Fra i testi approvati nell’assemblea generale dei vescovi francesi (5-10 novembre 2024) ve ne sono due che riguardano da vicino i preti: sulla confessione e sull’accompagnamento spirituale. Sono elaborati in coerenza con le indicazioni fornite dalla CIASE, la commissione che ha lavorato sul tema degli abusi (cf. qui su SettimanaNews).
La confessione celebra il perdono e apre al rinnovamento della vita battesimale. È frutto della misericordia di Dio e dell’azione dello Spirito. Le linee guida riguardano la distinzione tra «foro interno» e «foro esterno», il segreto sacramentale, l’assoluzione e alcune indicazioni di contorno.
L’arte della confessione
Il «foro interno» attiene alla relazione personale e intima con Dio ed è proprio della confessione, mentre il «foro esterno» si riferisce ai comportamenti e agli atteggiamenti pubblici. Si chiede al confessore una particolare prudenza per non interferire nella relazione del penitente con Dio. È lo Spirito che scruta i cuori e le anime e il confessore ne è solo un testimone «esterno».
Molto netta è la riaffermazione del segreto confessionale che la CIASE chiedeva di togliere in casi di immediato pericolo. Esso «rende possibile una parola difficile, per quanto pesante possa essere. Il segreto vincola il confessore e permette al penitente di aprirsi, senza dubitare che quanto viene confidato possa essere usato contro di lui né contro altri».
Il sigillo sacramentale ha un carattere assoluto anche quando si debba rifiutare l’assoluzione. Nessuno può sollevare il confessore da questo legame. Neppure il penitente. Nel caso di una vittima di abuso, il confessore consiglierà con delicatezza di confidarsi con quanti possono aiutarla, sollevandola da ogni senso di colpa.
Non esiste un’«assoluzione sotto condizione». Essa è tale e resta tale. Ma questo non esonera il penitente dalla risposta ai suoi atti e alle loro conseguenze. «In certi casi e senza rifiutare l’assoluzione il confessore ricorda (al penitente) che l’efficacia esige un atto di riparazione riguardo alle vittime», come il denunciarsi alle autorità civili ed ecclesiali.
Consigli pratici
Fra le indicazioni più pratiche c’è il riconoscimento dell’opportunità di confessare dentro i luoghi di culto, in ambienti per questo preparati. In ogni caso in contesti visibili da fuori. Non si confessa nella propria camera. Si sconsigliano le confessioni notturne a meno che non siano all’interno di veglie di preghiera condivise. È bene evitarle in contesti emotivamente connotati.
Anche il tempo è importante. Non devono essere troppo lunghe. È bene che ci sia un segno visibile (crocifisso) e che il confessore indossi la stola. La relazione sacramentale non tollera un’eccessiva familiarità e il gesto dell’imposizione non deve toccare il penitente.
Il dialogo è finalizzato a chiarire la coscienza del peccato e non è intrusivo. È un ascolto «casto», libero da ogni compiacenza, diverso rispetto a quello psicoterapeutico. In nota si ricordano la scomunica latae sententiae nell’assoluzione «del complice», nel caso della violazione del segreto e di «sollecitazione» del penitente.
Per il confessore si richiede un’adeguata formazione iniziale. Per esercitare il sacramento è necessario un esplicito mandato rilevabile sul «celebret» (di nuovo previsto per il clero francese; cf. qui su SettimanaNews). È fortemente raccomandata la formazione continua e la necessità di informare i fedeli circa il sacramento. Invitandoli anche a denunciare atteggiamenti ambigui o intrusioni eccessive. La penitenzieria diocesana è chiamata a promuove e a vegliare sul buon esercizio del sacramento.
Accompagnare nello Spirito
Il secondo documento riguarda l’accompagnamento spirituale o «direzione» spirituale.
«È un servizio specifico offerto a una persona che liberamente desidera essere aiutata nella sua ricerca di Dio, per quanto riguarda la sua vita e le sue scelte per seguire Gesù e nell’ascolto dello Spirito Santo. L’accompagnatore è una persona formata (prete, diacono, laico, religioso, religiosa) e riconosciuta dalla Chiesa. Con la grazia dello Spirito Santo cerca di aiutare la persona ad esercitare il discernimento per riconoscere le mozioni divine, gli appelli, il senso del combattimento spirituale, un desiderio di Dio su un punto preciso della vita quotidiana come negli eventi. L’accompagnamento supporta la persona a prendere liberamente le decisioni, piccole o grandi, per vivere secondo il Vangelo e condurre la propria vita nella ricerca di una verità più grande e di una più grande libertà».
L’accompagnatore verifica le attese dell’interessato e precisa la differenza fra direzione spirituale e confessione. Il suo ascolto è «benevolo», facilita la parola altrui. Soprattutto rispetta l’azione dello Spirito che opera nel fedele. Rinvia ad altri professionisti (medici, psicologi, consultori) quando le domande mostrino la presenza di disturbi di personalità.
Nel caso di un abuso commesso o subìto invita l’interessato a rivolgersi alla giustizia, informandolo del proprio dovere di denuncia. Non decide mai al posto di colui che chiede accompagnamento e si deve guardare dall’avviare una relazione affettiva. Può rinunciare al suo servizio se si accorge di non risultare utile.
Libertà e responsabilità
Un buon direttore spirituale è a sua volta accompagnato nel proprio cammino ed è chiamato ad acquisire una formazione adeguata, trovando luoghi o persone in grado di supervisionare il suo servizio. L’accompagnamento non può essere fatto per numeri troppo alti e dovrà essere conforme alle direttive in ordine agli abusi.
Chi si rivolge al padre spirituale deve farlo in piena libertà, impegnarsi con continuità e fedeltà ed evitare un potere improprio sulla sua persona. Rimane responsabile delle sue decisioni e non è opportuno che cumuli molti riferimenti. È chiamato alla discrezione e a denunciare eventuali abusi, rimanendo sempre libero di interrompere il rapporto.
Il cammino sviluppato richiede, ad un certo punto, una verifica reciproca sulla fedeltà alle chiamate di Dio, sulla trasparenza rispetto all’azione dello Spirito e sui frutti di bene prodotti.
È buona norma che il dialogo non superi l’ora e la periodicità sia, ad esempio, mensile. Il luogo dei dialoghi sia sempre apribile e le sedie o poltrone non troppo vicine. Non vi è tariffa per questo servizio ecclesiale. L’eventuale offerta andrà ad un’opera della Chiesa o della congregazione.
Perdonate tutti
Tornando alla confessione, è utile riproporre le parole a braccio che papa Francesco ha speso per i confessori della Basilica di San Pietro nell’udienza dell’11 novembre, quando ha alluso ad una grande opera d’arte non visibile ma presente nella Chiesa: le confessioni.
«Per favore, che ci siano sempre, a portata di mano, i confessori. La gente va, sente qualcosa, anche i non cristiani si avvicinano per chiedere una benedizione… In questo mondo così artistico e bello, c’è anche l’arte della comunicazione personale. E per favore dite ai confessori di perdonare tutto, tutto! Tutto va perdonato. Il Signore vuole questo e non fare discorsi. “Tu devi…”. No, niente “devi”. Ti perdono e vai avanti, con il Signore. Perdonare, non tanto predicare; qualche parola si deve dire, ma perdonare; che nessuno vada fuori [senza benedizione]. Anche quelli che non sono cristiani, mi dicono i confessori che tante volte sono musulmani o di altra religione, si avvicinano a chiedere una benedizione. Date la benedizione sempre a tutti, a coloro che vogliono confessarsi, perdonate tutti, tutti, tutti!».
Sono da tempo lontano dalla confessione. Trovo stupende le parole del papa (anche se sono certo che qualcuno arriccerà il naso). Tuttavia.. nella mia esperienza sono rarissimi i confessori delineati dalle parole di Francesco, perciò tendo a restare diffidente e sospettoso. Qualcuno dice che importa il sacramento, non il confessore. Vi assicuro che importa, e importa molto.