Lo stato dell’arte sulle staminali con lo sguardo al pianeta

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Non solo sciopero per il clima lo scorso 15 marzo. Nella stessa data era già programmato da tempo – come ogni anno il secondo venerdì di marzo, al termine della Settimana internazionale del cervello – l’UniStem Day, la Giornata dedicata alla conoscenza delle cellule staminali.

Nei maggiori Paesi europei i responsabili hanno cercato di coordinare le due iniziative (orari, numero di partecipanti…), mentre solo in Italia si è avuto un problema in più: fare i conti con la continua diminuzione dei fondi destinati alla ricerca che non trova soluzione (negli ultimi 10 anni un calo di oltre il 20%). Per esemplificare: l’Italia, nel 2016, investiva in ricerca pubblica e privata 21,6 miliardi di euro, il Regno Unito ne spendeva 33, la Francia 50 e la Germania 92.

A luglio una relazione del CNR rivelava come il nostro Paese spenda in ricerca l’1,3% del PIL, un dato che ci pone al 12° posto tra i Paesi europei, preceduti anche da Repubblica Ceca e Slovenia, mentre è in aumento il contributo italiano alle pubblicazioni scientifiche, le citazioni e le domande di brevetti.

Per la riflessione della Giornata rivolta agli studenti della scuola secondaria di 2° grado, gli atenei italiani hanno quindi dovuto attingere dalle file interne o poco lontane, come a Trento dove sono intervenuti i ricercatori del CIBIO (Centro interdipartimentale di biologia integrata) e dell’Università di Bolzano, riducendo opportunamente il tempo delle relazioni per dar modo agli studenti di partecipare alla manifestazione per il clima, caldamente raccomandata anche da numerose famiglie trentine (si sono visti anche genitori accompagnare i figli più piccoli della scuola primaria).

Un appuntamento importante da non sottovalutare l’UniStem Day che quest’anno ha raggiunto l’11ª edizione, come ha ricordato sui media anche Elena Cattaneo, una delle maggiori scienziate italiane, senatrice a vita, promotrice dell’iniziativa dall’università di Milano: un «lungo e affascinante viaggio della ricerca sulle cellule staminali» come recitava il video iniziale condiviso fra 99 enti di ricerca in ogni parte del mondo. Un evento per conoscere lo stato dell’arte dalla voce stessa di quanti sono quotidianamente al lavoro, in una ricerca seria, coscienziosa e soprattutto che vuole essere trasparente (dovrebbe far riflettere l’alzata di scudi “dall’interno”, da parte di centinaia e centinaia di biologi di tutto il mondo occidentale, contro la pubblicazione, a metà, dei risultati della sperimentazione avvenuta in Cina su due gemelline).

In stadio avanzato la terapia genica

“Staminali tra speranza e realtà” titolavamo due anni fa da questo portale, quando ormai era stata smascherata la truffa del Metodo Stamina e con l’obiettivo di evocare quanto la disinformazione possa, sempre più spesso, giocare brutti scherzi. Soprattutto oggi in epoca di fake news abilmente confezionate (si intensificano infatti i corsi di aggiornamento per giornalisti, anche sulle notizie scientifiche, come quello organizzato per il 21 marzo dall’Ordine del Trentino-Alto Adige).

Solo per ricordare di cosa stiamo parlando: esistono diversi tipi di cellule staminali, anche se l’opinione pubblica sembra puntare l’attenzione solo a quelle embrionali. Le cellule “totipotenti”, ossia quelle che possono specializzarsi in tutti i tipi cellulari) sono l’ovocita fecondato (zigote) e i blastomeri, le cellule della morula (embrione a 2-4 giorni di sviluppo), che daranno origine all’intero individuo e alla placenta. Già a poco più di una settimana di vita, la parte più interna della blastocisti è occupata dalle cellule staminali “pluripotenti” che differenzieranno nei foglietti e in tutti i tipi di cellule dell’organismo.

Poi esistono le cellule staminali “multipotenti”, che si trovano ancora nell’individuo adulto, ma che hanno una capacità “ridotta” in quanto possono dare origine solo ad un numero limitato di tipi cellulari limitatamente al tessuto in cui si trovano (nel midollo osseo esistono le cellule staminali ematopoietiche che daranno origine a tutte le cellule del sangue e quelle mesenchimali che differenzieranno in cellule ossee e cartilaginee).

E, da ultimo, si conoscono le IPS, le cellule staminali “riprogrammate” perché pluripotenti indotte (scoperte nel 2006 dal giapponese Yamanaka e dall’inglese Gurdon, entrambi premi Nobel nel 2012), grazie ad una tecnica che permette di evitare l’utilizzo di embrioni.

Perché è così importante parlare di staminali? Perché siamo nel campo della ricerca bio-medica, volta quindi alla cura di patologie finora gravemente invalidanti o letali, commentava Simona Casarosa, docente associata a Trento.

Significativo l’intervento di Anna Cereseto, direttrice del Laboratory of Molecular Virology del CIBIO di Trento, dove è stata messa a punto, in collaborazione con le università di Modena, Edimburgo e Leuven, la tecnica dell’EvoCas9, una variante del CRISPR/Cas9 (scoperto e presentato nel 2010 da Emmanuelle Charpentier e da Jennifer Doudna), una tecnica paragonabile a delle “forbici molecolari” che permette di tagliare il DNA nel punto desiderato e, di conseguenza, inserire, togliere o modificare la sequenza del genoma di interesse.

L’Human Gencode, il genoma umano, contiene 19.950 geni, ma solo oggi possiamo finalmente parlare di una “terapia genica”. Utilizzando cellule staminali ematopoietiche, tratte dal midollo osseo, è possibile infatti curare i cosiddetti Bubble Boys, quei bambini e ragazzi affetti da immunodeficienza congenita che sono costretti a vivere in ambiente sterile perché privi di ogni difesa immunitaria anche nei confronti dei microbi più comuni (sono conosciute le tristi immagini che li raffigurano all’interno di grandi contenitori di plastica).

Altri utilizzi sono la cura dell’anemia falciforme o della degenerazione della retina o l’HIV, mentre sono in corso trial clinici per combattere l’Alzheimer.

Punto comune di partenza è la non-immutabilità del DNA: il genoma umano non è univoco, come ancora tanti credono, bensì cambia e si può modificare o “correggere”. Considerare il DNA fisso e immutabile (quante volte leggiamo o ascoltiamo espressioni, frutto di disinformazione, tipo “sta scritto nel DNA”?) dimostra oggi – a più di 60 anni dalla scoperta di Watson e Crik – una mancata conoscenza dei dati scientifici: il DNA è “liquido” e noi stessi siamo un mosaico di geni soggetti a mutazioni quotidiane.

La produzione di organoidi e di carne Animal Free

Sempre attraverso le staminali si stanno costruendo gli Organoids, vale a dire dei piccoli cervelli, pancreas, mammelle, prostata: organi in vitro, di dimensioni ridotte. A che servono l’ha spiegato Luca Tiberi, ricercatore del CIBIO, sottolineando in particolare la sfida che i biologi stanno affrontando: il reimpianto degli organoidi, ad esempio nell’intestino, magari a tessuto ridotto per un intervento di asportazione oncologica. Senza dimenticare la ricerca in corso per combattere la microcefalia prodotta dal virus Zyka attraverso l’utilizzo di organoidi di cervello.

Ma ancora più concreto è il traguardo della Clean Meat o Coltured Meat, ossia la produzione di carne Animal Free, in laboratorio quindi. Come ricordava Stefano Biressi, ricercatore Telethon al lavoro al CIBIO per la ricerca sui muscoli, il 18% dell’effetto serra, secondo la FAO, è imputabile alla filiera della carne, responsabile anche di una marcata deforestazione, un elevato consumo di acqua, oltre alla sofferenza animale, spesso poco considerata.

Una delle soluzioni potrebbe essere proprio la Clean Meat, la cui produzione, per fare un esempio, consuma solo 324 galloni di acqua per ogni kg di carne rispetto ai 1.799 consumati dall’allevamento tradizionale. Certo, non si può farsi illusioni e la produzione su vasta scala – per risolvere, ad esempio, il grave problema della fame nel mondo – è ancora lontana. Ma si tratta comunque di un settore che ha destato l’interesse di tante persone sensibili all’ambiente/creato, alla sofferenza animale o che intendono promuovere una maggior giustizia nel mondo, spaccato in due tra ricco e povero (e c’è pure chi pensa ad una possibilità di alimentazione per i viaggi nello spazio). Stati Uniti, Cina, India, Olanda e Israele sono sede di centri di ricerca in questa direzione i cui sviluppi sono attesi per i prossimi anni.

Intanto, la sperimentazione di tessuti muscolari prodotti in laboratorio resta da noi orientata alla cura di lesioni provocate da gravi incidenti stradali, sul lavoro o in caso di catastrofi: da cellule staminali pluripotenti o IPS è praticamente possibile attendersi una quantità infinita di carne. E sono avviati i trial clinici per la cura dei grandi ustionati o la distrofia muscolare.

La riflessione del biodiritto

Se le notizie sull’utilizzo delle staminali non erano proprio una novità assoluta almeno per i 250 partecipanti, studenti perlopiù di licei scientifici e i loro docenti di scienze, ha destato molto interesse l’intervento della giurista trentina Marta Tomasi, assegnista di ricerca in Diritto costituzionale e pubblico presso la Libera Università di Bolzano.

«Il diritto è “lento”» spiegava Tomasi che, con grande onestà intellettuale, riconosceva come, per un non addetto ai lavori, risulti estremamente «faticoso» comprendere cosa sta facendo la scienza. Come dire che dissertare su cellule staminali, interventi sul genoma, organoidi, cibo in vitro, come pure di fisica o di intelligenza artificiale, sia peggio che scalare una montagna ricca di insidie sconosciute e il rischio di pronunciare affermazioni lontane dalla realtà più che evidente.

Il diritto si basa sugli articoli 9, 32 e 33 della Costituzione, ma occorrerebbe almeno una laurea in biologia o altre scienze per dire qualcosa degno di nota. Un’affermazione tutt’altro che scontata se solo ci si guarda in giro dove troviamo chi scrive o disserta di scienza a partire dalla lettura di qualche libro o giù di lì (negli USA non è neppure raro incontrare testi scritti da chi è stato licenziato e… decide di rifarsi come può).

Negli Stati Uniti – dove è più facile che esistano persone competenti in branche anche molto differenti per via della stessa struttura universitaria (ricordate Al Gore che, mentre studiava giurisprudenza, faceva esami di ecologia?) – attualmente si dibatte su quali organismi siano deputati a valutare la sicurezza della Clean Meat: dipartimento di sanità, agricoltura o commercio?

Cereseto, a questo riguardo, aggiungeva un ulteriore motivo di riflessione: il CRISPR viene definito OGM dalla Corte di Giustizia Europea, mentre non è così oltreoceano dove riconoscono che non si tratta dell’introduzione di una “nuova” sequenza, bensì – com’è vero – solo di una modifica di nucleotidi.

Si tratta comunque di un problema che Tomasi definiva «gigantesco» perché il biodiritto dovrebbe parlare solo appoggiandosi su dati scientifici ben compresi, salvo risultati grotteschi e irricevibili, peraltro abbastanza diffusi sui media (ma ciò dovrebbe valere altrettanto per la bioetica dove un teologo morale come mons. Golser si confrontava a lungo con i colleghi di informatica prima di “balbettare” qualche parola, come diceva sorridendo).

Occorre pertanto valutare bene cosa si sta facendo all’interno dei laboratori e nelle cliniche universitarie, ma senza la pretesa di bloccare il cammino della scienza, soprattutto se “dall’esterno” e senza prima aver compreso bene ciò di cui si intende parlare. Come dire: va bene la terapia cellulare, ma stiamo attenti a valutate attentamente il rischio cancerogeno… il che significa mettere a punto tutta una serie di strategie per valutare prima la sicurezza che l’efficacia. E su questo è giusto vigilare e porre domande agli scienziati.

Perché, «non è la ricerca un problema per l’umanità – concludeva Biressi in riferimento alla sempre più grave situazione italiana –, ma un mondo senza ricerca, quello sì costituirebbe un problema».

Sulla stessa lunghezza d’onda il video proiettato alla conclusione come accaduto in ogni altro evento concomitante a livello europeo. “Il futuro è oggi” recitava il titolo e di lì a poco scorrevano immagini commentate da espressioni quali «like», «share», «follow» (ama, condividi, segui) per concludere, con l’occhio rivolto a Greta Thunberg e alla sua azione in difesa del clima, con un “Liberi di impegnarsi”. Perché, anche la ricerca, come la difesa del pianeta, è nelle mani dei più giovani, certamente più sensibili (pensiamo a cosa è accaduto e ancora accade nelle decisioni politiche di casa nostra) di tanti adulti. E, nonostante il paternalismo, soprattutto, nostrano (sì, proprio di quelli che si dichiaravano preoccupati per la denatalità) che emerge da troppi commenti letti o ascoltati in questi ultimi giorni, la speranza è che siano proprio i giovani a prendere in mano le cose. Prima che sia troppo tardi.

Resta un monito quanto detto da Greta lo scorso autunno alla Conferenza dell’ONU a Katowice, COP 24, rivolgendosi ai rappresentanti degli Stati: «Nel 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente passeranno quel giorno con me e forse mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire… Voi dite di amare i vostri figli, ma state rubando loro il futuro… Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo».

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