«I rituali della Chiesa», «le cose da fare a messa», «la rigidità dei gesti», «la confessione». Spesso questa è la risposta alla domanda: «qual è la cosa più brutta o che vedete più critica della vostra fede?», quando faccio qualche piccolo sondaggio tra i gruppi giovani che frequento. Tanti modi, più o meno elaborati, per dire, in fondo, che oggi i sacramenti, per i giovani, sono estremamente complicati. Il problema non sta solo nella dimensione comunitaria del sacramento («la fede è mia e me la gestisco io»), ma anche in quella più personale («che senso ha per me questo sacramento?»). Problemi forse sempre presenti, ma oggi si fa particolarmente urgente la necessità di trovare una chiave di comprensione nuova da offrire ai percorsi di fede dei giovani. Personalmente, non so quale sia. Possiamo però mettere a fuoco qualche suggestione che penso utile.
Il sacramento è…
La definizione di Pietro Lombardo – «è detto sacramento in senso proprio ciò che è segno della grazia di Dio e forma visibile della grazia invisibile, in modo da portarne l’immagine ed esserne la causa»[1] –, per quanto precisa e ineccepibile, non fa molta presa, per quel che riguarda la pastorale giovanile.
Il catechismo che, nella sua definizione, sottolinea le dimensioni ecclesiale e pneumatologica, resta sempre sulla stessa scia: i sacramenti sono «i segni e gli strumenti mediante i quali lo Spirito Santo diffonde la grazia di Cristo, che è il Capo, nella Chiesa, che è il suo corpo».[2] La dimensione puramente intellettuale non basta più ai giovani, che sentono la necessità di un approccio più globale e rispettoso della natura umana, meno schematico e regolare. Più che la resistenza di una teoria, oggi i giovani cercano la resilienza di un approccio e di una visione che siano capaci di accogliere ciò che vivono e sentono.
Se, da un lato, come formatori ed educatori, conosciamo l’importanza di custodire un depositum chiaro, dall’altro, sappiamo anche che l’elemento cruciale nella comunicazione è sempre il destinatario: è la sua comprensione del messaggio ciò che concretamente conta.
Dunque, come trasmettere la questione dei sacramenti ai giovani d’oggi? A quale chiave di interpretazione sono particolarmente sensibili?
Nei sogni Dio parla
Tutti i periodi storici sono segnati dalla preoccupazione per il futuro. Il periodo che viviamo, però, sembra particolarmente caratterizzato da una sorta di apatia destinale, da una sottile e grigia certezza, da parte dei ragazzi, che il futuro non serba un granché per loro. Più che paura, si respira rassegnazione, e la situazione sociale, a livello nazionale e globale, non aiuta. Non c’è da stupirsi che sia davvero deinòs, oggi, terribile e affascinante al tempo stesso, la dimensione del sogno: bisogna essere coraggiosi, oggi, per parlare di sogni. Eppure il sogno è considerato parte integrante della nostra esistenza, come scriveva Shakespeare: «Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita». La chiave onirica può divenire utile per riuscire a trasmettere un depositum che riesca davvero ad azionare il motore della vita.
I sacramenti rappresentano il più profondo coraggio di Dio, perché costituiscono la realizzazione concreta dei suoi sogni. Il sogno di mangiare con noi, di far parte della nostra famiglia, di essere in pace e in armonia con i suoi figli, di starci accanto nella sofferenza, di perdonare… I sacramenti sono segno tangibile del sogno di Dio, un sogno che, siccome ha sempre a che fare con la relazione con noi, vuole essere partecipato. I sacramenti divengono, in senso pedagogico, palestra, specchio, crescita del nostro stesso coraggio di seguire e concretizzare in maniera costruttiva i nostri sogni.
Gesù è maestro, è didàskalos, certo, ma i giovani di maestri ne hanno fin troppi e ormai Wikipedia li ha decisamente disincantati: le fonti di informazioni sono sempre dubbie. Disturbiamo allora Paolo VI: non è di maestri di cui si ha particolarmente bisogno oggi, ma di testimoni. E chiediamoci anche: che tipo di testimoni?
Testimoniare la fede non può non includere testimoniare il coraggio di ascoltare quella voce della coscienza[3] che spinge i giovani a credere e a costruire un futuro migliore. Tema biblico antichissimo, in fondo: nei sogni Dio parla. Ci crediamo ancora?
A riguardo dell’articolo “Giovani e sacramenti”: buone riflessioni dell’autore. Però osserverei: nel NT si parla molto poco dei sacramenti! Invece, già nei primi secoli si diede ad essi più importanza (per varie ragioni specialmente storiche) e più ancora nella prassi cattolica post-tridentina, a scapito dell’ascolto della Parola biblico-evangelica (anch’essa sacramento!) e di altri aspetti della vita cristiana (vedi l’enfasi sacramentale nell’iniziazione cristiana e la quasi riduzione della penitenza-conversione al sacramento della riconciliazione, mentre in antico si parlava di varie vie per la penitenza: vedi san Cipriano e altri). Dunque via ogni enfasi immoderata e proseguiamo nella ricerca teologica e socio-pedagogica. Buon lavoro.
I sacramenti rappresentano il più profondo coraggio di Dio, perché costituiscono la realizzazione concreta dei suoi sogni. Il sogno di mangiare con noi, di far parte della nostra famiglia, di essere in pace e in armonia con i suoi figli, di starci accanto nella sofferenza, di perdonare… I sacramenti sono segno tangibile del sogno di Dio, un sogno che, siccome ha sempre a che fare con la relazione con noi, vuole essere partecipato. I sacramenti divengono, in senso pedagogico, palestra, specchio, crescita del nostro stesso coraggio di seguire e concretizzare in maniera costruttiva i nostri sogni. Suggestivo, chiaro e profondo. Davvero ottimo per i giovani (e anche per i vecchi).