Le brevi note che seguono non hanno pretesa informativa o sistematica. Sono il racconto di una esperienza che arriva a una tesi, forse eccessiva: dare futuro alla celebrazione comunitaria della penitenza con assoluzione generale, la cosiddetta “terza forma”.
Durante l’Avvento (2020) i vescovi del Triveneto e del Piemonte con il vescovo di Modena, sulla spinta dell’emergenza pandemica, permettono l’utilizzo della terza forma del rito della penitenza, con risultati molto positivi. In Quaresima (2021) il permesso, delimitato nel tempo, è concesso non solo dal Triveneto e dal Piemonte, ma anche dai vescovi toscani. I parroci testimoniano a favore. Ho sentito una dozzina di loro, appartenenti a diverse diocesi del Nord, raccontare di una risposta inaspettata da parte delle comunità cristiane.
Ho potuto celebrare personalmente tre celebrazioni comunitarie in un paese della diocesi di Trento: una in Avvento e due in Quaresima (dedicate rispettivamente ai bambini e genitori della prima comunione e alla comunità parrocchiale). Le condizioni esterne (sanificazione iniziale, distanziamento, mascherine) sono state quelle comuni a tutte le liturgie di questi mesi.
La testimonianza è sempre ad un tempo forte, per il coinvolgimento diretto, con le potenzialità intuibili per il futuro, e fragile se pretende conclusioni assertive.
Per chi vuole attingere al dibattito sulla celebrazione nella “terza forma” rimando agli interventi su SettimanaNews di Antonio Torresin, Matteo Cavani e Antonio Geraldo Fidalgo. Da consultare anche il blog Come se non con gli interventi di Andrea Grillo e Marco Gallo. Più sistematica e ampia la relazione di Giulio Viviani tenuta a Trento il 6 febbraio 2021.
Per uno studio più accurato ricordo alcuni classici: J. Ramos-Regidor, Il sacramento della penitenza (Elle Di Ci,Torino 1971); G. Moioli, Il quarto sacramento (Glossa, Milano 1996), E. Mazza, La liturgia della penitenza nella storia (EDB, Bologna, 2013). Sono una decina i testi magisteriali e normativi sull’argomento; dal Rito della Penitenza (1974) al Codice di diritto canonico (can. 961-963), dal Catechismo della Chiesa cattolica (1484-1484) ai testi di Giovanni Paolo II (Reconciliatio et paenitentia, Misericordia Dei) e quelli dei vescovi italiani.
Un rito e un evento
La sorpresa di vedere riempirsi la chiesa nei limiti di posti consentiti si è rinnovata in tutte e tre le occasioni. Tenendo conto della prudenza di molti per il timore del contagio, della novità della proposta e del calo vistoso della pratica della confessione, ben prima della pandemia, anche solo la presenza non è indifferente.
A questo si aggiunga la compostezza e la serietà dei convenuti. Una tensione palpabile e positiva attraversava le assemblee, come la si avverte in alcune celebrazioni particolari. Essa non era legata a situazioni drammatiche (alcuni funerali), né a contesti favorevoli. Cariche di attese, intuibili anche nella fissità dei presenti, le assemblee sembravano indicare un evento e non solo un rito. Nelle celebrazioni per il popolo sorprendeva la compresenza delle generazioni: dagli anziani agli adulti. Più rari i giovani.
Un popolo intero riconosceva visibilmente la condizione di fragilità e di peccato e attendeva il perdono di Dio. Nel caso dei bambini di catechismo colpiva la presenza numerosa dei genitori, per gran parte non frequentanti. Per nulla estranei a quanto si celebrava. Mostravano di avvertire che la cosa non riguardava solo i figli.
La struttura celebrativa, indirizzata da una traccia inviata dalla diocesi, comprendeva il canto, le preghiere, il silenzio, la proclamazione della Parola, un breve commento col suggerimento della penitenza, le litanie, il Padre nostro, il momento meditativo per l’esame di coscienza e infine l’assoluzione generale, seguita dal congedo e dal canto. Molto bello il riferimento allo Spirito Santo nella formula di assoluzione. Parzialmente diversa e adattata la celebrazione per i bambini.
Prendeva struttura un vero e proprio rito che dava spazio alla Scrittura e a ritmi pacati e condivisi. Unico punto critico è l’avviso ai fedeli di dover confessare nella confessione personale i peccati gravi, con l’esito singolare di confessare peccati già assolti: una sorta di rito aperto. Come annota S. Maggiani (citato da Viviani): «Soltanto in un cammino, tipo catecumenato, il rito può essere giustamente aperto, perché ciò lo richiede la natura del sacramento. Ma una volta posta l’efficacia del segno sacramentale, l’esperienza rituale deve ritenersi conclusa, pena l’oscuramento della realtà sacramentale, come di fatto avviene».
Si lascia l’impressione, come mi ha fatto notare un partecipante, di un controllo delle coscienze considerato inutilmente intrusivo.
Le obiezioni e il futuro
Mi sono venute in mente alcune delle obiezioni che nel tempo sono state fatte all’assoluzione generale che le norme riservano al pericolo di morte, al numero eccessivo dei penitenti (ma di fatto mai viabile), al dovere di non lasciare privi per molto tempo i fedeli della grazia sacramentale. Alcune critiche plausibili, altre meno.
Di rilievo la sottolineatura che solo nella confessione individuale si verbalizza il proprio stato, riscoprendo e affermando la libertà all’origine del peccato e rinunciando ad alibi o a incolpare altri. Si riafferma in tal modo il rapporto personale con Dio, attraverso il ministro. Meno convincenti il riferimento alla pigrizia (o alla paura) dei ministri, alla mancanza di necessità in caso di pandemia, all’eccessiva facilità per i penitenti, allo snervarsi del sacramento verso un suo abbandono piuttosto che il contrario, come semplice espediente per l’assenza di preti o per ragioni di tempo.
Infine a privare i bambini di un incontro diretto con il sacerdote e a proseguire nella sacramentalizzazione piuttosto che nell’evangelizzazione.
La cospicua presenza non conferma l’assenza del senso del peccato, il pregiudizio critico anti-ecclesiale o la presunta volontà di controllo dei chierici. Non si tratta di rinunciare alla centralità della confessione individuale o a rimuovere quella collettiva con confessione personale, ma piuttosto di avviare un circolo virtuoso fra le tre forme della penitenza. In ordine alla pratica di un processo penitenziale che non imploda nell’identificazione del sacramento come semplice saldatura dell’accusa delle colpe e dell’assoluzione.
In un contesto come quello della pandemia che vede ridursi la pratica dei sacramenti, il segnale non dovrebbe essere svalutato. Si tramandano i battesimi, i matrimoni e le ordinazioni presbiterali, si diluiscono o si posticipano prime comunioni e cresime, l’eucaristia viene in molte maniere limitata. Senza parlare della grave assenza dell’unzione degli infermi per moltissimi dei morti da Covid.
Nel panorama attuale il segnale dell’interesse delle comunità per la celebrazione della confessione generale dovrebbe stimolare un risposta creativa dei vescovi, superando quanto scrivevano nella dichiarazione sul nuovo rito della penitenza nel 1975: «i vescovi italiani, singolarmente interpellati sul problema, non convengono sull’effettiva presenza in Italia, di situazioni tali che giustifichino la necessità e, quindi, la liceità della concessione, sia pure in casi particolari, dell’assoluzione collettiva».
Al passo, già compiuto da parte di alcuni, dovrebbero seguire altre creative e condivise indicazioni.
Si ma a me sembra che per la confessione individuale non si tenga conto dell’evoluzione del modo di pensare della realtà odierna in cui l’elemento della privacy è diventato sempre più importante. A fronte di ciò è stato praticamente eliminato l’uso del confessionale che assicurava almeno un minimo di privacy; inoltre difficilmente è oggi possibile confessarsi durante la funzione della santa messa; ne risulta che molte persone si sono allontanate dall’eucarestia. credo che la confessione collettiva o altre nuove modalità più in linea con i tempi possano ridare nuova vitalità all’eucarestia.
A fronte di ciò è stato praticamente eliminato l’uso del confessionale che assicurava almeno un minimo di privacy
in quasi tutti i conventi francescani i confessionali sono chiusi e offrono un buon isolamento acustico; in più sono provvisti di grata se il penitente vuole usarla. quindi dal punto di vista della privacy sono messi bene
inoltre difficilmente è oggi possibile confessarsi durante la funzione della santa messa
è difficile partecipare bene alla Messa e allo stesso tempo celebrare bene il Sacramento della Riconciliazione
Scrivi, parla della Mia Misericordia. Dì alle anime dove debbono cercare le consolazioni cioè nel tribunale della Misericordia, lì avvengono i più grandi miracoli che si ripetono continuamente.
Per ottenere questo miracolo non occorre fare pellegrinaggi in terre lontane né celebrare solenni riti esteriori, ma basta mettersi con fede ai piedi di un Mio rappresentante e confessargli la propria miseria ed il miracolo della Divina Misericordia si manifesterà in tutta la sua pienezza. Anche se un’anima fosse in decomposizione come un cadavere ed umanamente non ci fosse alcuna possibilità di risurrezione e tutto fosse perduto, non sarebbe così per Dio: un miracolo della Divina Misericordia risusciterà quest’anima in tutta la sua pienezza. Infelici coloro che non approfittano di questo miracolo della Divina Misericordia! Lo invocherete invano, quando sarà troppo tardi!».
Gesù a Suor Faustina (Diario, Vigilia di Natale 1937)
La mia esperienza: finché il peccato non lo dici al confessore rimane sempre dentro, ti tiene prigioniero rendendo la vita sempre più triste.
Racconto un fatto che mi é accaduto.
Sono andata con la macchina per la benzina e alla fine ho chiesto agli operai:
Posso lasciare qui la macchina mentre vado a confessarmi?
Risposta: Ma come mai le suore andate sempre a confessare e i preti non si confessano mai?
Naturalmente ho risposto che non li vediamo ma che sicuramente trovano il modo per confessarsi.
Abbiamo visto il Papa confessarsi e Vivendo a Roma da 54 anni, non mi è capitato mai di vedere un prete o un religioso confessarsi nelle Basiliche o nei Santuari.
Questa domanda degli operai mi ha fatto riflettere sulla testimonianza e mi veniva in mente la frase di Gesù: Fate quello che dicono ma non guardate quello che fanno.
la sua accusa è ingiusta sorella, non le è mai capitato perché i sacerdoti invece di fare la fila da uno sconosciuto in un santuario, vanno normalmente a confessarsi da un amico sacerdote dello stesso presbiterio con cui prendono appuntamento o con un sacerdote della stessa o altra comunità religiosa in cui vivono. I fedeli laici e le suore vengono normalmente confessati in chiesa per prudenza, i sacerdoti invece possono essere confessati in canonica o in convento…Papa Francesco ha fatto bene a dare un segno, ma dedurre che i sacerdoti e i religiosi non si confessano perché non li vede fare la fila in una Basilica romana è una sciocchezza
Condivido la positiva esperienza sia prima di Natale che prima di Pasqua, avendo aumentato il numero delle celebrazioni nei giorni iniziali della settimana santa e con una buona partecipazione, sia numerica che si ascolto attento, in ognuna delle cinque che abbiamo vissuto. Tutto ciò sena togliere la possibilità di celebrazione individuale che non è mai mancata anche nei mesi scorsi e soprattutto è stata possibile per chi lo desidera anche nel Triduo pasquale. Certamente va pensata con calma, oltre il fatto di straordinarietà legato a questo tempo, perché credo che tante confessioni individuali nelle ultime ore prima di Natale e di Pasqua non siano certamente molto più significative come consapevolezze delle colpe, profondità di dialogo, segni di grande conversione. A tutti è stato richiamata la possibilità di celebrare con calma, in tempi più distesi, senza la preoccupazione di essere a posto solo perché è Pasqua. Poi ognuno accoglie quanti riesce a valorizzare. Non si vuole certo togliere la confessione individuale, ma neppure pensare che questa formula sia l’unica possibile nei secoli, dato che le forme hanno avuto anche uno sviluppo e non possiamo mettere limiti allo Spirito.
bravi, ma fondamentale oggi e sempre sarà il recupero di un sano senso del peccato, contro le esagerazioni del passato e la nullità del presente, altrimenti non avrà alcun senso nessun tipo di penitenza, sarebbe solo ritualismo.
Forse sono un disobbediente anarchico, ma da anni a Natale e Pasqua celebro la riconciliazione comunitaria con assoluzione. Un ora di riflessione e confronto sulla Parola di Dio. Sono arrivato ad avere quasi 300 persone presenti. Credo che senza nulla togliere alla confessione individuale questa sia una strada.
Per favore.
Ve lo chiedo in ginocchio.
Non toglieteci anche la confessione.
Vi prego.
Mi permetto di suggerire la lettura del libretto di DOMICIANO FERNANDEZ, Dio ama e perdona senza condizioni, Possibilità dogmatica e convenienza pastorale dell’assoluzione generale senza confessione privata, ed. Queriniana,1999, o anche il mio articolo FRANCO GOMIERO, L’impegno di un parroco per il recupero del sacramento della Riconciliazione, in Rivista di Pastorale Liturgica (RPL), 134(1986/1); e ancora FRANCO GOMIERO, La dimensione ecclesiale della Penitenza, in Rivista di Pastorale Liturgica (RPL), 211(1998/6).
bravo Don Giuseppe Turani. Proporrei però non l’abolizione dell’obbligo della confessione per i peccati gravi. Piuttosto introdurrei la possibilità di confessarsi con una formula standard generica che includa tutto, senza bisogno di specificare le fatidiche specie e circostanze….”Ti Chiedo perdono o Dio per tutti i peccati con cui ti ho offeso, abbi pietà di me peccatore, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, ma tu mi metterai l’anello al dito e i sandali ai piedi, mi correrai incontro e mi abbraccerai, perché sei buono e misericordioso e cancelli le colpe di colui che si pente come l’0riente dista dall’Occidente e non le ricorderai”, una specie di atto di dolore biblico e il sacerdote dà l’assoluzione.E che questa confessione, sacramentale e valida, in forma generica possa essere vissuta sia in modo individuale con il sacerdote sia in modo comunitario.
Sappiamo che è estremamente difficile motivare biblicamente la confessione specifica e dettagliata dei peccati…all’inizio della Chiesa non era così e S Paolo a quanto pare non si è mai confessato ed è andato in paradiso, S Pietro pure e persino S Agostino (non mi dite che le “Confessioni”, equivalgono a una della confessioni che facciamo noi, le nostre sono molto più faticose).
In questo modo si taglierebbero alla radice anche tanti abusi di potere, coscienza, violazioni del sigillo ecc…che purtroppo avvengono nella confessione.
Chi poi si vuole aprire nello specifico per avere un consiglio lo potrebbe fare, ma per me un mea culpa generico e niente più sarebbe più che sufficiente.
“Legate fardelli pesanti sulle spalle della gente”….con questa storia delle circostanze…specie, numero, aggiungi, aggiungi, la Chiesa ha fatto proprio così. E’ ora di sfrondare!!! E’ora di tornare alla semplicità evangelica, il paralitico che arriva davanti a Gesù e lui gli dice “coraggio figliolo, i tuoi peccati sono perdonati”, senza bisogno di nessuna confessione, non sarebbe un vero “progresso del dogma?”. Dicono che è protestantizzazione. ma non è vero, protestantizzazione è abolire il sacramento, non renderlo più semplice e evangelico. In ogni caso abbiamo anche tante cose da imparare dai protestanti, ne conosco tanti che hanno tutta l’aria di essere persone molto vicine al Signore e a quanto parte non si confessano mai
Avrà veramente un futuro la Riconciliazione comunitaria con l’assoluzione generale? Faccio parte di un presbiterio di una parrocchia di undicimila abitanti di una diocesi del nord Italia. Abbiamo chiesto al vescovo diocesano di estendere a tutta la diocesi la facoltà di utilizzare la formula per l’assoluzione generale, la risposta è stata negativa. Vi è nella chiesa una difficoltà a comprendere che il sacramento della Riconciliazione, se non si aprirà a nuove forme, morirà totalmente. La storia di questo sacramento insegna che ha avuto nel corso dei secoli notevoli cambiamenti, questo è un mopmento di rinnovsmento e cosa si aspetta ad introdurre l’assoluzione generale, non eliminando totalmente l’attuale prassi? Sarebbe bene togliere poi l’obbligo della confessione personale per i peccati gravi, poichè è insignificante legare la misericordia di Dio alla dimensione del tempo. La chiesa sta perdendo un periodo, segno dei tempi, creato dalla pandemia che permette di introdurre forme nuove in tutto l’ambito liturgico, anche nella stessa celebrazione dell’Eucaristia. Auguro che lo Spirito sia ascoltato e che non prevalga sempre il diritto e non la persona
desiderosa di perdono.