Durante i corsi di esercizi contemplativi che da anni propongo nella cappella in cui ci troviamo radunati in silenzio intorno ad un cero acceso, normalmente spengo il faretto che illumina il tabernacolo in cui è riposto il Santissimo. Mi è stato chiesto perché non lasciamo acceso il faretto e spegniamo la candela, dato che lì nel tabernacolo c’è “veramente” la sua presenza e non in quella candela? Mi si voleva far notare che, se Cristo è presente “realmente” (transustanzialmente) nell’ostia consacrata, ogni sua presenza altrove è ambigua, vaga, certamente insignificante rispetto al Santissimo Sacramento.
Dio non smette mai di amarci
Questa domanda tocca un aspetto fondamentale della teologia sui sacramenti e, in generale, su come comprendere la presenza di Dio nel creato. Vorrei tentare di dare alcune indicazioni in merito.
Quando facciamo riferimento all’azione e alla presenza di Dio nella nostra vita, dobbiamo tener presente che Dio è Dio, cioè Dio non muta e non cresce o diminuisce nel suo essere.
Dio è pienezza di essere e di vita. Non solo, ma Dio è anche identità di essere e di azione. Dio è il Vivente che agisce sempre e il suo agire è donarsi sempre e dovunque: qui e ora. Dio non è, quindi, qualcosa prima, per poi agire: creare il mondo, salvare con l’Esodo e l’incarnazione, e poi facendo risorgere Gesù e, alla fine della storia, ritornando al mondo nella seconda venuta.
Il suo essere è pienezza dinamica che dalla creaturalità temporale (passato-presente-futuro) viene dispiegata secondo un prima e un poi. L’essere di Dio è dunque perfezione assoluta: è tutto presente. È generosità assoluta e incondizionata.
Ne segue che Dio non ci ama, se siamo buoni o bravi. Non smette di amarci, se compiamo peccati. Dio è assoluta misericordia che non cambia mai. Siamo noi che cambiamo nei suoi confronti, per cui, se ci allontaniamo da lui o ci chiudiamo a lui, il suo amore non si fa più sentire come presente e gli impediamo di agire in noi. In questi casi, con linguaggio figurativo, diciamo che Dio si è offeso e adirato con me, e non mi vuol più bene. Ma questo è un mio modo di dire, ma per Dio le cose non stanno così. Dio non ha mai cessato di amarmi e mai cesserà.
Se chiudo la finestra (= ciò che io sono), la Luce (= Dio) non entra più a illuminarmi e a riscaldarmi. Ma non vuol dire che la Luce è “scomparsa” o “assente”. Sono io che mi sono reso “assente” a Dio.
Se comprendiamo così la presenza di Dio, allora significa che Dio è presente sempre e dovunque nel creato. A seconda del grado di perfezione delle creature e della loro disponibilità a ricevere la grazia, queste ricevono nel loro essere più o meno la grazia di Dio.
Le creature sono come dei bicchieri, differenti tra loro: alcuni più grandi e alcuni più piccoli. La quantità d’acqua che viene versata è la stessa (100%) per tutti i bicchieri, ma diversamente viene accolta nei bicchieri. Chi l’accoglie al 20%, 40%, 70% e anche al 100%. Gesù è colui che ha accolto lo Spirito (la divinità di Dio) al 100%. Per questo diciamo che Dio è veramente «uomo» e veramente «Dio».
Figli di Dio
Noi crediamo che in Gesù di Nazareth si è realizzata così nella sua umanità la figliolanza divina che, in quanto tale, è data a ciascuno di noi, poiché Dio si dà tutto a tutti. Ciò significa che siamo figli di Dio così come lo è Gesù. Noi siamo “divini” così come lo è Gesù. Diversamente, però, la nostra umanità accoglie e recepisce la divinità.
La distinzione tra figlio «di natura» (che sarebbe Gesù Cristo: consustanziale con Dio Padre) e figli «di adozione» (che saremmo noi uomini: consustanziali a Gesù uomo) dev’essere intesa come la distinzione tra Colui che è il primo della serie (prototòkos – monoghenés) e in tal senso “unico” (tradotto erroneamente: unigenito) e gli altri dopo di lui (noi uomini e poi tutto il creato).
Ricordiamo che, per la cultura greco-romana, l’istituto dell’adozione metteva a disposizione dell’adottato tutta l’eredità e quindi era considerato allo stesso livello dei figli di sangue, anzi al figlio adottivo veniva data l’eredità e non agli altri. Possiamo quindi dire che tutti (Gesù e noi) siamo “veramente” figli di Dio.
Queste riflessioni sulla Presenza di Dio e la figliolanza divina ci possono aiutare a comprendere come intendere la presenza di Cristo nei sacramenti.
I sacramenti e la grazia
Qual è la differenza tra il nostro inginocchiarci davanti al Santissimo Sacramento e il sedersi in meditazione alla Presenza davanti ad un cero acceso? Dal punto di vista della realtà di Dio e della sua grazia, non c’è alcuna differenza! Dio si dà lì e là nello “stesso” modo e nella stessa intensità.
La dottrina della transustanziazione vuole affermare che la Presenza di Cristo ci pre-viene ed è in-condizionata (ex opere operato). «Cristo stesso, vivente e glorioso, è presente in maniera vera, reale e sostanziale, il suo Corpo e Sangue con la sua anima e divinità» (CCC 1413). Non sono le specie eucaristiche che lo “fanno” presente. Cristo non si dà a pezzi o gradualmente. Non dipende da noi che sia più o meno presente, o assente. Cristo è semper e totaliter presente, qui e ora, con o senza sacramento, fosse anche il Santissimo Sacramento.
La differenza sta nella modalità con cui la creatura recepisce questa Presenza. I sacramenti celebrano la “recezione” della grazia di Dio nella fede. I sette sacramenti vogliono pertanto celebrare “ecclesialmente” le tappe e i momenti nella vita di una persona in cui la grazia di Dio si fa carne.
All’inizio del cammino di fede viene celebrato il battesimo; alla fine della vita o nei momenti di dolore e di sofferenza viene celebrata l’unzione degli infermi; nell’assumersi la propria responsabilità di fede, viene celebrata la cresima; nello stato di vita da intraprendere (come vivere la mia vocazione nella comunità cristiana) viene celebrato il matrimonio o l’ordinazione presbiterale; nell’esperienza dell’allontanamento da Dio e dai fratelli viene celebrato il sacramento della riconciliazione; nel donarmi tutto a Dio e ai fratelli così come Gesù Cristo ha fatto nella sua vita, viene celebrata l’eucaristia.
L’eucaristia ci divinizza
Noi crediamo che l’eucaristia è la fonte e l’apice della vita cristiana nel senso che nella vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo, Dio ha dato totalmente se stesso. Non nel senso che prima Dio si era dato solo in parte ed ora si dà tutto.
L’eucaristia è fonte della vita cristiana nel senso che fa memoria sacramentalmente del dono che Gesù fa di sé, accogliendo fino alla fine il donarsi di Dio: «Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo». L’eucaristia è l’apice della vita cristiana non nel senso che nell’ostia Gesù Cristo è più presente che altrove, ma nel senso che cibandosi del corpo del Signore il cristiano diventa sempre più quello che Gesù ha compiuto. «Fate questo (= dare la vita per i fratelli) in memoria di me».
L’eucaristia è l’apice della vita cristiana, poiché noi crediamo che questo sacramento celebra il compimento e il senso della vita cristiana che è quello di dare la vita, cioè amare fino a dare la vita per i fratelli, perfino il nemico. E poiché la natura di Dio, la sua essenza è “spirito”, cioè “donazione-di-sé”, proprio perché l’eucaristia ci rende capaci di dare la vita e quindi di amare, questo sacramento ci fa essere come Dio, ci assimila alla sua natura divina, cioè ci divinizza: potremmo dire che l’eucaristia ci trasforma nel Corpo di Cristo, realizzando la transustanziazione del nostro essere.