Si è conclusa il 31 agosto a Castellamare di Stabia la settimana di studio promossa dall’Associazione Professori e Cultori di Liturgia (APL) che, a più di cinquant’anni dall’uscita dell’Ordo baptismi parvulorum (la cui editio typica è del 15 maggio 1969), ha proposto articolate riflessioni su rito e prassi.
Il tema del convegno (sintetizzato nel titolo: Il Battesimo dei bambini. Rito, teologia, adattamenti) è stato oggetto di riflessioni a vari livelli: teologico-fenomenologico (Francesco Stoppa, Pierangelo Sequeri, Giorgio Bonaccorso), storico-rituale (Riccardo Saccenti, Elena Massimi) e sistematico-pastorale (secondo l’ordine degli interventi: Hélène Bricout, Pierangelo Muroni, Giacomo Canobbio, Stefano Parenti, Anthony Lusvardi, Pasquale Bua). La settimana si è arricchita della presenza di Marcel Metzger, studioso francese tra i massimi esponenti della ricerca liturgica.
Dal convegno è apparso chiaro che, sebbene l’attuale Rituale possa un giorno essere migliorato e adattato per le esigenze locali e/o pastorali, conserva un’efficacia propria non trascurabile. Questo dato sorge innanzitutto dall’analisi del lavoro svolto prima e dopo il Concilio Vaticano II e sulle possibili riflessioni sulla dinamica tra nascere e ri-nascere.
Il livello storico e lo studio delle fonti
Dal punto di vista storico, lo studio delle fonti ha evidenziato che il battesimo appariva come un giuramento di fedeltà al sovrano e, successivamente, un modo per irrobustire l’appartenenza ad una societas cristiana non più medievale. Il rituale del 1614, che perpetuava consuetudini di battesimo dei bambini più legate a preoccupazioni politiche che pastorali (Saccenti), è poi sostituito dalla editio typica del 1969.
Ma è indubbio che la relazione tra scopi socio-politici e l’impostazione teologica abbia generato una lettura della fede anche come strumento con cui consolidare un certo patto sociale. Il rito è stato poi riformato alla luce della simbolica biblica e della tradizione antica dai lavori dei Coetus 22 e 23 nella fase preparatoria al Concilio (Massimi). L’analisi della fase preparatoria ha evidenziato elementi non secondari: la tensione tra le Chiese di missione (che chiedevano un rito più sobrio) e la preminenza delle logiche simboliche; la ripresa della ricchezza della liturgia della Parola e il fondamentale ruolo degli attanti; la ricchezza del contesto pasquale e la lettura unitaria dei sacramenti.
Il successivo e immediato contesto culturale degli anni ’70 ha caratterizzato le riflessioni teologiche per l’opportunità o meno del pedobattesimo. Il sentimento diffuso della libertà soggettiva emergeva con sempre più vigore. Per questo, si sosteneva da più parti (soprattutto tra pastoralisti) la necessità di attendere l’età adulta per la celebrazione del battesimo.
A questi rispondeva il padre Congar che, come ricorda Massimi, affermava categoricamente che “è il battesimo a fondare la libertà”. È evidente che il contesto sociale mitteleuropeo determinava paradigmi a vari livelli a cui il rito non poteva rispondere da solo. Il battesimo dei bambini sembrava e sembra l’occasione per iniziare alla e immergere nella fede più che attestare una professione matura.
Il livello sistematico-pastorale
Non meno critico il rapporto tra comunità e famiglia che si ripresenta delicato ancora oggi, soprattutto nella determinazione della data del battesimo dei bambini: il quam primum (quanto prima) deve dare spazio alla possibilità della posticipazione dell’amministrazione del battesimo e non solo per una ripresa “catechistica”.
La storia e la prassi insegnano che è determinante tralasciare dottrine amartiocentriche e porre la partecipazione alla comunità come riferimento fondamentale per la celebrazione del battesimo (Murone) in cui anche il ruolo degli attanti (genitori, padrini, comunità) diventa imprescindibile e sempre più responsabilizzato (Bricout).
Le ricerche sistematiche hanno affrontato il dibattito circa la delicata relazione tra desiderio e libertà (Lusvardi), coscienza e peccato originale (Canobbio), necessità e esigenze pastorali (Bua). In questo quadro è apparsa più che utile, in prospettiva storica oltre che comparativa, l’analisi delle prassi celebrative delle Chiese cattoliche orientali (con rimando anche alla tradizione ortodossa in genere) da cui è emersa l’esigenza non tanto di riprendere l’unità dei sacramenti dell’iniziazione ma di ristabilire l’ordine dei sacramenti (battesimo, confermazione ed eucaristia) per riportare al centro il “dono” del battesimo e la preminenza della grazia che tutti anticipa (Parenti).
Il livello teologico-fenomenologico: prospettive
Il livello teologico ha tenuto conto (e deve tener conto) della complessità tanto della fenomenologia del “nascere” (Stoppa) quanto del “ri-nascere” e del “credere” (Sequeri, Bonaccorso).
“Nascere e rinascere oggi” (Stoppa) significa anche essere chiamati a indossare la nostra umanità che deve sapersi adattare alla mutevolezza e all’imprevedibilità della vita. Come il neonato fa esperienza dell’apnea, così il nascere e rinascere passa anche attraverso le esperienze di perdite e di acquisizioni. E, se c’è un luogo dove vita e morte si incontrano e si rimandano, questo è il battesimo (Sequeri). La tensione verso una vita nuova è anche tensione di attesa. Per questo il battesimo è una porta verso l’indicibile e chiude al delirio di onnipotenza che vuole controllare tutto.
La fede, così, si caratterizza per il suo essere “iniziale”: in questa dinamica una “fede generica e preambolare” risulta sufficiente in alcuni racconti evangelici in cui si rimanda agli incontri salvifici con Gesù (emorroissa, cananea…). Il “cieco nato” (citato in Gv 9,1-41) non sa neanche chi sia o chi debba essere il “figlio dell’uomo”. Per questo si può concludere (secondo Sequeri) che la caratteristica della fede sia un credere incondizionato in Gesù anche ignorando la sua identità.
A questo primo assetto va accostato l’approccio più fenomenologico dell’iniziazione in genere (Bonaccorso). Le dinamiche dell’iniziazione, infatti, sono presenti da sempre e in ogni società. La vita è propria di “organismi” che si “adattano” e che “partecipano”. Per l’uomo, questo è possibile non solo per “natura” ma per “cultura”.
La comunità mette in movimento una serie di dinamiche attraverso le quali dona ordine, significato, orizzonti, futuro: in una parola la comunità custodisce i “significati” attraverso cui il singolo si relaziona non solo in modo biologico ma anche intenzionale alla vita e all’universo. Da qui nasce l’orizzonte del sacro, imprescindibile per cogliere l’esperienza rituale che pone una dinamica inversa rispetto alla vita: non dalla nascita alla morte ma dalla morte alla vita.
Ciò significa che l’orizzonte del sacro rende credibile la capacità trasformativa del rito che conduce alla trasformazione della coscienza. Così l’iniziazione si rivela come un nascondersi (e un lento rinascere) in Dio. In essa sorge la “rivelazione”.
Il rito aperto: per la storia e per la riflessione
Seguendo la dinamica fenomenologica il rito rimane imprescindibile perché conserva la ricchezza tra l’incedibile tensione della vita (dimensione biologica) e l’indicibile atteso del sacro (dimensione teologica).
Certo è che la possibilità di vivere di questa ricchezza non può essere relegata al solo rito. I vari approcci, sistematico, dottrinale, rituale, pastorale, devono dialogare con famiglie che spesso pur “cercando il sacro” mancano della fondamentale forma di “apertura al sacro” come “apertura al dono radicale della vita”. Ma devono dialogare anche tra loro: non è pensabile una sistematica che tenga conto solo dei paradigmi medievali o moderni.
Su questo versante, come sulle dottrine e sulle sistematiche che devono rielaborare le categorie fondamentali, il cammino appare ancora aperto. La riflessione teologica, sia dal punto di vista della sacramentaria che della liturgia, può ancora dire molto alla sistematica e alla pastorale. Ma quella che, almeno a chi scrive, appare un’evidenza, non può essere oggetto di un semplice resoconto di una settimana di studio.
Bisogna continuare a riflettere e ridefinire i modelli dell’iniziazione perché il bambino, ogni bambino, «sia prima che dopo la celebrazione del sacramento, ha diritto all’amore e all’aiuto della comunità» (Rito del battesimo dei bambini, Il battesimo dei bambini. Introduzione, n. 4).
Il rito, sempre antico e sempre nuovo, è anche “aperto”; e i teologi hanno ancora molto da valutare e proporre.
Tutto giusto! Ricordiamoci però della preghiera che è scarsa nelle comunità. Senza questa non possiamo fare nulla. Inoltre, sarebbe bello, vedere dei colleghi professori essere più nel campo pastorale concretamente e nei luoghi più complessi. Comunque, grazie per il lavoro e le riflessioni.
I genitori che oggi decidono di battezzare i prpri bambini devono impegnarsi a lasciarsi accompagnare in un cammino di fede, secondo percorsi ben strutturati all’interno della comunità. Non possono essere lasciati soli
Invece di perdere tempo in settimane di ” studio” perché questi non si rimboccano le maniche e ri- iniziano ad insegnare l’ A-B-C della fede? I genitori anche chi ancora battezza i figli non sanno nulla ammesso abbiamo la fede, la comunità esiste sulla carta e voi volete spaccare il capello in quattro??
Sicuramente la soluzione non è “insegnare nozioni”. Oggi l’A-B-C non può ridursi a un sistema noetico. Proprio quel sistema ha contribuito a creare e produrre un fideismo agnostico diffuso. Quindi bisogna cambiare sistema e il convegno ha offerto indicazioni che diventeranno proposte elaborate dai singoli e dall’Associazione. Sarebbe lungo qui spiegare perché. Se vuole però può sempre partecipare alle settimane di “studio”: sono offerte anche a coloro che, come lei, vogliono offrire soluzioni ma hanno bisogno prima di studiare bene i fenomeni (giacché la fede non è magia e non si cala dal cielo senza tener conto della cultura in cui viviamo e della pastorale di cui viviamo). Ma le soluzioni rapide non esistono: sarebbe puerile pensarlo… Poi c’è chi studia per mestiere con diligenza e serietà, e merita maggiore attenzione.
Sarebbe utile e interessante poter leggere, come in altre occasioni, i testi delle varie relazioni…
Di solito gli atti sono pronti entro un anno
Tante belle riflessioni più che altro filosofiche, sociali e va a finire che tutto resta come prima. La domanda che mi sorge è: ma la fede non ha bisogno di consapevolezza e responsabilità? Oppure si continua a far pensare che il Battesimo sia una pratica magica creando un mondo di battezzati ma scristianizzato?
Ritornare alla dimensione simbolica della fede aiuta a comprendere che l’inizio della fede è un “affidarsi a” spesso indefinito.