Eucaristia, essenzialmente una lode

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Un ulteriore passo nella riflessione di Ghislain Lafont sulla “Nuova teologia eucaristica”, che giunge ad individuare nella “natura eucaristica” della messa il suo centro: lode e dossologia chiedono una rilettura della parola e del pasto, assimila la Chiesa al suo Signore. Con questo testo si conclude la prima parte degli interventi del teologo francese su questo blog. Ma è in programma, a partire dai prossimi giorni, una “nuova serie” di interventi, che metterà a tema, in modo molto stringente, la relazione tra il nuovo modello di teologia eucaristica e una nuova teologia del ministero ordinato.  Come lascia intendere anche la conclusione del testo qui sotto, il passaggio alla nuova teologia eucaristica esige una riscoperta della nozione di “sacerdozio regale”. Per questo la costruzione della teologia medievale e tridentina della eucaristia deve essere sottoposta ad accurata “decostruzione”, fondandola, come vedremo, su una diversa teoria del sacerdozio e del ministero. (Gli altri interventi: Perché una “nuova” teologia eucaristica?; Un’eucaristia in paradiso?; Sacrificio simbolico; Verso il sacrificio eucaristico).

Una nuova teologia eucaristica dovrebbe ripartire da ciò che dice la parola stessa: eucaristia, felice parola di grazia, o ancora, dossologia, parola di gloria. Un complimento fatto a una signora, per il suo bel vestito, degli applausi che esplodono alla fine di una esecuzione musicale perfetta o di una conferenza insieme magistrale e modesta, l’elogio convinto di un defunto prima di seppellire il suo corpo, delle felicitazioni (dal latino felix, felice) che accolgono una certa prestazione, qualunque essa sia… considero questi esempi semplici e umani, perché credo che ci sono utili per riattivare in noi la gioia dell’ammirazione, senza la quale non può esserci parola di grazia. Nell’eucaristia si tratta di una atto di meraviglia davanti a Gesù Cristo, che provoca la lode e incita spontaneamente alla partecipazione.

Un esempio: durante il mio servizio militare, circa 70 anni fa (!), avevo un compagno totalmente digiuno in fatto di religione. Dovevamo partire per le esercitazioni, ma siccome le manovre militari gli erano tanto estranee quanto la fede, ottenne di restare in caserma e di garantire una sorveglianza continua in loco. Mi chiese un libro per passare il tempo. Gli diedi una biografia di Gesù, redatta per gente semplice da una sorta di profeta, il padre Thivollier. Questo libro, che all’epoca conosceva un immenso successo, s’intitolava Il Liberatore. Al mio rientro dalle esercitazioni il mio collega mi disse il suo stupore e la sua ammirazione: «Che tipo è questo? È veramente esistito? Ha detto e fatto tutte queste cose?». Quindi ho cercato di convincerlo che era tutto vero, che non era un romanzo o una leggenda. Sono riconoscente a questo ragazzo, che ha riattivato in me la lode: eucaristia!

Nel Messale di Pio V c’era una prefazio straordinariamente semplice, da utilizzare nei giorni ordinari. Lo riproduco qui:

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza
renderti grazie sempre e in ogni luogo,
a te Signore, Padre santo, Dio eterno e onnipotente,
Per Cristo nostro Signore
Grazie a lui gli angeli lodano la tua maestà,
le dominazioni la adorano, i troni la riveriscono
I cieli e le potenze del cielo, con i beati
serafini la celebrano, uniti nella stessa letizia.
Al loro canto ti preghiamo di lasciar
unire le nostre voci
E di proclamare con la stessa gioia:
Santo, Santo, Santo…

In questo testo si trova un’invocazione a Dio, che esprime il desiderio di una lode perenne nel tempo e nello spazio, poi una sola riga che evoca il mediatore grazie al quale questa lode è possibile, infine la preghiera raggiunge in cielo il coro degli angeli, primi beneficiari di questa mediazione. L’assemblea radunata torna quindi a se stessa e assume su di sé la dossologia. La memoria di Gesù Cristo è centrale: soltanto con due titoli – Cristo e Signore – si dice tutto. Siamo rimandati silenziosamente al Simbolo apostolico. Questo Gesù, grazie al quale tutte le creature possono lodare il Padre, è il «Figlio unigenito, nato dalla vergine Maria, che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò dai morti, è salito al cielo, siede alla destra del Padre onnipotente, e di là verrà a giudicare i vivi e i morti». In un certo modo, l’eucaristia dice tutto questo e si compie in questa breve dossologia, che tutto comprende: l’invocazione di Dio, l’evocazione della salvezza in Gesù Cristo, l’anticipazione della città celeste, dimora di lode, ma anche partecipazione di tutti noi ancora sulla terra, che formiamo la comunità, una sorta di impegno a vivere tutto, nel corso del tempo, in laudem gloriae, a lode della gloria, come amava ripetere santa Elisabetta della Trinità: è il sacrificio spirituale che la lode include nel sacrificio del Cristo. A monte di questa lode, e per motivarla oggi di nuovo, c’è la proclamazione della Parola di Dio poiché, come dice la Lettera agli Ebrei, «di me sta scritto nel rotolo del Libro», e dunque ogni passo della Scrittura ci parla del mistero per cui l’eucaristia rende grazie.

Tuttavia la parola non è sufficiente: bisogna coinvolgere anche il corpo, come fu anche per Gesù. Per questo portiamo pane e vino, segni del sacrificio simbolico. Invochiamo lo Spirito Santo, frutto della risurrezione, affinché assicuri alla lode un rimando da un lato alla sua sorgente corporea, il corpo e il sangue di Gesù morto e risorto, dall’altro alla nostra comunità che si offre in sacrificio spirituale, in comunione con le altre comunità e in definitiva con tutta l’umanità. E alla fine, di nuovo, facciamo risuonare la dossologia: per Cristo, con Cristo e in Cristo… La comunione sacramentale iscrive il nostro corpo nell’azione liturgica e fa di noi il Corpo di Cristo.

Sembra quindi evidente che è l’intera comunità a celebrare questa lode: essa non è altro che la funzione eminente di ciò che il Concilio ha richiamato come sacerdozio regale della Chiesa (LG 10)

Pubblicato il 4 aprile 2018 nel blog: Come se non.

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