Ogni tanto, a tempi memorizzati, scatta nel dibattito italiano, la polemica sul tema del fascismo e del suo correlativo antifascismo. L’ultima occasione è stata offerta dalle gesta compiute a Roma da alcuni gruppuscoli neofascisti ai danni degli spettatori di un cinema rionale che indossavano (colpa assai grave) le magliette d’ordinanza che, nel pensiero comune, significavano un’impronta di sinistra. Tanto poco – al di là dell’intrinseca gravità dei gesti violenti – è bastato per sciogliere le lingue meno costumate del panorama politico nazionale in una competizione che ha ricalcato molti dei luoghi comuni di un confronto che si ripete da quando il regno di Mussolini è tramontato e, con esso, una retorica del potere che però non è del tutto scomparsa dallo stile di chi comanda in Italia.
Retorica frontista
Così è toccato all’esponente polemico di turno, Matteo Salvini, di esibirsi in una definizione semplificatrice del conflitto storico tra fascismo e antifascismo, ridotto a scontro tra comunismo e anticomunismo, aprendo così la strada ad una retorica frontista che è tutto l’opposto dello sviluppo storico italiano. Una simile lettura degli eventi è infatti propria di coloro che, già all’indomani della disfatta del nazifascismo, ritennero di realizzare uno schieramento che, in nome dell’anticomunismo, accorpasse tutte le forze disposte ad alzare il vecchio vessillo con lo slogan «o Roma o Mosca» sotto il quale raccogliere quanti fossero disposti a lottare per eliminare definitivamente una prospettiva comunista dall’orizzonte politico del paese.
Il ruolo della Dc
L’andamento delle cose, per quanto non privo di ambiguità e contraddizioni, è stato assai diverso. La stessa Democrazia Cristiana, che pure nel 1948 assorbì una parte notevole dei ceti e strati sociali che avevano costituito la base del consenso al fascismo, non si fece mai attrarre stabilmente da una simile prospettiva.
Chi legge attentamente la storia della Dc e ne scruta i tratti del suo dibattito interno non può non convenire su un punto; e cioè che, attraverso la conquista della maggioranza relativa, il partito di De Gasperi esercitò sul sistema politico italiano una vera e propria egemonia democratica nella quale lo sbarramento verso il collettivismo comunista, che a sua volta cercava il consenso dei moderati anche nelle zone di maggior penetrazione del Pci (si legga il saggio di Togliatti su «Ceto medio ed Emilia Rossa»; P. Togliatti, Opere scelte, a cura di G. Santomassimo, Roma, Editori Riuniti, 1981, pp. 456-484), era bilanciato da una non meno tenace ostruzione verso le manovre di affermazione di una dinamica frontista che raccogliesse, con le forze moderate di cui sopra, anche il grosso delle componenti vetero e neo fasciste.
Il paese rimescolato
È così che, nel corso degli anni, avviene quello che l’ultimo Moro chiamerà «il rimescolamento del paese»: non la confezione di una poltiglia qualunque (o qualunquista) ma il configurarsi di una realtà egemonizzata dalla Dc come «partito democratico, popolare, antifascista» (Moro 1959), definizione valida anche con la correzione di Fanfani che vi inseriva anche l’aggettivo «anticomunista»: dove il senso della sintesi rimane in ogni caso “democratica”.
La riprova del significato di tale processo storico è data poi, più che dalle definizioni, dai gesti compiuti in nome di esse: il rifiuto di dar seguito alla richiesta americana di mettere fuori legge il Pci (e all’opposto la messa fuorilegge dei tentativi di ricostituzione del partito fascista); il rifiuto di una coalizione di governo di cui fossero parte i neofascisti ancorché addomesticati (Tambroni 1959); il disinnesco del tentativo di supremazia militare al decollo del centrosinistra (1964): tutti passaggi nei quali si fa valere, per quanto frammista ad una quantità di scorie disomogenee, una vitalità democratica della Dc che i polemisti antichi o sopraggiunti mostrano di non avere.
Una torsione pluralistica
Il compimento mancato della strategia morotea, causato dall’intervento violento del terrorismo brigatista, non è, secondo questa lettura, il segno di una disfatta ma esattamente l’opposto se si considera che, alla base della convergenza delle due grandi forze popolari che davano vita al «compromesso storico», c’era anche un’evoluzione del Pci nel segno della conquista di una qualità democratica che non era nelle carte di fondazione del partito della classe operaia, a sua volta protagonista di una torsione pluralistica fatta valere, da Berlinguer, anche verso lo schema monolitico della matrice marx-leninista propria dell’esperienza sovietica.
Proprio alla luce di un’evolutiva della politica italiana, come quella qui proposta, sfumano e si dissolvono le interpretazioni di nuovo conio che rintracciano il fascismo nelle gesta romane di Casa Pound e l’antifascismo più accettabile nella nostalgia di un generale dalla scorza dura come De Gaulle che rese… democratico l’anticomunismo francese o di una Corte Suprema tedesca che, da subito, mise fuori orbita il partito comunista germanico.
Il gradimento dei moderati
Dove i due soggetti indicati – De Gaulle e la Corte suprema – sono evocati come agenti di produzione di un comunismo accettabile dai democratici e quindi dai moderati. Tutto in nome di una storia presentata come l’unica autentica e che invece è semplicemente l’effigie di ciò che è più gradito ai chi piega l’indagine storica alla ricerca degli indici di gradimento. Con buona pace degli storici di queste e altre specie, quella italiana è assai più lunga e complessa e merita diversi indagatori e criteri d’indagine.
Con una chiosa finale che va sottolineata. I critici antichi e quelli nuovi hanno un punto in comune; tutti depistano la ricerca quando si imbattono nella Costituzione. I primi perché continuano a venerare le dottrine e le ideologie che precedettero la carta del 1948, gli altri perché ne considerano comunque superato il bagaglio culturale che l’accompagna. Viceversa, a tutti gioverebbe un tornare più attento sulla Costituzione come carta fondante e asse portante del sistema politico italiano, così come a tutti, soprattutto ai giovani, farebbe bene uno studio approfondito del fascismo con un confronto analitico tra i diritti e doveri del cittadino in regime costituzionale e in regime totalitario fascista. Posso assicurare che l’esercizio, compiuto nelle scuole, è interessante per chi vuole imparare non meno che per chi insegna.