A quanto pare, la grande pietra dello scandalo matrimoniale è il suo carattere “indissolubile”, sia per il suo fondamento positivo, sia per le eventuali “soluzioni pastorali” in caso di crisi. Il tema, pur nella sua complessità, si presenta all’interno di una serie di tensioni: questa categoria è un pilastro teologico piuttosto che giuridico?
È vero che «l’essere umano non separi ciò che Dio ha unito» è una frase che implica teologicamente e giuridicamente quella che è stata chiamata “indissolubilità”? Si può dare all’amore umano un legame perpetuo che richiede fermezza e invariabilità? Può la “grazia sacramentale” trasformare la struttura umana fragile e temporanea in una struttura forte e perpetua? E così si potrebbe continuare con domande simili che creano tensioni diverse nelle persone, nei discorsi e nelle configurazioni sul matrimonio.
Verità e discernimento
D’altra parte, bisogna aggiungere le tensioni provenienti dall’orizzonte interpretativo, che di solito vanno tra la difesa coraggiosa della volontà e della verità che vengono da Cristo, secondo l’interpretazione della Chiesa, e che sarebbero inamovibili, e il discernimento che la Chiesa può realizzare per comprendere meglio questa verità.
Queste tensioni si verificano tra una Chiesa che pretende di professare la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità (immutabile) e, insieme, la sua ricerca di comportarsi con spirito materno di fronte alla fragilità dei suoi figli (mutevoli/adattabili). Tra mantenere inalterata la “dottrina” e la “disciplina” (ecclesiastica) e aprirsi a percorsi di comprensione “pastorale” (ecclesiale). Tra il rigore dei principi e la misericordia o l’equità nella loro applicazione. Tra indurimento ostile e buonismo opportunistico. Tra essere semplici custodi del depositum fidei ed esserne proprietari e signori.
E così si potrebbe continuare con un’altra lunga lista di tensioni che racchiudono posizioni, posture e imposture di vari colori e intenzioni.
Sinteticamente, bisognerebbe assumere che il tema necessita di una seria trattazione teologica, che sappia, con tutto il rispetto possibile, abbandonare ogni rapporto o riferimento a categorie e argomentazioni giuridiche.
Sacramento e comunità
Tale trattamento richiederebbe almeno due cose fondamentali. Soprattutto la revisione del settenario sacramentale, riconoscendo che c’è una gerarchia di verità tra i sacramenti essenziali (battesimo ed eucaristia) e il resto. La realtà ontologica data al battesimo e all’eucaristia non può essere la stessa degli altri sacramenti.
Si tratta di una questione a lungo studiata in senso ecumenico, che le Chiese dovrebbero assumere con maggiore profondità e libertà, smettendo di ripetere all’infinito argomenti difficilmente comprensibili oggi, essendo stati forgiati in risposta a circostanze socioculturali piuttosto che per motivi di valore teologico e salvifico.
La seconda cosa: assumere che la realtà del matrimonio, vista e celebrata dal punto di vista della fede, deve realizzarsi nelle e attraverso strutture ecclesiali di fede e di partecipazione attiva della comunità ecclesiale, e non risolversi nei tribunali dove in qualche modo è presente una prospettiva casistica legalistica. E questo vale sia all’inizio, in vista della celebrazione del matrimonio, sia, se necessario, in caso di fallimento dell’esperienza coniugale.
Ovviamente non si tratta di rinunciare alla dimensione o prospettiva giuridica, che d’altronde appartiene alla vita umana come organizzazione, ma si tratta di distinguere e di accettare dove deve intervenire e dove no.
La realtà sacramentale del matrimonio ha la sua centralità nell’amore-fedele («comunità intima di vita e di amore», GS 48), che, dal punto di vista antropologico e teologico, reclama la permanenza e la chiara intenzione di prendersene cura, cioè evitando ogni segno contrario di disamore e infedeltà.
In questo senso, si deve comprendere che l’essere umano non può dar luogo all’infedeltà laddove Dio ha benedetto un’unità di persone nel segno della fedeltà; qui si comprende – in qualche modo e salvaguardando le distanze – il paragone con la fedeltà di Cristo nei confronti della sua Chiesa.
L’amore-fedele si assume e si celebra sotto il segno della promessa e all’interno delle dinamiche umane di gradualità e processualità, dove c’è sempre la possibilità, non solo del fallimento, ma anche della delusione e di ripensare il percorso, in parte o nel suo insieme. Il che, sicuramente, provocherà lesioni e disagi, che vanno assunti cercando le migliori e possibili risposte, che servano da medicina per continuare a camminare. In questo contesto vanno intese le separazioni temporanee o definitive delle persone unite in matrimonio.
Promessa e separazione
Il matrimonio è una promessa per tutta la vita, purché sia sempre portatore di vita, altrimenti può cessare ed essere riconsiderato. Qui si può parlare solo di separazione (momentanea o definitiva) mai di nullità (terminologia giuridica non adeguata o corretta dal punto di vista teologico e antropologico).
Tutto questo deve realizzarsi nell’ambito della pastorale ecclesiale. Così come bastano il libero e responsabile consenso degli sposi e un paio di testimoni per iniziare questo percorso, la stessa cosa dovrebbe essere necessaria per decidere che il percorso venga interrotto. Solo il consenso degli sposi e alla presenza di alcuni testimoni qualificati che garantiscano che, avendo cercato di rimanere sulla strada dell’amore-fedele, ciò non è stato possibile; ciò verificato, nella libertà-responsabilità dei figli e delle figlie di Dio, essi dovrebbero avere la possibilità di dire basta e di poter ripartire o continuare in altro modo la vita personale e familiare.
La separazione ecclesiale, così intesa, può coincidere con quello che viene chiamato divorzio sul piano civile, senza che vi sia alcun conflitto. Così come il matrimonio richiede un processo di preparazione teologico-pastorale, lo stesso dovrebbe valere in caso di separazione, anche per non dilatare eccessivamente i tempi e le pratiche burocratiche; fermo restando che sempre devono essere attenti e rispettosi delle persone.
Il vangelo del matrimonio e della famiglia ha come contenuto l’amore-fedele, assunto liberamente-responsabilmente dalle persone coinvolte, come dono e promessa di un “per sempre di qualità” (cf. AL, 62; 77; 86), che si declina nel qui ora della storia, personale e sociale, sotto il segno della fragilità e della processualità.
Strutture e persone
Solo una logica teologica, e quindi evangelica, può essere soddisfacente, per assumere il valore del matrimonio, poiché tutte le chiavi giuridiche, anche con le migliori intenzioni, si muovono sempre nel piano delle “concessioni” e delle possibili “eccezioni” nei casi particolari, ma lasciando sempre che le strutture restino al di sopra delle persone.
In questo caso, il vincolo indissolubile si colloca al di sopra delle persone e delle loro vere storie d’amore e di disamore. Solo una logica giuridica pone le cose – in primo luogo – come lecite o valide, come “oggettivamente” peccaminose, al di là delle situazioni soggettive: questo deve essere completamente superato perché rappresentano una specie di schizofrenia che mina la vita di una fede che cerca di realizzarsi evangelicamente.
Tutto questo approccio non è un mero tentativo di soggettivismo o relativismo/emotivismo etico, ma vuole essere una revisione approfondita, cercando di proseguire la prassi di Gesù Cristo, che è venuto per liberarci da ogni tipo di schiavitù, e nel cui piano si spera che tutti gli esseri umani trovino una modalità di realizzazione inclusiva e liberatrice.
Non si tratta, come hanno affermato non poche persone e settori ecclesiali e sociali, trincerandosi in altisonanti bastioni di sicurezza, di piegare la rivelazione ad alcune preferenze umane, annacquando le esigenze evangeliche. Ma, sebbene sia difficile accettarlo, va detto che continuare a difendere l’irrevocabilità del vincolo sacramentale, l’assolutezza dell’indissolubilità, è mantenere un rigore antievangelico, che, sebbene non voluto, non è misericordioso.
Si tratta di seguire la logica evangelica della verità dell’amore (l’unica che rende liberi ed è esigente: «la porta stretta»), al di sopra dell’“amore alla verità” (alla dottrina; alla disciplina ecc.: che finisce per essere “la ristrettezza della porta”), soprattutto quando questa verità non nasce dall’amore, ma da ideologizzazioni condizionate da posture mentali e socioculturali, che non solo non comunicano la genuinità del vangelo, ma lo tradiscono.
Oltre la dottrina dell’indissolubilità
È, in definitiva, importante abbandonare il linguaggio dell’“indissolubilità” e il suo contenuto prettamente giuridico. L’indissolubilità del matrimonio, come continua a presentarsi, è un limite serio e antievangelico alla libertà responsabile dei figli e delle figlie di Dio, frutto di un’imposizione arbitraria di leggi ecclesiastiche che, pur con il buon pretesto di essere manifestazione della forza dell’amore con cui Dio ama l’essere umano, finisce per essere tutto il contrario, un vero e terribile ostacolo (in questo senso, “scandalo”), che deturpa quello che dovrebbe essere un dono del Dio della vita.
Assumere che cristianamente un matrimonio fondato sull’amore-fedele sia una realtà che implica un impegno stabile per tutta la vita (cf. AL, 52; 123; 124), non implica affatto il pesante fardello di tutto ciò che la dottrina dell’indissolubilità comporta oggi (cf. CEC, 1640; 1644; CIC, 1141), presentandola come un obbligo o dottrina al di sopra della realtà delle persone (cf. AL, 134).
Tutto questo approccio non è la diatriba tra un pensiero forte e uno debole, ma il tentativo di essere forti nella debolezza, di essere persone che fanno la storia della salvezza, lasciando spazio alla salvezza nella storia, senza violarla, rispettando le persone e i loro reali bisogni e possibilità, sempre pellegrini e in costante costruzione/conversione (cf. AL, 243).
Speriamo che questa sia veramente la Chiesa che è «il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (EG, 114).
Soprattutto la revisione del settenario sacramentale, riconoscendo che c’è una gerarchia di verità tra i sacramenti essenziali (battesimo ed eucaristia) e il resto. La realtà ontologica data al battesimo e all’eucaristia non può essere la stessa degli altri sacramenti.
è una proposta dal sapore tanto, tanto protestante, nel senso che rispecchia veramente il pensiero di tanti ‘ riformatori’ del ‘500
ma soprattutto va contro l’idea che hanno tanti di riconoscere un qualche valore ‘sacramentale’ a realtà celebrative spesso ignorate o poco considerate, tipo la proclamazione della Parola nella Liturgia, la preghiera della Liturgia delle Ore o le benedizioni
È ovvio che un tale travisamento della parola è della prassi del Signore si giustifica solo mediante una sostituzione del fine ultimo della vita del cristiano: ovvero la sostituzione della salvezza e della “corona di giustizia” con la “realizzazione inclusiva e liberatrice”. Così come sarebbe meglio per l’articolista tralasciare l’analogia paolina tra nozze e amore di Cristo per la Chiesa: figurarsi il Signore che dopo un “processo di preparazione teologico-pastorale” si separi dalla sua Chiesa con cui non
può più condividere un amore fedele di qualità.
Qui siamo ben oltre un’esegesi strutturalista che pretenda di distillare dalle Scritture una pretesa “prassi di Gesù Cristo”, siamo di fronte ad un vero e proprio revisionismo biblico e dottrinale.
E, per favore, non si tiri in ballo la società fluida contemporanea: i primi apostoli si trovarono ad annunciare il Vangelo, completo di rigore coniugale, ad una società ellenistica che non aveva nulla da invidiare a quella attuale! Come mai a quel tempo lo Spirito non ispirò un discernimento più “misericordioso”? O forse la più grande forma di misericordia era e resta quella di indicare sempre la “Via” che è obbedienza a Cristo ed al suo insegnamento trasmessoci – sul tema -pressoché invariato in 2000 anni di cammino?
Non sono un tradizionalista e non ho mai assistito – neanche per errore – ad una messa more antiquo.
Finira’che verranno puniti e cacciati via dalla Chiesa “misericordiosa” i pochi che ancora professano il matrimonio indissolubile, un po’ come vengono oggi perseguitati dalla Chiesa misericordiosa coloro che rimangono fedeli alla Liturgia Tradizionale.
La chiesa cattolica somiglia sempre di piu’ ad una multinazionale i cui manager, nella speranza di riacquistare prestigio e clienti, azzerano tutto quello che c’era prima per ” rinnovare” il brand. Via la cattiva” Chiesa che pretende di professare la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità (immutabile ) e largo alla chiesa -azienda a colpi di marketing e nella stolta convinzione che le azioni umane non necessitino della grazia divina .
E comincia il marketing a colpi di slogan accattivanti “rispettando le persone e i loro reali bisogni” .
Se l’amore è una scelta libera diventa difficile poter seriamente immaginare che in qualche modo non possa essere rivista o fallire. Quando il matrimonio era solo un accordo fra le parti allora pacta sunt serva da. Ma oggi ci si sposa non più con logiche contrattuali ma nella libertà. E quindi occorre ammettere che in fondo i protestanti non avevano torto quando hanno eliminato il matrimonio dai sacramenti, liberando la fede dalla tante paturnie senza soluzione in cui i cattolici si dibattono da decenni.
Se non si deciderà di semplificare l’armamentario religioso, il cattolicesimo è destinato a perdere energie e persone in questi continui dibattiti che non hanno soluzioni adeguate all’interno dell’attuale visione delle cose. Gesù non si è mai sposato. Vorrà pur dire qualcosa in una logica di priorità sacramentale per il cammino di salvezza
dei cristiani.