inutile farsi illusioni. I vari paesi peseranno in base al loro grado di potenza. Occorre quindi chiedersi, come si fa a trovare la pace e una pace equa in un tempo di guerra. Per questo dico che il ruolo diplomatico della Santa Sede secondo me sarebbe fondamentale.

  • E questo lo può fare solo un attore disarmato e privo di interessi politici ed economici?

No, lo possono e lo devono fare gli attori armati. Però in questo contesto, un attore disarmato, ragionevole, razionale, con il solo obiettivo di spendersi per la pace, può avere un ruolo essenziale. È come un lubrificante messo nei meccanismi della guerra. Occorre certamente studiare quale lubrificante mettere, metterlo di volta in volta e in base alla situazione e ai meccanismi. Magari, senza quel lubrificante, l’incastro si trova, ma con più fatica, con più frizione.

  • Agenzia SIR, 19 marzo 2025
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