Anzitutto riscattare la parola “misericordia”
1. Liberare una parola da squame che la deturpano. Sul tema della misericordia pesa una storia di equivoci e di incomprensioni, fino a potersi parlare di «misericordia esiliata» dalla nostra cultura, soprattutto perché è invalsa l’idea che ritiene la misericordia un atteggiamento debole, rinunciatario e addirittura superficiale (cf. L. Alici, La misericordia come profezia culturale, in Aa.Vv., Misericordia. Volto di Dio e dell’umanità nuova, Paoline, Milano 1999, pp. 197-198).
Di certo misericordia è parola di non facile trattamento e finanche inquietante, ma essa soprattutto è ricca di una profonda densità misterica, che va fatta emergere sia a livello gnoseologico sia a livello operativo: «Questa parola è ormai svalutata, l’idea è inquinata. Parlare di misericordia richiama subito una sorta di bonarietà, di compiacenza, persino di debolezza, nel miglior dei casi di indulgenza o di compassione, a prezzo però di una mancanza di rigore, di verità e di giustizia. Mentre è proprio l’inverso: la misericordia è molto più temibile della giustizia: è un odio, un odio del male ma in nome della misericordia e dell’amore» (B. Bro, Introduzione all’ediz. francese della lettera enc. di Giovanni Paolo II Dives in misericordia [30. 11.1980], Parigi 1980, p. VI).
L’infinito amore del Dio trinitario non giustifica alcuna concezione facilistica della vita cristiana; al contrario, pretende un supplemento d’anima sempre ulteriore, una misura di fedeltà sempre più alta rispetto alle scelte ispirate all’idea di un Dio non concepito come essenzialmente misericordioso. Purtroppo, una delle parole più importanti del vocabolario biblico – la misericordia – è stata «sospettata di ideologia»: ad esempio, essa è intesa come presunta antitesi alla giustizia in contesto marxista o di rinuncia all’orgoglio di vita in Fr. Nietzsche che la definisce «la più malsana delle virtù» (L’anticristo. Maledizione del cristianesimo, Adelphi, Milano 1977, pp. 8-9).
Per i cristiani la misericordia è il “codice” esigente che trova parziali e insufficienti tutti i nostri comportamenti per solito basati sulle misure minimali di “ciò che è dovuto”. La misericordia non è debolezza, anzitutto in Dio: «Usando misericordia egli non attenua la gravità del peccato né il male che si crea con il rifiuto opposto dall’uomo» (R. Fisichella, Sulla teologia della misericordia, in Aa.Vv., Misericordia. Volto di Dio e dell’umanità nuova, p. 120).
2. La fatica di tornare alla misericordia. È stato san Giovanni XXIII – il papa del Concilio, un vero “genio religioso” – a rimettere in circolo questa parola dimenticata nella Chiesa: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta […] a errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando» (Discorso per la solenne apertura del concilio ecumenico Vaticano II [11.10.1962], n. 2).
Tuttavia, ancora oggi, la parola “misericordia” trova ostacoli nella cultura: essa non entra nelle sue vene e ne subisce anzi un pauroso processo di rigetto. Perciò papa Francesco, al n. 1 della bolla Misericordiae vultus (11.4.2015. Da ora in poi = MV), rileva la dimenticanza della misericordia nella cultura dei nostri giorni e dice i motivi di tale dimenticanza, rievocando quanto aveva già scritto: «La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia» (esort. ap. Evangelii gaudium [24.11.2013], n. 24).
Ma papa Francesco non si arresta alla descrizione negativa dell’accoglienza che il nostro tempo riserba a una delle parole-fonte del cristianesimo. Egli, anzitutto col suo stile linguistico nudo e scabro, richiama di continuo la necessità della misericordia: «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza» (MV 2). Peraltro, senza che si arrivi a dire che i cristiani non sono obbligati all’obbedienza di una legge senza misericordia, resta però il dovere di ritenere che nessuna legge di Dio è aliena dalla misericordia e che nessuna legge dell’uomo è superiore. Tuttavia, va riconosciuto che non è facile riportare dentro gli spazi del nostro mondo e sotto gli archi del nostro tempo la parola “misericordia”: la difficoltà è perfino quella di reinserirla con rigore nei servizi della Parola, nelle pieghe della testimonianza cristiana, nel sentire dell’intera Chiesa e nelle motivazioni e negli atti della missione.
Prima la misericordia, dopo tutto il resto
1. Riconoscere alla misericordia la sua grandezza. Per tornare a coltivare la misericordia nella Chiesa, occorre guardarla con occhi credenti: solo a questo tipo di sguardo essa si lascia indagare e conoscere. Infatti, «non è esagerato affermare – scrive R. Fisichella – che con il concetto di misericordia si raggiunge una delle espressioni più alte della rivelazione cristiana e intorno ad essa confluiscono i temi centrali della fede» (Sulla teologia della misericordia, in Aa.Vv., Misericordia. Volto di Dio e dell’umanità nuova, p. 119). A questo sguardo essa ci appare quello che è, ossia una delle parole che meglio riescono a dire chi sia Dio, che cosa siano il mondo e la storia di salvezza nei quali viviamo, e quale sia, perciò, la prima verità del cristianesimo.
Dovremo incominciare a pensare che misericordia è anche una parola in grado di dire chi sia l’uomo. Questi è un essere di dono ed è attraversato a tal punto dalla gratuità che le sue origini, il suo perdurare nell’esistenza e la sua stessa morte si risolvono per intero nella misteriosa orbita della misericordia. «Nonostante l’odio, l’insinuante e indelebile idea della misericordia divina è latente nel cuore dell’uomo, di cui essa in definitiva è l’unica speranza» (X. Tilliette, La beatitudine della misericordia, in Communio [Sett.-Ott. 1983] 10).
La misericordia è grande, anzi infinita, perché non ammette la sostituzione o la sospensione di alcun altro pensiero cristiano, ma tutti li invera in pienezza. Nel cristianesimo non si dà né un giudizio senza misericordia né una misericordia senza giudizio. La misericordia non sospende neppure il giudizio di Dio, ma gli offre un’interpretazione: è un giudizio di salvezza, dal momento che «il rigore della giustizia divina è sempre subordinato alla sua carità, da cui procede» (s. Tommaso d’Aquino, Sum. Theol., I, q. 21, a. 4).
2. La misericordia è il nome di tutti e di tutto. Con la misericordia non si apre nessuna falla nell’agire di Dio, anzi è il contrario: in essa Dio si esprime in pienezza e impegna il suo onore, che è la sua sorprendente responsabilità. Quasi a dire che la responsabilità è la moralità di Dio, la sua eticità, la fedeltà a se stesso. Si potrebbe dire, col metodo del rovescio, che, se Dio non esercitasse la misericordia, sarebbe da temere proprio perché sarebbe un Dio irresponsabile. Già un uomo irresponsabile è pericoloso, ma un Dio irresponsabile lo sarebbe infinitamente di più.
Tutto questo è ricavabile dalla geniale espressione di papa Francesco: «La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri» (MV 10). Nel cristianesimo non si dà né un giudizio senza misericordia né una misericordia senza giudizio: «Noi avvertiamo che, qualora ci aspettassimo una misericordia senza giudizio, tutto si sfalderebbe, lo sforzo cederebbe il posto al lassismo, al permissivismo, la vita perderebbe la sua gravità, la sua serietà: una simile idea non è degna di Dio. Bisogna mantenere in tutta la sua forza l’antitesi giustizia incorruttibile-perdono infinito» (X. Tilliette, La beatitudine della misericordia, in Communio [Sett.-Ott. 1983], 11).
La misericordia sempre e ad ogni costo
1. Il dovere d’essere misericordiosi. Papa Francesco afferma il dovere della carità reciproca, dell’amore reciproco, della pietà reciproca. Per farlo si appoggia alla parabola del “servo spietato” che chiese e ottenne il condono per un grande debito, ma non lo concesse a un suo subalterno che gli chiedeva il condono per un piccolo prestito: questi fu punito perché non ebbe pietà lui, che aveva ricevuto pietà (cf. Mt 18,33). Parabola profetica di un’altra simmetria: chi è stato perdonato da Dio deve perdonare e chi ha avuto pietà da lui deve averla per gli altri (cf. Mt 18,35) (cf. MV 9). Non è un caso esemplare per altri casi ed episodi. Siamo dinanzi all’iscrizione della misericordia e del perdono nell’ordine del principio nella forma della reciprocità e della simmetria: la misericordia e il perdono ricevuti da Dio chiedono il dovere di dare – in necessario contraccambio – ai fratelli misericordia e perdono.
2. La misericordia, verità di Dio e verità dell’uomo. Misericordia è una delle parole che meglio riescono a dire chi sia Dio, chi sia l’uomo, che cosa siano il mondo e la storia di salvezza nei quali viviamo.
Gli è che tutto è compreso nella misericordia: dall’amore per Dio e i fratelli dipendono la legge e i profeti (cf. Mt 22,40). Afferma papa Francesco che «il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi» (MV 1). Di conseguenza, la misericordia è l’insuperabile legge che sottopone tutto a se stessa. Ora però sul tema della misericordia è cresciuta la duna dell’indifferenza e della dimenticanza: si tratta di un tema «imperdonabilmente trascurato» anche se a questa parola primale, centrale e finale della storia della salvezza, nei nostri ultimi decenni s’eleva un’intensa «invocazione», fino a imporsi come «un tema fondamentale per il XXI secolo» (cf. W. Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 20132, pp. 7-26).
3. Serve il cuore, serve la misericordia. Una constatazione amara che i mezzi di comunicazione sociale testimoniano è che oggi, a tanti livelli, manca il cuore: tanti i sintomi che avvertono di trovarci a vivere in un tempo vistosamente malato di cinismo. Negli orientamenti culturali, nelle scelte politiche, negli stili di vita delle società occidentali (è solo un’esemplificazione) diviene sempre più palese la crisi dei valori e delle fedi moderne, per l’offuscarsi dell’orizzonte di senso: «è la nascita di un cinico mondo senza speranze, senza futuro e sembra portare in sé i germi della sua stessa fine» (G. Penati, Modernità e postmodernità nel pensiero filosofico attuale, in Communio, n. 110, Marzo-Aprile, 1990, 19. Cf. P. Sloterdijk, Critica della ragion cinica, Garzanti, Milano 1992; P. Landi, Il cinismo di massa, Sperling & Kupfer, Milano 1994).
Alta è la chiamata di papa Francesco a non cedere alla tentazione del cinismo, reagendo con scelte di misericordia: «Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto» (MV 15).
Da cristiani si può dire che questa nera plaga di un brano di tempo senza pietà dovrebbe preoccupare ulteriormente perché, se manca il cuore, manca la misericordia. Il cuore è il terreno su cui la pianta della misericordia può e deve nascere, evitando processi di rigetto in ogni modo. Serve il cuore sempre, perciò: serve la misericordia. Il cuore serve per vivere in modo pienamente vero. Che cosa potremo fare di umanamente degno e di cristianamente credibile senza cuore? Potremo forse vivere bene, in pace, in armonia con noi stessi? Che cosa accadrebbe a vivere così? Anzi che cosa, di fatto, accade lo si vede già dagli scenari di odio, di disamore, di mediocrità che si parano continuamente dinanzi ai nostri occhi.