Tutti gli esseri umani – in quanto «umani», cioè bestie pensanti («istinti animali che la mente riflessiva fa lievitare») – sono narcisisti, dotati dell’amore proprio (l’amore per sé stessi), che è il fondamento della loro vita temporale e ordinaria.
Si vive con sé stessi per tutto l’arco della giornata, per tutti i mesi e gli anni, nel passare dei giorni e delle stagioni. Questo sostiene, il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel suo dialogo con papa Francesco di qualche anno fa (2013). L’intento era quello di tentare un percorso di pensiero comune tra «laicità e fede» sui grandi temi dell’esistenza, come la verità e soprattutto l’amore.
Il narcisismo è fisiologico e non necessariamente patologico. Può diventare tuttavia una malattia, quando esclude ogni altra forma dell’amore e si trasforma in individualismo egotico, in autarchia egocentrica, in egolatria e auto-idolatria.
La mitologia racconta del tratto patologico del narcisismo, ricordando che Narciso – il giovane che, guardandosi nelle acque cristalline del pozzo, si innamorò di sé- morì a causa dell’amore proprio.
Il narcisismo può manifestarsi come «malattia dello spirito» che conduce all’annegamento. Perciò papa Francesco, interagendo, avrebbe detto: «A me la parola narcisismo non piace, indica un amore smodato verso sé stessi e questo non va bene, può produrre danni gravi non solo all’anima di chi ne è affetto ma anche nel rapporto con gli altri». Insomma, il narcisismo fa sempre male a sé stessi e agli altri, perciò sembra impossibile riconoscergli un’aliquale bontà e positività, quasi fosse il motore che anima e spinge a vivere la bestia pensante, attraverso il desiderio di sé.
Il narcisismo è fisiologico, secondo Scalfari – cioè proprio della natura umana, sua pasta, sua stoffa –, perché il fondatore di Repubblica non è credente e, pertanto, non vuole sapere come stanno le cose concretamente. Il suo punto di vista, esclude il sapere della rivelazione, e non vede la realtà così come è: la realtà umana è narcisistica per una malattia originaria, lo è da quel tempo remoto (il più remoto dei tempi, perciò inattingibile dalla mente umana, ma non per questo non storico) in cui avvenne la caduta originaria di Adamo e tutti i suoi figli restarono come “contaminati” da quel peccato. Perciò, da allora, “tutti peccatori”, cioè tutti narcisisti. Non c’è infatti peccato che gli umani possano commettere che non abbia come motore il narcisismo (= l’amore per sé, di necessità «smodato», dopo il peccato di Adamo).
«Siamo tutti peccatori», ripete papa Francesco. Dunque, “siamo tutti narcisisti”, potremmo tradurre. È vero, ma “ognuno a suo modo”. Ognuno ha i propri peccati che vengono perdonati, nel cristianesimo, da Dio, Padre ricco in misericordia.
«Peccatori sì, corrotti mai», qui il papa segnala che alcuni peccatori sono «speciali», così particolarmente singolari, perché sono «sistemici»: il peccato è strutturale ed è «chiusura a riccio», impenetrabile anche alla misericordia di Dio che pure vorrebbe perdonare.
Così, ognuno è narcisista a modo suo con una variazione pendolare entro due estremi: c’è chi vive di un narcisismo tenero, che non fa male a nessuno, se non a sé stessi, impedendo di sprigionare la potenza di amore verso gli altri che pure è la vocazione di ogni essere umano, e chi vive del narcisismo fetente che è distruttivo soprattutto degli altri, dominati da un potere che li reifica e li rende oggetto del piacere di sé. Il masochismo e il sadismo sono le figure della barbarie della corruzione dell’amore di sé nel narcisismo fetente.
C’è una sola via per uscire dal narcisismo-comune-ad-ogni-essere-umano: universale, perché fisiologico, secondo Scalfari; universale, perché consequenziale al peccato originale, secondo la rivelazione ebraico-cristiana. La via è la generatività, intesa come processo attraverso il quale «si mette al mondo qualcosa o qualcuno». Il lavoro è sempre stato una via per risorgere. Quando è vissuto in condizioni non alienanti (K. Marx) è estrinsecazione e socializzazione di sé, è autotrascendimento verso l’altro fino alla donazione nell’amore vero.
Il lavoro educativo, ad esempio, tende a generare delle qualità umane in altri esseri umani, introducendoli nello sviluppo di umanizzazione, come dovrebbe avvenire con i figli da parte dei genitori e dei discepoli da parte degli educatori. Importante è che «senza fare a meno di sé, il sé di ogni uomo diventi generativo», produca qualcosa di bello nell’altro da sé, oppure porti a stimare la bellezza che c’è anche in altri.
La generatività dilata gli spazi dell’amore di sé e sblocca l’amore, mettendolo in circolo (cf. Ligabue, Metti in circolo il tuo amore). La generatività redime gli esseri umani dal «disturbo mentale» del narcisismo, perché porta a conseguire l’identità di sé nell’altro.
La logica narcisistica è stravolta: invece del trasformare l’altro nello specchio del proprio sé, si contempla nel proprio sé il volto dell’altro e si ama veramente l’altro, trovando nell’amore dell’amore l’amore di sé: «ama il prossimo tuo come te stesso» che – secondo Scalfari – conferma il tratto insuperabile del narcisismo invincibile, è riletto alla luce della croce di Cristo in questo altro modo: «Ama il prossimo tuo: ecco te stesso».
Così gli opposti si riconciliano (R. Guardini), perché nell’amore dell’altro si giunge alla vera generazione di sé, l’ingresso maturo nella propria vera umanità: «Ricorda figlio mio all’uomo che diventerai che non sarà mai più grande dell’amore che dai». D’altronde, ciò che vale per gli uomini vale anche per Dio: solo la generatività impedisce per sempre e nel sempre dell’eternità il narcisismo assoluto, quello di Dio appunto.