I lavori del Quinto «Halki Summit» (Istanbul, 8-11 giugno 2022), seminario internazionale co-organizzato dal Patriarcato ecumenico e dall’Istituto universitario Sophia, si sono concentrati sulla crisi ecologica come sfida e come opportunità, sia per il cammino ecumenico sia per il ruolo che le due Chiese − oggi sospinte e sostenute dalla sensibilità convergente del Patriarca Bartolomeo e di Papa Francesco − possono svolgere attivamente nella svolta che coinvolge l’intera famiglia umana. Le comunicazioni e i dibattiti hanno fatto emergere la consapevolezza dell’urgenza di sviluppare un ethos ambientale condiviso, la necessità di approfondire studi interdisciplinari sulla crisi ecologica e la responsabilità educativa delle Chiese (e delle tradizioni religiose) in questa svolta epocale. Riprendiamo il contributo di Sergio Rondinara, docente di Cosmologia ed Epistemologia presso l’Istituto Sophia, a proposito della crisi antropologia sottesa a quella ecologica che interpella oggi le Chiese e l’umanità.
Avvio questa riflessione sulle radici della crisi ambientale prendendo in considerazioni alcune parole espresse da papa Francesco nella Laudato si’. Questa lettera enciclica sulla cura della nostra casa comune ha il merito di riprendere istanze centrali della dottrina sociale della Chiesa in sintonia con alcuni caratteri del sentire contemporaneo fino al punto da risultare una vera e propria operazione di inculturazione del Vangelo.
Al n° 101 leggiamo: «A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi ecologica». Questa affermazione, nelle sue poche parole, evidenzia e sottolinea il carattere antropologico della crisi ambientale e la rilevanza che essa possiede. Proprio su questo aspetto vorrei posare l’attenzione.
Una crisi più profonda
Se nel passato il rapporto tra persona umana e natura è stato un rapporto equilibrato e spesso di collaborazione oggi esso ha assunto una configurazione critica alla quale comunemente diamo il nome di crisi ambientale. Con questa espressione esprimiamo con amarezza quel deterioramento del rapporto tra società umana ed ambiente naturale tipico dei paesi industrializzati, ma che ormai si sta estendendo ad ogni latitudine.
Tale crisi ambientale rimanda ad una crisi più profonda che investe la persona umana nella sua interezza, essa è crisi antropologica. È il campanello d’allarme di una profonda crisi antropologica figlia di una precisa concezione che l’uomo moderno e contemporaneo ha di sé. Un uomo – e quindi un’umanità – che nella ricerca della propria autorealizzazione si è conformata più all’homo faber che all’homo sapiens, e si è autonominata padrona assoluta del proprio destino e della natura.
La crisi ambientale dunque è crisi antropologica, in particolare è crisi semantica, crisi di significati. Stiamo perdendo sempre più la nostra capacità di riconoscere e dare significati durevoli – al di fuori di quelli utilitaristici – agli oggetti del mondo naturale.
Personalmente credo – e qui è la tesi che propongo alla vostra attenzione – che un rapporto persona-natura rinnovato ed adeguato all’oggi passi necessariamente attraverso il recupero del significato delle relazioni che legano ciascuno di noi alla natura stessa.
Come è possibile recuperare il significato delle relazioni che ci legano alla natura? Questo interrogativo è una sfida culturale non irrilevante poiché occorre intraprendere una ricerca a tutto campo che ci mostri la ricchezza semantica dei termini «persona», «natura» e delle «relazioni» che intercorrono tra loro.
Una tale sfida, per la portata culturale che essa comporta, non può che essere articolata su vari livelli dell’agire umano. Ad esempio al livello antropologico culturale, al livello del pensiero, al livello etico e al livello religioso.
Questi vari livelli sono altrettanti sentieri per il recupero dei significati che stiamo cercando e allo stesso tempo sono anche altrettanti momenti di un percorso educativo personale e sociale tutto da esplorare. Mi soffermo soltanto sul livello religioso facendo riferimento al momento cristiano.
Recuperare i significati
L’interrogativo su come poter recuperare i significati – adeguati all’oggi – delle relazioni che ci legano alla natura sono una sfida per l’uomo di fede che nella ricerca di un adeguato e rinnovato rapporto con la natura è chiamato a far diventare cultura anche quella componente del messaggio rivelato che riguarda il nostro rapporto con il mondo naturale. Oggi, come mai nel passato, la questione ambientale si presenta come un locus privilegiato dove la fede è direttamente interpellata e dove siamo invitati a dare le ragioni della nostra speranza (Cf. 1 Pt 3,15).
Nel contesto attuale la fede cristiana è interpellata non tanto per una risposta apologetica a chi ha accusato il cristianesimo di essere la principale causa dell’attuale crisi ecologica, ma la fede è qui chiamata in causa poiché per il credente il pieno recupero semantico delle relazioni tra persona e natura implica la riscoperta della propria relazione con la natura alla luce di tutta la relazionalità presente nella creazione. Ciò può essere effettuato secondo la triplice prospettiva della temporalità: passato, presente e futuro; che nell’orizzonte della Rivelazione diventa: passato protologico, presente storico e futuro escatologico.
Alla luce di questa triplice prospettiva si può ottenere una risemantizzazione dei termini «persona umana» e «natura», e conseguentemente una loro valorizzazione. Infatti, alla luce della fede:
(1) può essere valorizzata appieno la natura poiché si riconosce che essa, in quanto creazione, ha un valore in sé indipendentemente da quello attribuitogli dall’uomo; inoltre si riconosce che nella natura c’è una manifestazione di Dio che è dono-di-Sé (Rm 1,20) e di essa se ne conosce il fine ultimo: essere la base fisica per i cieli nuovi e terra nuova profetizzati da Isaia e annunciati nell’Apocalisse (cf. Is 66,22; Rm 8,22; 2 Pt 3,13; Ap 21,1).
(2) può essere valorizzata la rete delle relazioni che la lega a noi poiché si acquisisce la coscienza che siamo compagni di viaggio verso la ricapitolazione finale (Ef 1, 3-10) dove Dio sarà tutto in tutte le cose (cf. 1 Cor 15,24-28).
(3) può essere infine valorizzato il ruolo creativo che la persona umana ha nel condurre la natura a Dio poiché ella si auto-comprende come un mediatore capace di valorizzarla e guidarla verso una pienezza che ancora non possediamo e coinvolgerla nello sviluppo culturale dell’umanità attraverso il lavoro umano.
Quale antropocentrismo?
A questo punto però il pensiero cristiano è chiamato a ricollocare con chiarezza, alla luce di questa triplice valorizzazione e relativa semantizzazione, la propria posizione antropocentrica derivante dai testi genesiaci. [1] Una tale operazione avrebbe una grande portata culturale soprattutto in ambito etico dove oggi la miriade di dottrine sull’etica ambientale sono caratterizzate essenzialmente da impostazioni di fondo tra loro totalmente contrastanti.
La posizione antropocentrica, segnata fortemente dal liberalismo economico, tende ad affermare la fondamentale differenza fra l’uomo e tutti gli elementi naturali che costituiscono il suo habitat. Alla base di questa posizione vi è il presupposto che la persona umana abbia un ruolo centrale all’interno del mondo naturale e quest’ultimo non possiede un proprio valore intrinseco, ma possiede solo il valore che la persona stessa gli conferisce.
La seconda impostazione, quella fisiocentrica – segnata dal pensiero ambientalista –, afferma la preservazione della natura indipendentemente dagli interessi dell’uomo. Quest’ultimo, appartenendo anch’egli alla natura come qualunque altro elemento biotico, deve vivere in consonanza con essa uniformandosi alle sue leggi.
Ora, come si è detto, il pensiero cristiano è invitato a ridefinire il carattere dell’antropocentrismo dei testi del Genesi. Il che equivale a chiedersi: quale antropocentrismo per un’etica ambientale nascente in ambito cristiano?
Dimensione oblativa
La risposta non può che essere trovata alla luce dell’evento Cristo, cuore dell’antropologia cristiana. Sarà questo evento a stagliare la specificità dell’etica cristiana riguardo alla realtà naturale. L’evento Cristo realizza una trasformazione radicale della persona umana poiché come afferma l’apostolo Paolo nella Seconda Corinzi: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate». [2]
Essa è dunque una creatura nuova, non soltanto perché riscattata dalla situazione di non-amore in cui il peccato l’aveva relegata, ma perché l’agápe stessa del Padre (cioè l’Amore stesso con il quale il Padre ama il Figlio) è stato riversato nel suo cuore, ora abita in lui, [3] è lo ricolma dello Spirito stesso di Dio.
In Gesù siamo diventati realmente figli nel Figlio, veniamo coinvolti nella stessa Vita di Dio, al punto che in noi abita lo Spirito Santo che grida «Abbà, Padre». [4] Incorporati in Gesù e ricolmi del suo Amore ci scopriamo legati fra noi da un profondo vincolo d’unità, ci scopriamo «uno» fra noi in quanto siamo «una sola persona in Cristo Gesù». [5] Non siamo più degli individui ripiegati sulle anguste dimensioni della nostra esistenza, ma aperti sull’Io di Gesù, ci apriamo anche su tutti gli uomini e le donne, siamo, come dice Cirillo di Gerusalemme, [6] consanguinei e concorporei con Gesù e fra noi.
Diventiamo così lievito d’unità per l’intera creazione (umana e non), diventiamo persone che compongono in unità non soltanto la propria dimensione interiore e le varie espressioni della vita umana (socialità, politica, scienze, economia) ma anche i popoli e le culture; che preparano con il loro agire, attraverso il proprio lavoro, il compimento del cosmo. [7]
Nella cultura del dono
È questo il tipo di persona umana, nuova creatura, che determina il tipo di antropocentrismo dell’etica cristiana, un antropocentrismo cristico, un antropocentrismo oblativo il cui peso ontologico con grandissima difficoltà riesce a star dentro alle classificazioni fenomeniche delle attuali analisi filosofiche o sociologiche.
Nel rapporto con la natura c’è dunque una persona umana che nel realizzare il dono-di-sé diventa sempre più se stessa in quanto vive come figlio di Dio, vive in piena reciprocità con i suoi simili al punto da essere con loro «un cuore e un’anima sola», [8] e vive trascinando l’umanità e il mondo naturale verso la Vita stessa di Dio.
Nell’antropocentrismo oblativo vengono salvaguardate le peculiarità della persona umana senza che essa degeneri in un’autocomprensione ipertrofica del proprio «io» e delle proprie capacità ma fonda in ciascuno e nella società una cultura del dar-si, del dare se stesso.
Questa non è altro che la realizzazione della triplice vocazione che secondo il Genesi contraddistingue l’essere umano sin da quando Dio lo creò: lo creò a sua immagine e somiglianza (chiamato alla comunione con Dio), lo creò nella reciprocità uomo/donna (chiamato alla comunione con gli altri esseri umani) e, lo creò e gli affidò la terra (chiamato alla comunione con il cosmo).
Ma occorre che tutto ciò venga calato nell’oggi, s’inveri nella storia dei nostri giorni e ciò richiede una conversione ecologica come ci ricordano i profetici insegnamenti del Patriarca Bartolomeo e di Papa Francesco. [9]
Conclusioni
La sfida lanciata dalla crisi ambientale esige e sollecita essa stessa un modello antropologico (una figura di uomo e di donna, un tipo di persona) – per gran parte oggi ancora inedito – in cui la persona umana si autocomprenda né come dominatore secondo la prospettiva antropocentrica, né come un comune elemento biotico secondo la prospettiva fisiocentrica, ma come un soggetto cosciente e responsabile che è parte della natura ma che nel suo trascenderla si realizza esistenzialmente nel suo dar-si, nell’attuare cioè il dono-di-sé ai suoi simili e alla realtà naturale di cui anch’egli fa parte.
Quindi un modello antropologico in cui si passi da un’ottica prevalentemente individuale ad un’ottica di comune-unione, da un’ottica di gruppo limitato ad un’ottica di famiglia umana globale.
E qui ogni autentica tradizione religiosa e culturale è chiamata a dare il proprio contributo.
[1] Cf. Gen 1. In particolare Gen 1,27-28; 2,15.
[2] 2 Cor 5,17.
[3] Cf. Rm 5,5
[4] Cf. Rm 8, 15; Gal 4,6.
[5] Gal 3, 28.
[6] Cirillo di Gerusalemme, Cat. Myst. 4,3; PG 33,1100.
[7] Cf. Rm 8, 19-21.
[8] At 4, 32.
[9] LS 217.
Interessante che cristiani, di diverse confessioni, riflettano sulla cristi ecologica. Occorrerebbe praticare una maggiore politica – politica qui nel senso più ampio possibile di cura della polis – ecologica.