Il supplemento del Quaderno n. 204 di Cristianisme i Justicia (giugno 2017), del noto Centro dei gesuiti di Barcellona, dove è assai attivo il teologo José Ignacio Gonzalez Faus, riporta un articolo di Hans Schelkshorn, presidente dell’Istituto di filosofia cristiana della Facoltà cattolica dell’Università di Vienna.
Difesa dell’Occidente cristiano? L’ideologia della nuova destra in Europa
In numerosi stati i partiti della nuova destra (ND) determinano in maniera crescente l’avvenire politico. I movimenti di Le Pen, il blocco fiammingo, il FPO austriaco e, più recentemente, la AFD tedesca mettono in discussione la democrazia liberale e il progetto di pace dell’Unione Europea.
Questi partiti non sono sorti dal nulla, ma dal vuoto morale che l’ideologia neoliberale ha lasciato dietro di sé negli ultimi trent’anni. In questo periodo si è svuotata la sostanza morale tanto della socialdemocrazia come dei partiti della democrazia cristiana. In sintesi: come il fascismo fu una reazione al liberalismo sfrenato, così la ND è una risposta al neoliberalismo.
A questo si è aggiunto il massiccio arrivo di rifugiati, che fuggono dalla caduta del Vicino e Medio Oriente e dall’instabilità di numerosi stati africani, ciò che ha alimentato ancor più l’ascesa di partiti della ND, alcuni dei quali sono stati i più votati nei loro paesi.
L’ideologia dei movimenti della ND
Tanto l’opinione pubblica come la scienza politica li qualificano con disprezzo come populisti. Una denominazione che, benché bene azzeccata, la considero tuttavia problematica. In effetti, la parola populismo suggerisce una politica ampiamente priva di ideologia, che si adatta alle opinioni mutevoli del popolo. In altre parole, l’ideologia del populismo consiste nel non avere nessuna ideologia stabile. Ora credo che una tale analisi sia una pericolosa minimizzazione di ciò che questi partiti rappresentano.
Molti analizzano il fenomeno alla luce di categorie psicologiche (risentimento nei confronti degli stranieri e dei partiti “consolidati”, paura della decadenza della classe media ecc.) Di tanto in tanto, sono percepiti come correttivi delle strutture bloccate dei partiti consolidati nella democrazia, in maniera che, come movimenti di protesta, non avrebbero ambizioni di governo. Benché non siano analisi false, sottovalutano la visione ideologica che hanno del mondo.
D’accordo con Jan-Werner Muller, percepisco nella ND una determinata ideologia, certamente flessibile, ma che mina pericolosamente i principi e i valori delle democrazie dello stato di diritto, così come si sono costruite in Europa dopo la seconda guerra mondiale.
La concezione fondamentale dell’ideologia della ND è sorta in Francia, nell’ambito del movimento presieduto da Le Pen. È stato soprattutto Alain de Benoist, uno degli ideologi della Nouvelle Droite, incaricato a formularla: una concezione che differenzia strettamente la ND dal vecchio fascismo tra le due guerre che si costruì su due pilastri. In primo luogo, essi erano apertamente anti-democratici. Avevano per scopo di abbattere la democrazia, ricorrendo alla violenza qualora fosse necessario. In secondo luogo, erano basati sul razzismo.
La ND prescinde da questi due principi fondamentali del fascismo e adotta i diritti civili e la democrazia. Rinuncia, quindi, alla presa del potere ricorrendo all’uso della violenza e accetta i risultati delle elezioni democratiche. Inoltre, sostituisce il “vecchio” razzismo con un “etno-pluralismo”, promuovendo il riconoscimento delle diverse etnie e culture, ciascuna nel proprio territorio. Un concetto chiave della ND è la preservazione dell’“unione etnica” di una nazione. Dal 1986, insieme al movimento di Le Pen, il FPO austriaco è diventato uno dei più importanti protagonisti della ND europea. Jorg Haider, il leader, espresse in maniera precisa il nucleo di questo pensiero: «se la politica non si costruisce su principi etnici, all’umanità non le rimane nessun futuro».
Ciò nonostante, tra gli stessi partiti che difendono i principi sopra ricordati, la questione di come si determina la etnia dal punto di vista concettuale è ancora oggetto di controversia. De Benoist, per esempio, rappresenta un punto di vista anticristiano, decisamente “pagano”, della nazione francese. Mentre altri, tra questi il FPO, si sono accostati al cristianesimo, erigendosi a difensori dell’Occidente cristiano nella lotta contro l’islam.
Il pericolo delle imposizioni della ND consiste nel fatto che l’interpretazione etnica di “nazione” o di “popolo” è prioritaria, e viene posta al di sopra dei diritti umani. De Benoist parla appunto dell’«ideologia dei diritti umani», criticandola come secolarizzazione della morale cristiana. L’ideale di fraternità, che insieme a quello di libertà e di uguaglianza, è una delle tre colonne della Rivoluzione francese, deve limitarsi, a suo parere, alla nazione. Per questo i partiti della ND mettono in discussione i diritti umani.
Più ancora, considerano che l’interpretazione etnica di “popolo” o di “nazione” sia il fondamento dello Stato e quindi vada tutelata con mezzi statali. Proprio per questo, il FPO ha messo transitoriamente nel suo programma elettorale un “diritto alla patria”, che dovrebbe aggiungersi alla lista dei diritti umani. Così si apre di colpo uno spiraglio ad una politica autoritaria.
Tuttavia, il “diritto alla patria” non è un diritto umano che si debba imporre allo Stato né che possa essere rivendicato giudizialmente. In una democrazia pluralista, i concetti di “patria” o di “identità nazionale” sono piuttosto oggetto di dibattito pubblico e si basano su determinati diritti umani, soprattutto sul diritto alla libertà di opinione e di riunione. Nel “diritto umano alla patria”, che sembra così inoffensivo, si nasconde una carica esplosiva estremamente pericolosa che, a lungo termine, mina le democrazie dello stato di diritto, trasformandole in sistemi autoritari. Di fatto, Jorg Haider rivendicò l’ instaurazione di una “terza repubblica”.
È chiaro che le democrazie liberali si fondano sul principio universale dei diritti umani, ma anche su un determinato consenso sull’“identità nazionale”. Anche Habermas, che sostiene solo la legittimità di un patriottismo costituzionale, mette in rapporto l’universalità dei diritti umani con tutto il sistema democratico di diritto, tenendo conto di determinate concezioni della conservazione dell’identità nazionale.
Il punto caldo della ND consiste nel diluire in maniera unilaterale, a favore della nazione, la tensione tra diritti umani considerati da un punto di vista universale e concezioni particolari di identità nazionale. Per questo, sono partiti che cercano di controllare i media in nome di una ideologia popolare che debilita la separazione di poteri, specialmente l’indipendenza della giustizia e, soprattutto, la giustizia del tribunale costituzionale, creato in molti paesi dopo la seconda guerra mondiale, come conseguenza del fascismo. Il tribunale costituzionale è un’istituzione di grande importanza per la protezione delle democrazie dello stato di diritto.
Cosicché i partiti della ND non sono populisti per il fatto di adattarsi alle mutevoli opinioni del popolo. Al contrario, sanno da sempre quale deve essere “la volontà del popolo”, e soprattutto chi appartiene al popolo. Zingari, giudei, atei, socialisti e artisti di avanguardia non ne fanno parte, di regola.
Viktor Orbán, protagonista cristiano della ND
Queste ideologie non sono patrimonio esclusivo dei partiti della ND, ma vengono adottate da altri, soprattutto nella democrazia cristiana. Un esempio è proprio il democristiano ungherese Viktor Orbán, che è diventato uno dei dirigenti più potenti. Orbán difende pubblicamente l’idea di uno stato “a-liberale”, che ha tutti gli elementi sopra ricordati. Di più: appoggiato da una maggioranza di due terzi, sulla base di un 53% di votanti, Orbán, con la nuova costituzione, per la prima volta ha costruito in Europa uno stato che si basa su questi principi, realizzando il sogno di Haider di instaurare la “terza repubblica”.
In una intervista a Weltwoche (n. 46, dicembre 2015) Orbán espresse con tutta chiarezza la priorità della nazione sui diritti umani: «La mia impressione personale è che, quando si tratta di questioni spirituali, le élites europee dibattono soltanto temi superficiali e secondari. Belle parole su diritti umani, progresso, pace, apertura, tolleranza. Nel dibattito pubblico non si parla mai di temi fondamentali, cioè, da dove procedono di fatto queste cose così simpatiche. Non parliamo della libertà, non parliamo del cristianesimo, non parliamo della nazione, non parliamo dell’orgoglio. Detto brutalmente: ciò che oggi impera nell’opinione pubblica europea è soltanto un “bla-bla-bla” europeo e liberale su tempi simpatici ma secondari».
Questo spirito è stato trasferito in particolare alla costituzione ungherese. Nel suo preambolo, si presenta l’Ungheria come una nazione cristiana. Chiaro che nei preamboli di molte costituzioni a volte si presenta in maniera idealizzata la storia della nazione. Però, a differenza di altre costituzioni occidentali, il tribunale costituzionale ungherese è obbligato a prendere le sue decisioni alla luce di questo preambolo, cioè, alla luce della concezione dell’Ungheria come nazione cristiana.
Inoltre, la questione attuale dei rifugiati proietta ancor più luce sulla ideologia neo-destrista di Orbán. Le democrazie dello stato di diritto insistono sul fatto che esiste una unità tra i diritti umani e le idee dell’identità nazionale. Per questo, gli stati dell’Unione Europea discutono vivacemente la questione di quanti rifugiati possano essere accolti e dove si mette il limite dell’accoglienza. Nonostante tutte le obbligazioni del diritto dei popoli, vi è un ampio campo per considerare legittimi i pro e i contro.
Le ideologie della ND risolvono, tuttavia, la tensione tra identità azionale e diritti umani unilateralmente ed esigono che si metta fine all’accoglienza di rifugiati. Posto che si debba preservare la purezza etnica della “nazione cristiana”, secondo Orbán, non è accettabile neppure una quota minima di 1.300 rifugiati.
Contro l’autodefinizione di “difensore dell’Occidente cristiano”
I nuovi difensori dell’Occidente cristiano tradiscono per questo i successi dello stato democratico di diritto e il contenuto universalista della morale cristiana. Su questo sfondo, è un paradosso storico che sia papa Francesco, che viene dall’America Latina e nel quale si avverte lo spirito della teologia della liberazione, che debba ricordarci sia i fondamenti delle democrazie europee, basati sui diritti umani, come il contenuto centrale della morale cristiana. Il suo discorso a Lampedusa e il recente appello alle parrocchie e monasteri ad accogliere come minimo una famiglia di rifugiati sono stati colti intuitivamente, da parte di settori dell’Europa secolare, come una testimonianza originariamente cristiana. Al contrario, coloro che, di destra, si definiscono i nuovi difensori dell’Occidente cristiano, insultano pubblicamente il papa e persino lo condannano come traditore.
Le Chiese cristiane si portano ancora dietro la passata eredità delle loro alleanze con i sistemi fascisti del secolo XX. Una rinnovata complicità con le ideologie della ND all’inizio del secolo XXI le precipiterebbe in una nuova crisi di credibilità, le cui ombre oscurerebbero per secoli la vita dei cristiani e delle cristiane di tutta Europa.