Il 15 maggio, al «Centro per la dottrina sociale della Chiesa» dell’Università Cattolica di Milano, mons. Mariano Crociata ha parlato del magistero del papa in ordine all’Europa. Accanto a lui ha preso parola anche il segretario generale della Commissione episcopale della Comunità europea (COMECE), fr. Olivier Poquillon. Pubblichiamo di seguito l’intervento del vescovo di Latina e vicepresidente della COMECE.
Risale agli anni novanta del secolo scorso e ai primi dell’attuale, il dibattito sull’inserimento della menzione delle radici cristiane nella costituzione europea. Il riferimento, polemico o di mero rammarico, al mancato inserimento è continuato negli anni successivi fino ad oggi, anche se sempre più fiaccamente.
Papa Francesco ha pure accennato al tema, ma i suoi interventi sono connotati da una tonalità nuova rispetto anche solo a pochi anni fa. Sono mutati, al di là della breve distanza temporale, il contesto epocale e, in parte, la sensibilità dei protagonisti di quel dibattito.
Oggi vediamo più chiaramente l’intento ideologico che stava dietro il rifiuto di riconoscere un dato storico, peraltro inoppugnabile; ma vediamo pure come l’insistenza sulle radici finisca con il fare emergere, in qualche misura, la perdita di un’evidenza, cioè del legame vitale con quelle radici, un legame che non può certo venire ricostituito con una mera operazione di nominazione.[1] Proprio la richiesta di menzionarle fa rimarcare la distanza che si è prodotta nel frattempo e il drastico deperimento del rapporto con quelle radici. Il mutato contesto porta piuttosto a guardare al rapporto con esse come a un compito o a una sfida per chi di esse continua a nutrirsi e ad attingere linfa. Per i credenti le radici non appartengono al passato, ma sono dimensione costitutiva della vitalità del presente.
Più linfa dalle radici
Questo tipo di approccio riassume bene l’orientamento che papa Francesco ha dato all’atteggiamento della Chiesa cattolica a questo proposito e in generale alla questione europea. Se egli rivolge una parola all’Europa, non lo fa ponendo la Chiesa sopra o fuori dell’agone sociale e culturale, poiché il suo parlare ad essa è sempre simultaneamente un parlare della Chiesa e alla Chiesa. Dobbiamo anzi aggiungere che, come per altre questioni, egli non si pone di fronte all’Europa come chi abbia qualcosa da difendere o da rivendicare per la propria parte. L’interesse che muove il suo parlare all’Europa è il bene della stessa Europa.
E se un ritorno si attende per la Chiesa, esso consiste nella possibilità che essa ha in questa maniera di adempiere alla sua missione di testimonianza e di annuncio di Cristo,[2] nella consapevolezza che le convinzioni e i valori che stanno alla base dell’Unione sono in larga misura i medesimi che scaturiscono dal cuore della fede cristiana.[3]
Ciò appare già dal modo come il papa parla dell’identità europea – il primo di quattro filoni di riflessione lungo i quali può essere condensato l’insegnamento del pontefice e che sono, dopo il primo: il momento che l’Europa sta vivendo, le prospettive future, il compito dei cristiani.
Europa, quale identità
Il papa definisce l’identità europea in termini relazionali e multiculturali. Fa notare l’ampiezza dell’anima europea – «un patrimonio spirituale unico al mondo» –,[4] nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure.[5] Un volto indefinibile senza l’altro: «Dinanzi all’altro, ciascuno scopre i suoi pregi e difetti; i suoi punti di forza e le sue debolezze: in altre parole scopre il suo volto, comprende la sua identità».[6]
Per il papa, che le attribuisce un’«anima buona»,[7] la ricchezza dell’Europa è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell’esistenza. All’apertura verso il senso dell’eterno è corrisposta anche un’apertura positiva, anche se non priva di tensioni e di errori, verso il mondo.[8] Di qui la fondamentale «fiducia nell’uomo».[9]
Noi figli di quel sogno – dice, utilizzando sempre la categoria di anima – siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari. Tuttavia, sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengano all’anima dell’Europa.[10] «La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti – questi sì – appartengono all’anima dell’Europa».[11]
Infine, non rinuncia a indicare in uno sguardo d’insieme quali sono i «pilastri [sui quali i padri fondatori hanno edificato la comunità europea] […]: la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro».[12]
Il momento che l’Europa attraversa
Di fronte a un’identità così intesa, la lettura del momento presente si caratterizza per una realistica valutazione degli aspetti problematici. Inevitabile constatare che, «accanto al processo di allargamento dell’Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini» e che la forza attrattiva che promanava dai grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembra aver perso vigore a causa dei «tecnicismi burocratici delle sue istituzioni»,[13] da cui quegli ideali sono stati spesso soppiantati, determinando uno «scollamento affettivo» fra i cittadini e le Istituzioni europee. [14]
I Padri fondatori – dice il papa – ci ricordano che l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicare.[15]
Ma le difficoltà più grandi provengono da una crisi che ferisce non meno delle prove del passato e rende il nostro un tempo dominato dalla paura e dallo smarrimento, attraversato dalla malattia della solitudine, «propria di chi è privo di legami»;[16] tutto ciò invoca «una nuova ermeneutica per il futuro […] un tempo di discernimento»,[17] che rileva l’assenza di ricerca della verità, senza la quale però ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada all’affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l’idea di diritto individualista.[18]
Senza amore alla verità «non possono esistere rapporti umani autentici», e senza ricerca della giustizia, «la sopraffazione è la norma imperante di qualunque comunità».[19] La perdita della verità dell’uomo oscura poi anche il «concetto di libertà, interpretandolo quasi fosse il dovere di essere soli, sciolti da qualunque legame, e di conseguenza si è costruita una società sradicata priva di senso di appartenenza e di eredità».[20]
Uno dei drammi nei quali ci dibattiamo è la sostituzione della persona con le cose: abbiamo di fatto troppe cose, «ma non siamo più in grado di costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto reciproco».[21] «L’essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo».[22] Così il benessere raggiunto sembra aver tarpato le ali e fatto abbassare lo sguardo, generando un vuoto di valori, «fertile terreno di ogni forma di estremismo»,[23] risultato di una «globalizzazione senz’anima, […] più attenta al profitto che alle persone».[24]
Di questo soffrono in modo particolare i giovani, anche in ragione del «conflitto generazionale senza precedenti» che è esploso fin dagli anni sessanta, così che tanti si ritrovano «smarriti davanti all’assenza di radici e di prospettive».[25] «Al rigetto di ciò che giungeva dai padri, è seguito così il tempo di una drammatica sterilità. […] L’Europa vive una sorta di deficit di memoria».[26]
Dare un futuro all’Europa
Così, la distanza fra cittadini e istituzioni, la deriva individualista e la mercificazione a cui è esposta la persona, di cui risentono particolarmente i giovani, segnano un tornante storico faticoso, da cui uscire attraverso il recupero della «coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana»,[27] portatrice di una dignità trascendente e di diritti inalienabili, come pure di doveri essenziali e complementari. «Il cuore pulsante del progetto politico europeo non poteva che essere l’uomo»,[28] considerato come «un essere relazionale», al punto che la comunità sociale è il primo bene comune, «quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in una comunità sociale».[29] «Oggi l’Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto “comunità” di persone e di popoli».[30] In tale orizzonte deve trovare spazio una riflessione etica sui diritti umani, per una tutela della vita umana attenta alla verità di tutto l’essere umano.[31]
Un nuovo umanesimo nascerà sulla base di «tre capacità: la capacità di integrare,[32] la capacità di dialogare e la capacità di generare».[33]
Vediamo quanto la questione migratoria sia oggi fonte di tensioni e discussioni in tutto il continente. Essa «pone una domanda più profonda, che è anzitutto culturale. Quale cultura propone l’Europa oggi?».[34] L’integrazione di cui c’è bisogno deve trovare «nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia».[35] Essa può generare opportunità, perché è «il primo elemento della vitalità europea».[36]
Integrazione e solidarietà presuppongono una cultura del dialogo, che «implica un autentico apprendistato, un’ascesi».[37] Essa è «“forma di incontro” a tutti i livelli».[38] Colui che viene da un’altra cultura è «un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato»,[39] con cui intavolare un dialogo inter-culturale.[40]
Esso si intreccia con un dialogo inter-generazionale.[41] Dice il papa: «armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione».[42]
In uno spirito e in un clima di dialogo, si può costruire pace, cioè «riconoscere nell’altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere», in un incessante «cammino di umanizzazione».[43] «Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto educare ad essa»,[44] un compito comune, che richiede l’attiva partecipazione allo stesso tempo dei genitori, della scuola e delle università, delle istituzioni religiose e della società civile. «Senza educazione, non si genera cultura e s’inaridisce il tessuto vitale della comunità».[45] A questo scopo bisogna creare quelle che il papa chiama «“coalizioni” – ma potremmo anche dire alleanze, patti – non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose».[46]
Infine, l’invito decisivo per ciascuno a portare il proprio contributo libero e consapevole,[47] fondati su «una vera prospettiva ideale [senza la quale] si finisce per essere dominati dal timore».[48] «Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia»,[49] nella «consapevolezza di essere parte di un’opera comune».[50] Nessuno deve rimanere passivo «spettatore né mero osservatore. Tutti […] son parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione»,[51] e abbiamo viva coscienza dell’«importanza dell’apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell’umanità».[52] In sintesi, «l’Europa ritrova speranza» nella solidarietà, quando non si chiude nella paura di false sicurezze, se investe nello sviluppo e nella pace, quando si apre al futuro.[53]
Il compito dei cristiani
Solidarietà, integrazione, dialogo, convinto impegno personale, responsabilità per il mondo, sono anche le caratteristiche del compito dei cristiani in Europa.[54] Richiamando san Benedetto, il papa dice che non ci sono ruoli, ci sono persone: non ci sono aggettivi, ci sono sostantivi. È proprio questo uno dei valori fondamentali che il cristianesimo ha portato: il senso della persona, costituita a immagine di Dio.[55]
In tale logica si colloca l’apporto che il cristianesimo può offrire «allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società».[56]
Nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L’intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione “ridotta”, che non rende onore all’uomo.[57]
Il contributo cristiano al futuro del continente chiede di «interrogarsi sul nostro compito come cristiani oggi, in queste terre così riccamente plasmate nel corso dei secoli dalla fede»;[58] ma chiede anche di riconoscere il ruolo pubblico della religione, con i cristiani attivi anche nell’ambito politico, favorendo il dialogo politico e ridando dignità alla politica. A questo scopo è necessaria un’adeguata formazione, e lo sforzo di un’espressione alta di abnegazione e dedizione personale a vantaggio della comunità, perché essere leader esige studio, preparazione ed esperienza.[59] In questo i cristiani sono «chiamati a ridare anima all’Europa, a ridestarne la coscienza».[60]
Concludo. A me pare che in questo modo il papa ci offre un percorso che ha al suo centro la persona, inserita in un tessuto comunitario in grado di rendere più umana la convivenza, di aprire agli altri, di dare speranza alle nuove generazioni. Per i credenti, in particolare, la fede ha la capacità di animare un rilancio del progetto europeo, perciò su di essi incombe una responsabilità tanto più grande; ma a tutti è chiesto di prendere coscienza del compito storico che questo tempo affida e di onorarlo con sincera dedizione. Nessuno deve considerare irrisorio o irrilevante il proprio impegno, se vogliamo che l’Europa abbia futuro.
+ Mariano Crociata,
Vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno,
vicepresidente della COMECE
[1] Cf. O. Roy, L’Europe est-elle chrétienne?, Seuil, Parigi 2019, 127-155.
[2] Romano Guardini scriveva già negli anni ’30, anche se pubblicato poi nel 1946, che «l’Europa diverrà cristiana o non esisterà mai più»; e aggiungeva: «Se quindi l’Europa deve esistere ancora in avvenire, se il mondo deve ancora aver bisogno dell’Europa, essa dovrà rimanere quella entità storica determinata dalla figura di Cristo» (R. Guardini, Europa. Compito e destino, Morcelliana, Brescia 2004, 59 e 61).
[3] In proposito, il papa non manca di citare un passaggio esemplare di Giovanni Paolo II: «E ancor oggi, l’anima dell’Europa rimane unita, perché, oltre alle sue origini comuni, vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito di iniziativa, dell’amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono note che la caratterizzano» (Francesco, Discorso ai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, 24 marzo 2017). Cf. A. Riccardi, L’utopia europea di Francesco, in Papa Francesco, Sognare l’Europa. Saggi di Lucio Caracciolo e Andrea Riccardi, EDB, Bologna 2017, 82-100.
[4] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[5] Francesco, Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016. «Il motto dell’Unione Europea è Unità nella diversità» (Francesco, Discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014). «L’Unione Europea nasce come unità delle differenze e unità nelle differenze» (Discorso ai Capi di Stato e di Governo).
[6] Francesco, Discorso ai partecipanti alla Conferenza “(Re)thinking Europe”, 28 ottobre 2017. Cf. D. Antiseri, L’Europa di papa Francesco. I cristiani nell’Europa di oggi, LEV, Città del Vaticano 2019, 7-23.
[7] Discorso al Parlamento europeo.
[8] Discorso ai Capi di Stato e di Governo. Il papa parla di quello europeo come di «un patrimonio spirituale unico al mondo» (ib.).
[9] Discorso al Parlamento europeo.
[10] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[11] Ib.
[12] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[13] Discorso al Parlamento europeo.
[14] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[15] Ib.
[16] Discorso al Parlamento europeo.
[17] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[18] Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014. «Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza […] luogo di una libertà responsabile» (ib.).
[19] Discorso alla Conferenza “(Re)thinking Europe”.
[20] Ib.
[21] Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014.
[22] Discorso al Parlamento europeo.
[23] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[24] Discorso alla Conferenza “(Re)thinking Europe”. Anticipatrice un’affermazione, riportata dal papa, di Konrad Adenauer, il quale nel 1952 diceva: «Il futuro dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto dal pericolo della massificazione, dell’uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione del proprio io» (Discorso per il Premio Carlo Magno).
[25] Discorso alla Conferenza “(Re)thinking Europe”.
[26] Ib.
[27] Discorso al Parlamento europeo.
[28] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[29] Discorso al Parlamento europeo.
[30] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[31] Cf. Discorso al Consiglio d’Europa.
[32] «La lezione di Francesco consiste invece nella tesi che questa parte di mondo ritroverà il suo impulso generatore solo aprendosi al resto del mondo. Anzitutto al contiguo mondo mediterraneo. […] In una frase: integrare o perire. Dove l’integrazione si apre necessariamente, ma prudentemente, a chi non è nato europeo ma vorrebbe diventarlo» (L. Caracciolo, Lo sguardo di Magellano, in Papa Francesco, Sognare l’Europa, cit., 79).
[33] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[34] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[35] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[36] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[37] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[38] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[39] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[40] Discorso al Consiglio d’Europa.
[41] Ib.
[42] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[43] Discorso al Consiglio d’Europa.
[44] Ib.
[45] Discorso alla Conferenza “(Re)thinking Europe”.
[46] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[47] Cf. Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[48] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[49] Discorso al Parlamento europeo.
[50] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[51] Discorso per il Premio Carlo Magno.
[52] Discorso al Parlamento europeo.
[53] Discorso ai Capi di Stato e di Governo.
[54] «Il loro denominatore comune [dei fondatori] era lo spirito di servizio, unito alla passione politica, e alla consapevolezza che “all’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo” [A. De Gasperi], senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili» (Discorso ai Capi di Stato e di Governo).
[55] Discorso alla Conferenza “(Re)thinking Europe”.
[56] Discorso al Consiglio d’Europa.
[57] Ib. «Persona e comunità sono dunque le fondamenta dell’Europa che come cristiani vogliamo e possiamo contribuire a costruire. I mattoni di tale edificio si chiamano: dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace» (Discorso alla Conferenza “(Re)thinking Europe”.).
[58] Ib.
[59] Cf. ib.
[60] Ib.