Dialettica dello Spirito

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Gli Atti degli Apostoli ci raccontano due situazioni di apostolato di straordinaria attualità. Vorrei soffermarmi su due di queste: Atti 10–11 (l’apostolato di Pietro); Atti 20–21 (l’apostolato di Paolo).

Continuità e discontinuità nella Tradizione. È interessante notare che in Atti 10 Pietro che «la voce dal cielo» (bat qol) chiede a Pietro ciò che il testo di Levitico (Lv 11) proibiva: mangiare carne immonda, compresa la carne di porco; ricordiamo che, nel secondo libro dei Maccabei (capp. 6 e 7), Eleàzaro e sette fratelli preferiscono essere uccisi che mangiare carne di porco.

La voce di Dio (?) chiede a Pietro ciò che è contro la Legge, cioè contro la Tradizione! Come usare i criteri del discernimento in questo caso? Se ciò che viene chiesto di compiere è contro la Legge, vuol dire che quella voce non viene da Dio ma dal diavolo? Pietro si fida dello Spirito di Dio, piuttosto che della lettera della Legge.

Partire dal contesto, ovvero dall’ascolto dell’esperienza, prima di giudicarla. L’esperienza non viene pre-ceduta da una legge (o tradizioni, si è sempre fatto così, è il dogma!) ma da visioni (Cornelio), da estasi (Pietro). Il racconto di quanto è successo è ripetuto per ben tre volte: nella visione di Cornelio, nell’estasi di Pietro e, infine, nel racconto di Pietro a Gerusalemme. Evidenziare l’esperienza: ciò-che-sta-accadendo, non ciò-che-penso di ciò che sta accadendo! Perché ci sia una conversione mentale e intellettuale, è necessario una visione-estasi!

Il primato dell’esperienza è confermato in Atti 10,45: «I fedeli circoncisi si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito». E ci sono dei segni esterni. Se ci sono questi segni, allora c’è lo Spirito! Questo è stato sempre il criterio della fede della Chiesa: dall’evento all’interpretazione di questo evento e alle descrizione delle possibilità di ciò che è avvenuto, e non viceversa (!).

Dialettica dello Spirito. Lo Spirito di Dio a volte sembra dire cose opposte e contraddittorie a seconda dei contesti (cf. At 20,22-25.32; 21,3-4).

Commentando questi testi, il card. Carlo Maria Martini nel 25° anniversario di ordinazione episcopale, al seminario di Venegono, il 10 maggio 2005, parlò di dialettica delle interpretazioni. A volte lo Spirito dice a Paolo qualcosa di opposto a ciò che lo stesso Spirito dice alla comunità di Tiro. «Ci siamo interrogati su come risolvere questo dilemma che è molto istruttivo perché, questa dialettica delle interpretazioni percorre la storia della Chiesa e ci insegna a trovare la complementarietà tra quelle cose che, a prima vista, ci appaiono distanti, o contrarie, o diverse».

Lo Spirito di Dio, dunque, a seconda dei contesti religiosi e culturali, può chiedere cose diverse. Nel caso di Cornelio e Pietro, si tratta di un principio, quello del puro/impuro, che serviva a custodire la Legge, dunque la rivelazione stessa di Dio. Mi viene in mente la seconda proposizione della Professio fidei che afferma: «Fermamente accolgo e ritengo anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo».

L’oggetto che viene insegnato con questa formula comprende tutte quelle dottrine attinenti al campo dogmatico o morale che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede, sebbene non siano state proposte dal magistero della Chiesa come formalmente rivelate. Nel caso di Paolo (andare o non andare a Gerusalemme) si tratta di una decisione concreta che bisogna prendere nello Spirito: Paolo e la comunità di Tiro giudicano nello Spirito non solo diversamente ma in maniera opposta.

Martini e Radcliffe: i sogni dei pastori.

Questi tre aspetti dovrebbero ispirare e “problematizzare” il nostro servizio ecclesiale. Penso sia alla questione di come cogliere la presenza dello Spirito nelle altre Chiese (ecumenismo) e nelle altre religioni; sia alla questione di come accogliere persone emarginate dalla Chiesa (divorziati, omosessuali, coppie di fatto) e cogliere in loro la presenza dello Spirito; sia nella questione del ministero ordinato (cf. diaconato, in particolare) da estendere alle donne.

Nel sinodo dei vescovi del 1999 l’ex maestro generale dei domenicani, l’inglese Timothy Radcliffe, ricordò che la Chiesa – per essere convincente – deve saper «condividere il cammino delle persone, a cominciare dalle donne, dai divorziati, da coloro che hanno abortito, dagli omosessuali».

Anche Martini, sempre al sinodo dei vescovi, il 7 novembre 1999, riaffermò la necessità dell’ordinazione al sacerdozio di uomini sposati; l’ordinazione delle donne al diaconato, almeno; la guida delle comunità senza sacerdote affidata ai laici; la revisione della condanna dei contraccettivi e dell’amore omosessuale; la revisione della scomunica di fatto inflitta ai divorziati risposati; il ripensamento del modo di amministrare il sacramento della penitenza; il come far pace con le Chiese non cattoliche e con le democrazie laiche. Finora la Chiesa di Pietro ha detto «No», come Pietro disse «No, davvero, Signore» alla voce dal cielo.

Seguendo l’esempio di questi pastori (Martini e Radcliffe), possano i pastori della Chiesa di Dio dare spazio alla visione di Dio e all’ascolto dell’esperienza degli altri; almeno – come fa Pietro – a domandarci anche se possiamo essere perplessi che cosa significhi ciò che vediamo attorno a noi.

Padre Paolo Gamberini abita presso la Cappella Universitaria “La Sapienza” – Roma, Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale. La Cappella è affidata alla cura dei padri gesuiti.

 

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Un commento

  1. Enrico Quarneti 3 gennaio 2021

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