Il problema delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato è tanto vecchio quanto lo Stato greco. Il più delle volte si presenta legato all’interesse, da parte dello Stato, di entrare in possesso delle «proprietà della Chiesa». Sin dal 2 agosto 1829, con l’11a delibera della 4a Assemblea Nazionale, si decideva che lo Stato Greco, che in quel tempo nasceva, avrebbe incamerato «le proprietà della Chiesa». In cambio, lo Stato, dagli introiti di tali proprietà, avrebbe versato del denaro «per migliorare le condizioni dei sacerdoti e l’istruzione della gioventù».
Attualmente tali relazioni vengono definite da parte della Chiesa di “synallilia”, ossia di reciproco rispetto e aiuto. L’attuale governo ha manifestato recentemente l’intenzione di procedere alla delimitazione dei “ruoli” ben definiti” della Chiesa e dello Stato, affinché non ci siano ingerenze dall’una o dall’altra parte. In queste ultime settimane, in occasione della prossima revisione della Carta costituzionale greca, si parla di «neutralità religiosa dello Stato». Tale prospettiva ha irritato la Chiesa che ha reagito con veemenza.
Breve cronistoria
Il 23 luglio 1833, con Decreto Reale e senza previo accordo con il Patriarcato Ecumenico, veniva proclamata l’“indipendenza” della Chiesa Ortodossa in Grecia, dichiarando che, da allora, avrebbe conservato solo un’unità dogmatica ma non amministrativa con il Patriarcato Ecumenico. La Chiesa, dal punto di vista amministrativo, ha come presidente il re (in quel momento era Otto di Baviera, cattolico, e la reggenza era composta da un triumvirato sempre di bavaresi ma protestanti), mentre spiritualmente è retta da un organo collegiale di vescovi (il Santo Sinodo del Regno di Grecia). Nelle sue sessioni era obbligatoria la presenza del Commissario o Fiduciario Reale, che era laico.
La situazione che si era formata, e che era di fatto scismatica, è stata risolta nel 1850 quando il Patriarcato Ecumenico ha concesso l’autocefalia alla Chiesa di Grecia. La presenza obbligatoria del rappresentate governativo è stata abolita con l’approvazione della Carta costituzionale della Grecia del 1977.
La convivenza fra Stato e Chiesa ha alternato burrasche e bonacce. Una seria burrasca scoppia nell’ottobre-novembre 1901, quando il giornale quotidiano dei Atene “Acropoli” pubblica a puntate la traduzione della sacra Bibbia, precisamente dei Vangeli, in greco popolare. Alcuni professori dell’Università di Atene, sostenitori della “Katharevusa” (cioè, di un greco pulito e quasi arcaizzante), fomentano alcune mobilitazioni contro la doppiamente sacrilega iniziativa del giornale: alterare la lingua originale quasi sacra, e farlo in greco popolare. Ci furono grandi dimostrazioni, che raggiunsero l’apice il 7 novembre 1901, quando la Gendarmeria sparò sulla folla che aveva cercato di marciare contro la sede dell’arcivescovado di Atene. Ci furono morti e molti feriti.
Il giornale si scusò pubblicamente, mentre l’arcivescovo di Atene, Prokopios, come pure il governo, furono costretti a dimettersi. Il parlamento si è visto costretto alla revisione della Costituzione che era in corso nel parlamento aggiungendo alla Costituzione del 1911 una disposizione che vietava la traduzione della sacra Bibbia senza il permesso della Grande Chiesa di Cristo di Costantinopoli. Più tardi, nella Costituzione del 1927 è stata aggiunta anche la necessità della richiesta di permesso e di previa approvazione da parte della Chiesa autocefala di Grecia.
Dal 1922-1932 ci furono diverse espropriazioni dei terreni appartenenti alla Chiesa. E si promise un contributo dello Stato per lo stipendio del clero, quale risarcimento dello Stato in cambio delle grandi concessioni terriere che erano state fatte dalla Chiesa allo Stato durante il decennio.
Questo contributo cominciò ad essere versato sul libro paga del clero dal 1° ottobre 1945. Il 18 settembre 1952 lo Stato procede ancora ad un esproprio di terre, dichiarando che questo sarebbe stato l’ultimo e che non ce ne sarebbe stato nessun altro in futuro. Si impegnava, inoltre, a fornire alla Chiesa ogni sostegno necessario (fisico e tecnico), perché essa valorizzasse la restante proprietà.
Nel frattempo, lo stipendio dei chierici era ricavato, in parte, dagli introiti della Chiesa che tassava le metropolie e le parrocchie con una percentuale sulle rispettive entrate.
Dal 24 luglio 1968 lo Stato si impegna a integrare lo stipendio in misura tale da arrivare alla pari con gli impiegati statali.
Il 28 gennaio 2004 il contributo della Chiesa per lo stipendio dei chierici viene eliminato e si stabilisce che il “libro paga” del clero sarebbe stato a carico dello Stato. Chiariamo che il “libro paga” del clero copre solo i sacerdoti e non i monaci e le monache. In senso lato, i chierici secolari greci sono “pubblici dipendenti”. Questo regime vige sino ad oggi.
I chierici stipendiati dallo Stato sono 9.500, pagati dal bilancio pubblico. Questo stipendio ammonta a 161 milioni di euro in base al bilancio del 2005. I sacerdoti sono normalmente tassati come tutti i dipendenti. Lo stipendio dei sacerdoti in pensione raggiunge 57,4 milioni di euro, mentre lo stipendio di circa 100 vescovi e di un piccolo numero di predicatori è stimato in 4,3 milioni di euro.
L’arcivescovo riceve 2.600 euro. I metropoliti e i titolari metropoliti 2.210 euro. I vescovi titolari e i vescovi ausiliari 1.820 euro. Ricevono 75 euro in più quelli che sono in possesso di dottorato e 40-45 euro in più quelli che hanno un diploma post-laurea. I chierici con formazione universitaria, di prima nomina, ricevono 678 euro, quelli con 10 anni di servizio 1.032 euro, e 1.410 euro quelli con 30 anni di servizio. Un sacerdote di prima nomina, proveniente dall’istruzione secondaria, riceve 644 euro e 1.099 euro quelli che hanno raggiunto 30 anni di servizio.
Attualmente lo status del clero, sia come stipendio sia come numero di impiegati, è regolamentato dalle clausole dei “memorandum” stipulati dallo Stato greco e dai creditori internazionali che controllavano (o controllano, dipende dalla parte dove uno si trova) l’economia greca.
Adesso il governo sostiene che è finita quest’epoca, però, di fatto, l’economia greca rimarrà sotto controllo per diversi decenni ancora da parte dei creditori internazionali. Infatti, i chierici, essendo considerati impiegati pubblici, sottostanno alla norma secondo la quale, ogni cinque impiegati pubblici che entrano in pensione, uno solo viene assunto in servizio. Si suppone che questa disposizione (legge 3833/2010) abbia una data di scadenza, ma ci sono tutte le ragioni per credere che continuerà per lungo tempo ancora (i dati sono presi da News.gr).
La “Grecia dei greci ortodossi”
La “Grecia dei greci ortodossi” era il motto della dittatura dei colonnelli. Con l’avvento della dittatura dei colonnelli, 21 aprile 1967, una serie di leggi e di atti amministrativi cosiddetti obbligatori, rende effettivo il “colpo di stato” anche per la Chiesa così da sconvolgere anche l’autorità religiosa della Chiesa di Grecia. Viene sospesa a tempo indeterminato (in sostanza vietata) la riunione del Santo Sinodo dei vescovi, prevista per il 5 novembre 1967. Viene sciolta la composizione, allora vigente, del Santo Sinodo Permanente e, con la legge del 1° maggio 1967, si decide di stabilire un nuovo Sinodo Permanente composto da sole 8 persone che, d’ora in avanti, sarebbero state scelte e nominate dal governo e non dal Santo Sinodo della Gerarchia. II giorno seguente il governo procede alla loro nomina.
Inoltre, si toglie al Santo Sinodo dei vescovi della Chiesa il diritto di eleggere i propri vescovi e viene introdotto il limite di età, fissato a 80 anni quale termine obbligatorio del servizio effettivo, invece della permanenza a vita prescritta sino a quel momento. Così, insieme ad altri metropoliti, ha dovuto dimettersi anche l’arcivescovo Chrysostomos II. La nomina del nuovo arcivescovo avvenne il 13 maggio 1967. Il Sinodo ristretto ha proceduto alla nomina dei nuovi metropoliti al posto di quelli ritirati per limite di età. Inoltre, due metropoliti sono stati deposti e altri cinque costretti a dimettersi. Comincia così un periodo di fluidità tra normalita canonica e non canonica.
Nel novembre 1973 e sino al 1974 avviene un cambio ai vertici della dittatura. In parallelo, dopo un po’, viene effettuato anche un cambio ai vertici della Chiesa: nuovo arcivescovo e nuovi rimpasti nel corpo dei metropoliti. Questa fluidità amministrativa nella Chiesa si trascina fino a quando saranno in vita i vescovi costretti a dimettersi che, offesi, si battono per la propria riabilitazione. Alcuni si appellano ai tribunali europei. Si arriva così oltre il 1993.
Ancora una volta, le proprietà della Chiesa
Una grande crisi nelle relazioni Chiesa-Stato scoppierà nel 1987 di nuovo intorno alle questioni legate al patrimonio terriero della Chiesa, che il governo presieduto da Andrea Papandreu vuole in parte incamerare.
L’11 maggio 1988 ci saranno forti manifestazioni di piazza sia da parte del popolo sia da parte del clero contro la legge.
L’arcivescovo Serafim e il primo ministro Andrea Papandreu arrivano ad una soluzione di compromesso: il ministro responsabile, Antonis Tritzis, nel primo rimpasto viene sostituito e il primo ministro in qualche modo salva la faccia, mentre la Chiesa ottiene punti a favore.
La questione delle carte d’indentità
Il 17 luglio 2000 abbiamo nuovi problemi. L’autorità indipendente, garante dell’inviolabilità dei dati personali dei cittadini, dispone che “la religione” debba essere eliminata dalle carte di identità. Anche i ministeri competenti decidono di procedere in tal senso. Questo diventa causa di grandi attriti tra lo Stato e la Chiesa. L’apice è stato raggiunto con la manifestazione a Sintagma, piazza centrale di Atene, e nelle vie adiacenti. Si è parlato di quasi un milione di presenze. Alla dimostrazione di protesta erano presenti anche i metropoliti membri del Santo Sinodo. Il discorso principale è stato pronunciato dal defunto arcivescovo di Atene Christodoulos.
Questa volta ha vinto lo Stato. La voce “religione” è stata abolita dalle carte di identità. Ma il governo in carica ha perso le elezioni tenutesi subito dopo e molti hanno visto in questa sconfitta anche la lunga mano della Chiesa.
Un certo accomodamento
Nel 7 febbraio 2004 il governo di Samaras emana una legge nella quale si prescrive espressamente la separazione amministrativa tra lo Stato e la Chiesa. La Chiesa, d’ora in poi, è soggetta solo al suo Statuto Costituzionale e ai regolamenti votati dal Santo Sinodo. La Chiesa è obbligata ad applicare la legge statale solo quando gestisce denaro statale (ad es. le sovvenzioni) o risorse comunitarie. Il 7 ottobre 2014 viene regolamentato anche quel che era ancora in discussione per gli immobili dei monasteri.
La revisione dei contenuti dell’insegnamento della religione nelle scuole
E siamo ai nostri giorni. Nel gennaio 2016, il ministro della Pubblica Istruzione, Nikos Filis, dichiara che sono in preparazione nuovi programmi per “l’insegnamento della religione” nelle scuole. E spiega che i nuovi programmi non avrebbero più avuto il carattere confessionale com’era stato sino a quel momento.
Il 13 settembre 2016 quei programmi vengono pubblicati. La Chiesa li boccia sonoramente, sottolineando di non essere stata previamente consultata, com’era ovvio che si sarebbe dovuto fare.
Il 28 settembre l’arcivescovo di Atene Ieronimos invia un memorandum di protesta che sconfessa ancora una volta tali programmi e chiede di aprire il dialogo sul tema.
Il 5 ottobre 2016, il primo ministro e l’arcivescovo si incontrano privatamente e viene concordato l’inizio di un dialogo scientifico tra le due parti. I programmi vengono sospesi sino a nuovo ordine. Nel successivo rimpasto di governo Nikos Filis viene licenziato.
Luglio 2017: viene nominato nuovo ministro dell’Istruzione K. Gavroglou, che mette in atto nuove disposizioni per avviare il dialogo desiderato. Esprime sì i suoi progetti, ma sotto forma di desideri. Si guarda bene dal presentare progetti veri e propri, forse perché lui stesso non ha le idee chiare.
Un passo verso “la neutralità dello Stato”.
In data 6 novembre 2018 entra in scena il penultimo atto (penultimo perché, di certo, ce ne saranno altri).
È stato reso di pubblico dominio un documento “di comuni intenti”, nel quale si esprime «l’intenzione di elaborare un accordo storico tra la Chiesa e lo Stato che assumerà la forma di legislazione» e, in particolare, si propone quanto segue:
- «Lo Stato greco (in greco si dice “dimosio”, in latino “res publica”, repubblica) riconosce che, fin dal 1939, quando è stata emanata la legge obbligatoria 1731/1939, (lo Stato) acquistò il patrimonio ecclesiastico con una somma inferiore al suo valore effettivo.
- Lo Stato greco riconosce che, in cambio del patrimonio ecclesiastico che ha acquisito, ha assunto l’obbligo si stipendiare, in senso lato, il clero.
- Lo Stato greco e la Chiesa riconoscono che i sacerdoti non saranno più considerati impiegati pubblici e pertanto saranno cancellati dall’Ufficio centrale che prevede il pagamento degli impiegati pubblici.
- Lo Stato greco si impegna a versare ogni anno alla Chiesa, a mo’ di sussidio, una somma corrispondente alla somma dello stipendio totale dei sacerdoti in attività: tale somma sarà regolata e adeguata di conseguenza in analogia alle variazioni dei salari nel governo greco.
- La Chiesa, dopo questo accordo, rinuncia a qualsiasi altra rivendicazione sul patrimonio ecclesiastico in questione.
- Il sussidio annuale sarà versato su un fondo speciale della Chiesa e sarà destinato esclusivamente agli stipendi del clero, sotto la sola responsabilità della Chiesa di Grecia e la sorveglianza delle autorità competenti dello Stato.
- Con l’accordo presente si garantisce l’attuale numero di posti organici del clero della Chiesa di Grecia, compreso l’attuale numero di impiegati laici della Chiesa di Grecia.
- Se Chiesa di Grecia deciderà di aumentare il numero del clero, ciò non comporterà un corrispondente aumento del sussidio annuale.
- Lo Stato greco e la Chiesa di Grecia decidono di istituire una Cassa comune per la valorizzazione del patrimonio ecclesiastico.
- Questa Cassa sarà gestita da un consiglio di cinque membri. Due membri saranno nominati dalla Chiesa di Grecia, due membri saranno nominati dal governo greco e un membro sarà nominato di comune accordo.
- La Cassa per la valorizzazione del patrimonio ecclesiastico gestirà e valorizzerà anche le proprietà che, dal 1952 fino ad oggi, erano contese tra il governo greco e la Chiesa greca. In questo fondo è compresa ogni altra proprietà che la Chiesa vorrà volontariamente far gestire dalla Cassa al fine di valorizzarla.
- Gli introiti e gli obblighi della “Cassa per la valorizzazione del patrimonio ecclesiastico” saranno equamente distribuiti fra lo Stato greco e la Chiesa di Grecia.
- Lo stesso vale per le proprietà delle singole metropolie, vale a dire le proprietà controverse, ma anche quelle proprietà che le metropolie consegneranno volontariamente alla “Cassa per la valorizzazione del patrimonio ecclesiastico”.
- La “Compagnia per la valorizzazione del patrimonio immobiliare della Chiesa”, fondata con la legge n. 4182/2013 tra lo Stato greco e la santa arcidiocesi di Atene, verrà incorporata nella “Cassa per la valorizzazione della patrimonio ecclesiastico” e sarà gestita secondo il regime giuridico attuale.
- Gli impegni sopra esposti dalle due parti saranno effettivi, previa condizione che essi vengano rispettati nel loro complesso».
Le reazioni contro il comunicato
Molti, e in particolare il governo e i redattori ecclesiastici del documento, ritenevano che, con il “Comunicato finale comune”, la discussione intorno alle proprietà della Chiesa e alla modalità di pagamento del clero, magari con qualche piccolo aggiustamento, fosse arrivata a lieto fine. Invece, la reazione dei metropoliti e del clero è stata fortissima.
Il documento, portato al Santo Sinodo e ivi discusso, è stato respinto in blocco e all’unanimità. Risultato: la Chiesa è diventata un calderone in ebollizione e il governo, che non si aspettava una tale reazione, ha battuto in ritirata.
Fra le tante reazioni ne stralcio alcune particolarmente indicative.
Il metropolita Ambrogio di Kalavrita (città vicino a Patrasso, noto per le sue prese di posizione “ultrà”) si domandava ad alta voce: «Ma come è possibile che i mufti musulmani della Tracia (Nord-Est della Grecia) siano salariati dal ministero degli Esteri e i parroci della Chiesa ortodossa siano buttati fuori?».
E il metropolita Demetriados Ignazio (città di Volos, Grecia Centrale, Tessalia): «Beatitudine, deve capire che non siamo contro di lei e che stiamo cercando di salvarla. Non potrà più circolare liberamente nel Paese né sarà in grado di andare nelle campagne. Non potrà andare in nessuna metropoli a causa delle reazioni che ci saranno da parte del clero».
Il metropolita di Pireo, Serafim: «Questo accordo non deve passare. Qui è in pieno svolgimento un processo di accordi segreti».
Il metropolita di Nafpaktos, Ierotheos: «Tutti dobbiamo avere la possibilità di esprimerci. Qui invece si mira a non lasciarci parlare, ad essere solo ascoltatori».
I metropoliti dei Paesi Nuovi (il Nord della Grecia) sottolineavano che doveva essere informato previamente il Patriarca Ecumenico, ciò che non è stato fatto.
Il giorno dopo, 7 novembre, è intervenuto anche il metropolita di Ioannina, Maximos (Epiro). Da quelli che sono addentro agli affari ecclesiastici è conosciuto come persona dello stretto entourage dell’arcivescovo e si ipotizza che egli sia stato prima uno dei negoziatori e poi uno degli autori del documento in questione. Parlando al Primo programma della TV nazionale ERT disse: «Abbiamo avuto una volta “i padri dei lavoratori” (in greco, ergatopateres. Tale titolo è peggiorativo e lo si attribuisce ai sindacalisti di professione), adesso abbiamo scoperto che esistono anche i “i despotades papadopateres”, (“despotis” è un titolo attribuito ai vescovi; papadopateres, in analogia con quanto detto sopra, sindacalisti dei papades, dei preti) e intendo il Santo di Demetriados (un metropolita può essere chiamato anche col titolo del Santo seguito dal nome della sua sede. Qui intende il metropolita Ignazio di Volos, Tessalia) e il Santo di Messinia (cioè il metropolita Crisostomo), che si sono ribellati dichiarando che noi stiamo distruggendo i contratti di lavoro dei chierici e che loro amano il clero più di noi. Questo non posso accettarlo».
Una nota ulteriore. Si deve tenere in debito conto una componente non indifferente in tutto questo dibattito. Le metropolie presenti in Epiro, Macedonia, Tracia e del Mar Egeo settentrionale dipendono spiritualmente dal Patriarcato Ecumenico. Le metropoli del Dodecanneso e di Creta dipendono dal Patriarcato Ecumenico anche amministrativamente. La Chiesa di Creta è autonoma ma non indipendente ed è presieduta dal Santo Sinodo locale con a capo un arcivescovo che risponde al Patriarcato Ecumenico.
Il Patriarcato Ecumenico, da parte sua, ha espresso la sua forte insoddisfazione per non essere stato tempestivamente informato di quello che era in discussione e ha affermato che non accetterà alcunché senza aver dato il suo previo consenso. Il portavoce del Patriarcato, Nicola Papachristou, ha dichiarato: «Il Patriarcato Ecumenico non è stato informato ufficialmente e fa sua la preoccupazione dei sacerdoti per quanto riguarda il loro status legale e il modo con cui saranno stipendiati».
L’Unione del clero parrocchiale della Grecia in un suo comunicato ha dichiarato: «La nostra lotta è contro il governo e non contro i nostri metropoliti con i quali siamo uniti in questa lotta comune».
Il governo, visto l’esito della discussione nel Sinodo e il clima negativo venutosi a creare, ha dichiarato a caldo che procederà unilateralmente alla formulazione di una legge apposita per regolare l’intera questione.
Trascorsa neppure una settimana, il governo, per bocca del ministro della Pubblica Istruzione e degli Affari Religiosi, ha fatto marcia indietro, rimangiando i suoi propositi arroganti e annunciando di «voler intavolare un ciclo di discussioni su tutti in fronti per far capire ciò che era stato male inteso e per comprendere il perché delle reazioni». E ha aggiunto: «Non abbiamo nulla da temere, ma vogliamo completare il dialogo e prendere le iniziative necessarie. Questo ciclo di dialoghi dev’essere completato immediatamente, con l’arcivescovo, la Chiesa di Creta, il Patriarca Ecumenico, con i metropoliti che lo desiderano e con rappresentanti del clero».
Vista la reazione forte e la compatta opposizione del clero e “il cartellino rosso” della gerarchia e del clero, il governo ha cambiato opinione, ritornando nei suoi passi e ricordandosi che la metodologia del dialogo, con tutti gli interessati, e non solo con alcuni esponenti preferenziali, è la strada più opportuna a pochi mesi dalle elezioni.
Molto diplomaticamente il ministro ha ignorato il fatto che la Gerarchia ha bocciato sonoramente il documento, e ha sottolineato il fatto che, nel comunicato finale, il Sinodo si dichiara pronto a dialogare con lo Stato, dicendo: «La decisione unanime della Gerarchia è molto positiva. Continuare il dibattito è qualcosa di molto positivo».
Inoltre, post factum, il ministro si è recato al Fanar per incontrare il patriarca e per informarlo e discutere con lui di come stanno le cose.
La Chiesa di Creta si consulta con il Patriarcato Ecumenico
Il Sinodo della Gerarchia della Chiesa autonoma di Creta insieme con l’«Unione del clero locale» si è dichiarato unanimemente contro il documento in discussione e ha preannunciato la visita di un’apposita delegazione al Patriarcato per discutere sui fatti.
Questa visita della delegazione del Santo Sinodo al Patriarcato Ecumenico al Fanar è avvenuta il 20 dicembre 2018.
La consultazione con il Patriarcato ha toccato sia la questione dello stipendio del clero, sia due degli articoli della Costituzione greca proposti alla revisione che interessano la Chiesa Ortodossa, in particolare la revisione dell’articolo 21 della Costituzione sul Sacro istituto familiare.
Ecco la dichiarazione finale dell’incontro al Fanar:
«1) La religione predominante in Grecia è quella della Chiesa orientale ortodossa cristiana. La Chiesa greco-ortodossa, riconoscendo come capo nostro Signore Gesù Cristo, è indissolubilmente unita, quanto al dogma, alla Grande Chiesa di Costantinopoli e a tutte le altre Chiese cristiane ortodosse, osservando immutabilmente, come le altre Chiese, i santi canoni apostolici e sinodali, come pure le sante tradizioni. Essa è autocefala e amministrata dal Santo Sinodo, composto da tutti i vescovi in funzione, e dal Santo Sinodo permanente che da esso deriva, costituito com’è prescritto dalla Carta statutaria della Chiesa, in conformità alle disposizioni del Tomo Patriarcale del 29 giugno 1850 e dell’Atto Sinodale del 4 settembre 1928.
2) Il regime ecclesiastico stabilito in determinate Regioni dello Stato non dev’essere considerato contrario alle disposizioni del paragrafo precedente.
3) Il testo delle Sante Scritture sarà mantenuto inalterato. La sua traduzione ufficiale in un’altra lingua, senza il consenso preliminare della Chiesa autocefala greca e della Grande Chiesa di Cristo di Costantinopoli, è vietata».
Nella dichiarazione comune delle due delegazioni si afferma anche: «Sulla questione della proposta di revisione dell’articolo 21 della Costituzione sul Sacro istituto familiare, il Patriarcato Ecumenico ha espresso la sua contrarietà all’intenzione di cancellare la frase in vigore nell’attuale Costituzione dove si dichiara che la famiglia è «il fondamento della conservazione e la promozione della nazione», perché questa sacra istituzione è una cellula fondamentale della Nazione nel corso dei secoli e ha bisogno di un’esplicita protezione costituzionale e non di un suo abbandono».
Per quanto riguarda l’articolo 3 della Costituzione, nel quale si prevede di definire lo Stato greco «religiosamente neutrale», si ritiene che questo cambierà lo status delle consuetudini ecclesiastiche secolari vigenti. Il Patriarcato esprime la sua forte contrarietà per le conseguenze giuridiche negative che ne risulteranno e che riguardano la posizione generale della Chiesa ortodossa all’interno dello Stato greco.
L’emendamento proposto:
«a) Indebolirà la posizione istituzionale del Patriarcato Εcumenico come persona giuridica di Diritto pubblico internazionale.
b) Comporterà l’espulsione della Chiesa dalla vita pubblica. Accadrà perciò che saranno abolite le ferie delle festività religiose, che verranno alterati il contenuto e l’insegnamento dell’educazione religiosa, che i simboli sacri dell’ortodossia verranno rimossi in tutti i servizi pubblici (scuole, tribunali ecc.)…
c) Creerà i presupposti per il cambiamento dello statuto giuridico vigente che determina lo stato ecclesiastico di Creta, del Dodecanneso, nelle cosiddette Nuove terre e dell’Esarcato Patriarcale di Patmos.
Pertanto, le disposizioni vigenti contenute nell’articolo 13 della Costituzione, delle quali non si prevede una revisione e che sono state con successo sperimentate nel tempo, forniscono una sufficiente protezione della libertà di coscienza religiosa di ogni persona e del culto religioso di ogni religione riconosciuta.
Per quanto concerne la proposta di modificare il corrente status lavorativo del clero e dei laici impiegati nella Chiesa, la Madre Chiesa accoglie la loro giusta preoccupazione e sostiene la richiesta di mantenere il loro stato attuale nell’“Unica autorità dei pagamenti in Grecia” come anche il mantenimento dell’attuale status lavorativo nel quadro istituzionale vigente. La regolamentazione proposta è, invece, un cambiamento intenzionale e sfavorevole nei rapporti di lavoro.
Il Patriarcato Ecumenico mira sempre ad una buona cooperazione con i dirigenti della Stato greco per il bene del clero devoto e del pio popolo greco, affinché siano salvaguardate e custodite le sante tradizioni della nostra benedetta Nazione».
L’11 dicembre 2018 è stata resa pubblica la composizione della Commissione incaricata dal Santo Sinodo dei vescovi per il dialogo con il governo. La formano otto persone e sono:
a) tre metropoliti,
b) il presidente della “Santa unione del clero parrocchiale della Chiesa greca”, come aveva promesso l’arcivescovo,
c) quattro professori di università, esperti in materia di giurisprudenza e di teologia.
Inoltre, tale Commissione è stata autorizzata a chiamare, quando crede opportuno e necessario, altri vescovi o studiosi chierici e laici competenti sugli argomenti che via via verranno affrontati e discussi, per avere da loro un autorevole parere chiarificatore. Le conclusioni, frutto del dialogo della Commissione con una controparte dello Stato, saranno presentate al Sinodo della Gerarchia della Chiesa di Grecia per l’approvazione finale.
Il 19 dicembre la Commissione ha tenuto la sua prima riunione e, alla fine della seduta, ha emanato un comunicato dove dichiara di essere in attesa del disegno di legge del governo greco, per esaminarlo prima che esso sia sottoposto alla votazione del Parlamento.
E sottolineava, inoltre, che la Commissione svolge il suo compito solo collettivamente e che nessuno dei suoi membri può partecipare ad alcuna trattativa senza previo ed espresso mandato della Commissione stessa.
Si impegnava, altresì, ad elaborare una relazione da presentare al Santo Sinodo dei vescovi sul progetto di legge che il governo proporrà.
A mo’ di tregua temporanea
La questione riguardante le proprietà della Chiesa e il regime con il quale saranno stipendiati i sacerdoti pare avviata verso una soluzione. Alla ribalta, però, si sta affacciando una questione ancora più spinosa: la revisione della Carta costituzionale, e soprattutto il fatto che il governo pare intenzionato a introdurre nell’articolo 3 qualche clausola che esprimerebbe la «neutralità religiosa dello Stato greco». Così vorrebbe il partito SYRIZA, principale forza del governo.
Come abbiamo ricordato, la Chiesa autonoma di Creta, insieme con il Patriarcato, in una Dichiarazione comune si sono espressi negativamente nei confronti di una tale prospettiva.
Il metropolita Ignazio di Volos, in questi giorni, interrogato in proposito dal settimanale Proto Tema ha ricordato: «Il Santo Sinodo ha parlato due volte in tempo opportuno rifiutando espressamente tale aggiunta» e ha continuato: «Tutti i metropoliti concordano sul fatto che non dovrebbe esserci alcun cambiamento nell’articolo 3 e respingono senza mezzi termini la proposta di aggiungere tale clausola sulla neutralità religiosa».
L’arcivescovo Ieronimos
Il 14 dicembre ai giornalisti che chiedevano all’arcivescovo se avesse gradito che il suo passaggio sulla cattedra di Atene fosse ricordato dal documento Tsipras-Ieronymou, ha risposto: «Io non ho certe vanità. Ho fatto la mia parte di lavoro. D’ora in poi saranno il tempo e le cose a mostrare (lo loro bontà)» e ha aggiunto: «Nulla può essere fatto in questo Paese di essenziale e di grande senza la cooperazione fra la Chiesa e lo Stato».