A ondate, seguendo le varie indagini indipendenti sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, si riapre il dibattito sul segreto confessionale – messo in discussione da alcune proposizioni di quelle stesse indagini. È accaduto in Australia, poi in Irlanda e ora in Francia.
Su questo tema, che va a toccare uno degli aspetti più cruciali del rapporto Stato-Chiesa e della libertà religiosa come quella di coscienza, è intervenuto ora in maniera organica p. Hans Zollner (preside dell’Istituto di Antropologia. Studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura delle persone vulnerabili, e membro della Commissione pontificia per la protezione dei minori). Un contributo importante perché viene da una delle persone con la più ampia esperienza sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica a livello globale.
Per Zollner si tratta di modulare, in modo nuovo e nel quadro di un rapporto fiduciale fra Chiesa e Stato, sia l’obbligo di denuncia alle apposite istanze pubbliche di eventuali casi di abuso sessuale, sia di preservare il segreto confessionale – non solo come indice di un’effettiva protezione della libertà religiosa da parte dello Stato, ma anche come luogo sicuro in cui le vittime possono iniziare a portare alla parola la loro esperienza.
Riportando un colloquio con una vittima, Zollner ricorda che “molte fra di esse si sentono colpevoli e trovano estremamente difficile parlare per la prima volta sopra l’indicibile che è loro accaduto. E temono che, se non sono assolutamente sicure che ciò che viene detto nella confessione non rimane confidenziale, verrebbe meno uno di quei pochi luoghi in cui è possibile parlare della propria esperienza di essere stati abusati”.
Accanto a questa prospettiva, Zollner mette in luce due ulteriori aspetti – questa volta sul versante degli abusatori. Da un lato, che “non c’è nessuna prova stringente che con l’eliminazione del segreto confessionale sarebbe possibile evitare l’abuso”.
Dall’altro, che le probabilità che un abusatore confessi i suoi atti criminali nel sacramento sono estremamente piccole, se non praticamente nulle. In tutta la sua esperienza, Zöllner ha avuto solo un caso in cui un prete gli ha riferito di essersi trovato nella situazione di dover ascoltare la confessione di un abusatore.
Fatto confermato da quella costruzione dell’immaginario con cui gli abusatori arrivano a giustificare a sé stessi il crimine che stanno commettendo: “l’abusatore si costruisce una realtà fittizia nello stesso modo in cui scriverebbe un romanzo, solo che poi applica il suo racconto alla realtà e crede fermamente che quella sia la realtà. Questo fatto è stato oggetto di studio degli psichiatri che hanno scoperto la facoltà mitopoietica dell’inconscio: personalmente ho cercato di spiegare come questo fenomeno si produce, vale a dire, creando degli “immaginari”.
Per “immaginario” intendo un insieme di argomenti, di retoriche, di pratiche e di prodotti culturali, concepiti per esprimere una porzione di realtà. Ho proposto che una sorta di “messinscena” fosse progettata dall’abusatore. Creava infatti un copione composto da una narrazione, uno spazio, personaggi e parole compatibili con l’immaginario fittizio costruito per raggiungere i suoi obiettivi, a scapito delle sue prede.
Queste vengono abilmente manipolate per essere integrate, malgrado loro, al copione. Gli abusatori sostituiscono questa nuova organizzazione della realtà a quella fornita dalle regole ordinarie della vita sociale e a quella della morale cristiana” (A. Pozzo; cf. SettimanaNews, qui).
La proposta di Zollner mira, dunque, a pensare in modo nuovo il sacramento della confessione come luogo ospitale per la narrazione delle vittime, e non come strumento della Chiesa cattolica per venire meno a quelli che sono i propri doveri davanti allo Stato e alla società civile.
Per giungere a questo, Zollner suggerisce la necessità di “una nuova Istruzione vaticana per i confessori, che rafforzi sia l’obbligo di osservanza delle leggi sulla denuncia di abusi al di fuori della confessione, sia il segreto confessionale”. Istruzione che dovrebbe contenere linee chiare su: “1) a chi i confessori possono rivolgersi per ottenere le necessarie chiarificazioni e suggerimenti, così che essi siano in grado di indicare alle vittime e altre persone a conoscenza dei fatti specialisti a cui rivolgersi; 2) quali procedure il confessore deve seguire nel caso in cui una persona – abusatore o vittima – acconsente a un colloquio al di fuori della confessione; 3) il tipo di formazione, iniziale e permanente, di cui hanno bisogno i confessori e su quali sostegni i confessori possono far conto per un rispetto adeguato degli aspetti fondamentali della morale e del diritto, che sovente non sono facili da conciliare tra di loro”.
La questione del segreto confessionale potrebbe, quindi, aprire una nuova stagione del rapporto fra Stato e Chiese, portando verso una collaborazione reciproca che mette il meglio di ciascuna istituzione a servizio della dignità delle persone e della protezione di coloro che sono i più vulnerabili delle nostre società. “Una sana secolarità sa riconoscere la tentazione di sporgersi troppo al di fuori del proprio campo quando si trova davanti alle comunità religiose; e una Chiesa sana sa che deve dare a Cesare ciò che è di Cesare”.
Si tratta di uscire da un dibattito dai toni fortemente emotivi, per preservare uno spazio (religioso, ma significativo per la vita pubblica) in cui il “penitente è pienamente libero di dire davanti a Dio tutto quello che pesa su di lui; e – quando mostra un pentimento sincero – di trovare perdono, riconciliazione e salvezza”. Per Zollner rinunciare a questi mezzi della grazia non sarebbe un bene neanche per una società secolare. Ben consapevole che “in questo ci sono questioni complesse, a cui si deve fare fronte con sensibilità e argomenti razionali nel quadro di un rapporto fiduciale fra Chiesa e Stato”.
Mi dispiace ma è tutto fuori luogo perché il sigillo sacramentale del foro interno attiene al peccatore che, nel caso di cui si tratta nell’articolo, è l’abusatore e predatore sessuale,in sostanza il reo. Che l’abusato si rivolga al confessore diviene un caso di foro esterno per il quale non è invocabile nella maniera più assoluta il vincolo del sigillo confessionale. Ne discende che l’abuso può legittimamente autorizzare il confessore a fare debito uso della denuncia e non della connessione sacramentale resa e il confessore ha l’obbligo di coscienza di riportare ka situazione ai legittimi superiori. Ma sino a quando, dai sapienti articoli che leggo, nelle mani del vescovo quale Ordinario si concentreranno tanto il potere esecutivi, giudiziario e amministrativo, non se be farà nulla perché si procederà a spostare presbiteri e chierici in generale da un luogo ad un altro sino a tacitare tutto.
Bisogna al contrario costituire presso ogni curia diocesana una sezione per i delitti contro il 6° Comandamento e incominciare a parlare sin da ora di atti depravati e non “inappropriati”, un felice eufemismo che cozza contro la parressia evangelica e, di detta sezione,includere con poteri giudiziario categoricamente altre figure ordinate come diaconi e laici di sana e retta condotta.
Un colpo inesorabile alla piaga della mafia,in campo civile, lo si è dato quando sono state costruite e prima pensate, strutture come la DIA sottratte alle logiche dei rivalismi fra corpi di polizia, indipendenti. E poi con il 41 bis del codice penale.
Il tutto facendo tesoro delle intuizioni di Magistrati cone Falcone e Borsellino che avevano compreso la peculiarità del fenomeno mafioso che per transitarieta’ e simile alla piaga della pedofilia che ancora ci si ostina a non voler riconoscere, come studi di eminenti ecclesiastici riportano, come un probkena di omosessualità.
tutto questo sarà possibile solo se c’è un rapporto di reciproca fiducia tra Stato e Chiesa, e Zollner lo ammette esplicitamente
il problema è che ormai lo Stato è visto, sia de destra che da sinistra, come unico ente supremo che Motu Proprio risolve i problemi
poi le leggi che aboliscono il sigillo sacramentale sono elettoralmente spendibili, e quindi convenienti politicamente