AL: ciò che è cambiato e ciò che resta da cambiare

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È apparso sull’ultimo numero di Studia Moralia del 2018 un mio contributo dal titolo: Amoris lætitia: ciò che è cambiato e ciò che resta da cambiare. Un solenne “inizio di un inizio”. Pubblico qui il terzo paragrafo dell’articolo e le conclusioni.

3. La profezia dei canonisti: indissolubilità e adulterio da ripensare

Il secondo punto che desidero mettere a tema è anch’esso quasi paradossale: proprio il documento che ha segnato, 100 anni dopo il sorgere di un Codex Juris Canonici, un forte ridimensionamento della autorità canonica in campo matrimoniale – lavorando sia sulla procedura, sia aprendo lo spazio di un “foro pastorale” – esige, per la sua recezione, la profezia e la creatività dei canonisti. Senza il loro contributo, si potrà far poco.

A tal proposito, il libro di W. Kasper,1 pubblicato pochi mesi fa, presentando con grande pacatezza la rilevanza del testo di AL, pone alcune questioni intorno alla “indissolubilità” che possono bene legarsi alle parallele questioni sollevate da J-P. Vesco, qualche anno prima, durante il cammino sinodale,2 sulla nozione di “adulterio”. In questo campo, è bene ricordarlo, abbiamo bisogno di canonisti capaci di considerare non solo la “lex condita”, ma anche la “lex condenda”.

Un breve testo di Kasper ci è utile per entrare meglio nella questione che attende una soluzione nuova: “Il concetto di indissolubilità esprime solo in modo imperfetto questo carattere di dono del vincolo matrimoniale”.3 Bisogna domandarsi: questa affermazione che cosa significa? Credo che si debba rispondere così: che è compito del canonista studiare la “normativa” più adeguata per dar conto della “indissolubilità”/fedeltà e della sua infrazione, ossia dell’adulterio. Una elaborazione giuridica nuova intorno a questa coppia diventa un compito inaggirabile. E la elaborazione della “sanzione” implica la possibilità di concepire tale sanzione in modo anche diverso dalla scomunica.

In effetti, se osserviamo bene la condizione attuale, scopriamo di essere di fronte ad una falla del sistema, che AL ha generato e di cui non può essere considerata immediata responsabile. Proviamo a fotografarla in forma assai schematica, mettendo a raffronto il “prima” e il “dopo”:

Prima di AL: la condizione del “battezzato divorziato risposato civilmente” poteva avere solo tre uscite verso la comunione: o chiedeva il riconoscimento della nullità del vincolo sacramentale, o sceglieva di vivere in continenza le seconde nozze, o si asteneva dalla comunione sacramentale per la vita intera.

Dopo AL: continuano, ovviamente, le tre opzioni precedenti anche se con carattere non più assolutamente vincolante, e si apre contemporaneamente una quarta opzione che potremmo però definire “incompiuta”. Ossia, in un cammino concepito prudenzialmente “in foro interno”, il soggetto può riconoscere lui – e veder riconosciuto sul piano pastorale – lo “stato di grazia” della propria esistenza in “seconde nozze”. Ma occorre domandarsi: questa condizione complessa, che la legge civile consente e riconosce, in quale rapporto si pone rispetto alla legge ecclesiale? In altri termini, come può la legge ecclesiale riconoscere la condizione “riconciliata” del soggetto civilmente risposato? La questione non può essere risolta soltanto “in foro interno”, perché il matrimonio e la famiglia inevitabilmente non si lasciano racchiudere soltanto nella “coscienza individuale”. In altri termini, AL introduce positivamente la “coscienza del soggetto” come livello necessario per la soluzione dei “casi difficili”, ma tale livello non è sufficiente ad una risposta piena alla questione, ossia deve trovare forme di riconoscimento “ecclesiale/comunitario/istituzionale” che garantiscano la “opponibilità ai terzi”, cosa di cui la coscienza è sempre sprovvista!

Questo punto, per essere davvero risolto, ha inevitabilmente bisogno di creatività giuridica, senza la quale l’ordinamento non avrebbe modo di riconoscere e di tutelare davvero soggetti che risulterebbero pastoralmente visibili, ma giuridicamente invisibili.4 Ciò potrebbe avvenire almeno in due possibili direzioni:

– considerando, in una certa analogia con le soluzioni dell’oriente cristiano, la “morte morale” del vincolo sacramentale e il riconoscimento del vincolo civile, anche se non di carattere sacramentale;

– introducendo una specifica “dispensa”, con sospensione degli effetti del vincolo sacramentale e riconoscimento ecclesiale del vincolo civile.

Questo sviluppo, in altri termini, sta sicuramente “oltre” AL, ma è reso necessario dalla considerazione dello sviluppo che AL profeticamente ha introdotto e che occorre recepire sul piano pastorale.

In ultima analisi, potremmo dire che nel considerare i “limiti” della legge oggettiva, AL rilegge non soltanto la comprensione delle “seconde nozze”, ma permette di distinguerle in modo sempre più accurato dalla fattispecie dell’adulterio. Credo che nel cammino che va da FC ad AL abbiamo assistito ad una graduale riconsiderazione della differenza tra “adulterio” e “seconde nozze”. Non solo perché la differenza che FC proponeva tra divorziato non risposato e divorziato risposato ha acquisito una sua plausibilità ecclesiale, per quanto limitata; ma anche perché il peccato di “adulterio” deve passare, dal punto di vista penale, dalla comprensione di “reato permanente” a quella di “reato istantaneo”. La stessa interpretazione del canone 915 – come ostacolo invalicabile alla reintegrazione dei divorziati risposati – merita una profonda revisione, poiché, con la sua lettura in termini di “responsabilità oggettiva”, non tiene conto né della storia dei soggetti, né delle diverse modalità di accesso e di stabilità nelle seconde nozze. La “ostinazione” nel permanere nella condizione di peccato grave non può essere più semplicemente identificata con il sorgere oggettivo del nuovo vincolo civile. Questa pretesa, ribadita da FC e mantenuta sostanzialmente in vigore fino ad AL, non permette alcun discernimento: offre una soluzione facile, ma ingiusta. Ciò però dischiude una novità procedurale che, in vista di una maggiore giustizia, assicura tuttavia anche una maggiore difficoltà.5

4. Conclusioni

Insomma, per concludere e per ricapitolare, lo spazio processuale che AL introduce nel rapporto tra Chiesa e soggetti cosiddetti “irregolari”, pur essendo stato pensato con le categorie del “foro interno” e quindi senza la esigenza di una traduzione giurisdizionale in “foro esterno”, deve necessariamente confrontarsi sia con un “fare penitenza” che non è mai riducibile alla invisibilità della contrizione, sia con una riconoscibilità del nuovo legame di grazia, che deve poter essere “opponibile ai terzi” non solo nel mondo civile, ma anche all’interno della Chiesa. Lavoro penitenziale dei soggetti e riconoscimento formale delle seconde nozze sono due “non detti” di AL che attendono la elaborazione e la sperimentazione da parte della recezione pastorale e comunitaria, per la quale occorre un contributo di una rinnovata disciplina sacramentale sulla penitenza e di una canonistica capace di accedere anche alla dimensione – assolutamente classica, ma divenuta quasi inaudita dopo la introduzione del Codex nel 1917 – di una lex condenda diversa dalla lex condita. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che la recezione è parte integrante e qualificante del Magistero della Chiesa. Per la quale recezione occorre un lavoro specifico, sia di natura teorica, sia di natura pratica, che sta ampiamente non solo dietro, ma anche davanti a noi, in una Chiesa non solo retro, ma anche ante oculata. Verso questa nuova lungimiranza deve essere orientata una recezione responsabile e coraggiosa della profezia di AL.


1Cf. W. Kasper, Il messaggio di Amoris Laetitia. Una discussione fraterna, Queriniana (GdT 406), Brescia, 2018.
2Cf. J.-P. Vesco, Ogni amore vero è indissolubile. Considerazioni in difesa dei divorziati risposati, Queriniana (GdT 374), Brescia, 2015.
3 Kasper, Il messaggio di Amoris Laetitia, 44.
4Vorrei far notare come molte delle polemiche scaturite dopo la pubblicazione del testo trovano qui uno dei punti di emergenza. È facile, infatti, creare una contraddizione tra “comunione” e “scomunica”, senza concepire alcuna mediazione possibile. E può essere interessante e istruttivo considerare che questa difficoltà accomuna sia chi si oppone al testo, sia chi è favorevole. Intendo dire che, senza risolvere esplicitamente la questione della “forma giuridica dello status del divorziato risposato riconciliato”, non si darà una recezione duratura al testo di AL. E molte belle parole resteranno senza alcuna conseguenza concreta.
5La “certezza del diritto” è altamente raccomandabile, ma non è mai un valore assoluto. Se punissimo tutti i reati con la scomunica avremmo una grandissima certezza e un bassissima giustizia. Un sano equilibrio tra giustizia e certezza impone una creatività ai canonisti, di cui tuttavia essi stessi non sembrano consapevoli. Ho ascoltato un canonista protestare perché “dopo AL sulla sua scrivania era arrivata una grande confusione”. Ciò non esclude affatto che la precedente scrivania ordinata fosse un brutto segno di ingiustizia! La complicatezza della esperienza è anche “meravigliosa”: cfr. A. Grillo, Meravigliosa complessità. Riconoscere l’Amoris lætitia nella società aperta, Cittadella, Assisi, 2017.

Pubblicato il 5 gennaio 2019 nel blog: Come se non.

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